Renato Zero, il ritorno con “Alt” dopo oltre tre anni dall’ultimo disco e l’annuncio di due tappe speciali del suo tour all’Arena di Verona (1 e 2 giugno).
Dopo oltre tre anni dall’ultimo disco è stato finalmente pubblicato lo scorso 8 aprile “Alt”, attesissimo album di inediti del libero e provocatorio “cantattore” e chansonnier romano. A celebrare questo ritorno due tappe speciali il prossimo 1 e 2 giugno all’Arena di Verona, dalla quale il re dei sorcini manca da ben 18 anni (1998).
“Tempo di tornare dalla gente mia”: con questo verso tratto dal suo brano Il ritorno (1993) ad ottobre 2015 Renato Zero aveva preannunciato su Facebook la fine di un lungo silenzio discografico. Poi l’inedita “Gli anni miei raccontano” cantata all’ultimo Sanremo e il singolo “Chiedi”, lanciato lo scorso 2 marzo.
E ora finalmente il nuovo disco: un ritorno ai grandi temi sociali e alle battaglie civili rispetto alle liriche più riflessive del doppio progetto “Amo”. Nei 14 brani inediti si parla di fede, violenza, giovani e lavoro, dell’amore in tutte le sue declinazioni, del destino dell’arte, dell’ecologia, delle politiche d’accoglienza e dei nuclei affettivi.
«Non mi arrendo»: così ha esordito l’artista aprendo la conferenza stampa tra gli applausi dei giornalisti.
«La scuola non può essere abbandonata mentre stiamo per laurearci. E voglio laurearmi con i voti che merito. E con quelli che la musica merita. Non chiamatela più leggera questa musica, per cortesia. Faccio appello a tutti coloro che vogliono difendere questa zona sana della nostra società: salvatela cercando di dialogare con internet, con tutti questi arcipelaghi che stanno disperdendo le nostre forze, la nostra semina». Parole altrimenti usate per polemizzare contro quei «sorcini un po’ sprovveduti» che hanno messo in rete il suo disco gratuitamente prima dell’uscita ufficiale «senza probabilmente conoscere la fatica di un lavoro che meriterebbe un po’ di rispetto in più e proprio da loro. Non faccio le rapine di mestiere, faccio l’artista e i dischi me li pago investendo di tasca mia».
Realizzare un disco non è come ascoltarlo evidentemente, «si può anche perdere un’estate, stando al pianoforte anziché in crociera». Anche perché «il giorno che un artista indossa le pantofole e scopre un sederino forse ha smesso di dire qualcosa al mondo. E questo disco invece vuole rivolgersi a quelli che non vogliono stare in panchina, rassegnati al tempo o all’ISIS, perché oramai diventate questioni ovvie. La sofferenza stessa può essere un’alleata eccezionale, senza per forza imputarle un significato negativo: è madre della saggezza, della sopportazione, della rivoluzione. Ci sono sempre personaggi e situazioni alle quali dedicare il nostro preziosissimo tempo».
E personaggi e situazioni del quotidiano hanno appunto ispirato quest’ultima produzione: «Io canto di quel che vivo e del tempo in cui vivo: chi non vive, non scrive. Questi tempi mi hanno sollecitato un intervento quasi obbligatorio. Mi piace non stare zitto come non ho mai fatto e poter stimolare gli intelletti della gente, soprattutto quelli di coloro che hanno una vocina più esile, che non hanno raccomandazioni o parentele comode. Personalmente ho sentito la necessità di incidere questo disco, un po’ forse anche per consolare, per un rispetto verso gli altri. Non vedo molti esempi che ci confortino e in un momento come questo non ci si può non interessare degli altri».
Diverse le tematiche sociali che guardano soprattutto alle nuove generazioni con coraggio, spirito identitario e irriducibile speranza. Come il brano “Il cielo è degli angeli”, scritta a seguito di una “epidemia di separazioni”, dedicata a «quelle coppie di “angeli” che non si buttano egoisticamente alle spalle un trascorso amoroso, condizione penalizzante soprattutto in presenza di figli, ma tentano di ristabilire un contatto umano senza sbattersi la porta in faccia». Come è controproducente sbattersi le porte in faccia oggi nel mondo del lavoro: in “Chiedi” ribadisce il suo disprezzo «verso chiunque si metta di mezzo all’attuazione di un programma di sviluppo, siano pure sindacalisti». Dai motti laici ad una preghiera dai toni cristiani, “Gesù”: «Dio potrebbe anche essere un’entità lontana che non ha tempo di far trovare un’occupazione ad un giovane di 20 anni. Gesù invece siamo noi. E oggi sento l’assenza di molti Gesù, come già ce ne furono tanti altri nel nostro paese, ad esempio quelli massacrati dalla Mafia. É necessario che Gesù ritorni a casa ma questo deve dipendere anche dalla nostra volontà: non si può sempre aspettare la manna».
Un album che, raccontando del sentirsi al mondo in queste ore, si differenzia dunque da tutti i precedenti, più “profetici”: «Insolito per me che sono più abituato alle veggenze. Forse perché ora, andando avanti con gli anni, inevitabilmente immagino meno, mi si stringe il campo visivo».
Canzoni come «un atto d’amore, una forma alta di coinvolgere gli altri in un sentire, nell’appropriarsi di un momento magico, sia esso più leggero o più profondo» e caratterizzate da uno stile inconfondibile ma «non omogeneizzato», tappa discografica che Zero tiene orgogliosamente a condividere con tutti i suoi collaboratori: «Ringrazio pubblicamente Danilo Madonia per il capolavoro nell’arrangiare il mio disco, così come Vincenzo Incenzo, Maurizio Fabrizio, Phil Palmer e tutti gli altri tecnici e professionisti storici che hanno accompagnato il mio percorso, permettendomi di sentirmi un vero musicista».
In tema di ringraziamenti, tra gli altri, viene però fatto notare che sulle note di copertina si omaggia Mimì Bertè e non Loredana: «Insieme a Mimì ho vissuto momenti artistici intensi, tante volte lei si sedeva al pianoforte e io cantavo…Poi fui “strappato” a Mimì da Loredana perché evidentemente ad un certo punto lei ha sentito più bisogno di essere condivisa. Però non intendo rinnegare nessuno, voglio bene a tutti coloro che hanno fatto parte della mia crescita. E persino a certi signori dalla battuta facile, che quando incontro abbraccio comunque».
Battutacce, anche peggio di quando il nostro si sentiva dire “sei uno zero” agli inizi di carriera, talvolta pure accompagnate da calci e pugni di militari o camionisti: «Una volta negli anni ’70 mentre facevo l’autostop un tizio si è fermato, è sceso dalla macchina, m’ha dato uno sganassone facendomi volare la parrucca, poi è rimontato in auto e se ne è andato. Però episodi come questo non mi hanno fermato». E restando al tema dell’intolleranza, citando il brano “Vi assolverete mai”, aggiunge che «quello che mi stupisce di più oggi è che, mentre una volta ricevevo insulti da soggetti dai 40 anni in su, adesso sono i ragazzini a lanciare certe invettive in rete». E continua: «Oggi internet è molto presente ma bisogna avere il coraggio di uscire da questi network, strumenti che vanno presi con le pinze. Sarebbe opportuno un controllo più consistente anche da parte della famiglia. Per garantire solidità, collaborazione e complicità è necessaria una famiglia. Qualunque essa sia: l’unico giudizio valido è il modo e la qualità di amare, non i sessi. Io ho adottato un figlio perché non voglio stare da solo, perché mai deve essere un problema? Quello che conta è un rapporto disciplinato dal rispetto reciproco, considerando pure la complicità di coloro che ci circondano. La salute stessa dipende da chi hai vicino: a parte il macchinario o la nuova formula magica della farmacologia, se non c’è l’intervento umano di chi ti sorregge e ti incentiva è più complicato star bene. Dentro questa rete invece non vedo complicità ma spesso solitudine, talmente tanta che poi degenera in depravazione».
Pronto ad affrontare le sfide della vita e consapevole che la promozione più autentica di un musicista rimanga l’esibizione dal vivo, ribadisce ancora la voglia di mettersi in gioco: «Sono felice di essere ancora in pista, la sorte mi ha premiato», dice gaudente invitando i giornalisti in prima fila a tastare la solidità delle sue gambe, segno di buona costituzione. «Mi sento abbastanza bene, tremo un pochino come a Sanremo perché ho perso l’abitudine di esibirmi su un palcoscenico davanti a tanta gente insieme, però vedrò di recuperare: è una sfida con me stesso. La mia testa ora è all’Arena di Verona: ho un conto aperto con l’Arena, mi deve tre malleoli…e quindi vado a reclamare il conto! A parte i malleoli la scelta di Verona vuole essere un omaggio ad una terra che mi ha dato tantissimo professionalmente, che mi ha sostenuto tanto. Come l’Emilia Romagna, la Toscana e il Piemonte, tutte regioni che hanno creduto in me. É bello ricordarsi anche di chi è stato premonitore, e per primo mi ha offerto questa opportunità».
Schiva poi le domande sulle elezioni a Roma, come quella sulle trivellazioni, già espressa «quando mi schierai con Lucio Dalla a difesa delle Tremiti», ma inevitabile una considerazione sul mondo della discografia, di cui peraltro parla ne “In questo misero show”: «L’ultimo che decide il valore del supporto musicale è sempre il pubblico. Negli anni ’70 forse c’era più pressione a raccontare meglio la realtà che si viveva in questo paese perché il pubblico era più esigente. Sapendo poi che veniva continuamente “viziato” da artisti come Jimi Hendrix, Otis Redding, Uriah Heep, Led Zeppelin, Rolling Stones, Beatles e Pink Floyd, senza contare in Italia Battisti, Dalla, De Andrè o la PFM, la concorrenza era tale che non si poteva fare a meno di competere, altrimenti eri fuori. Oggi forse lo standard per qualche verso si è sensibilmente abbassato…Però non riesco ad imputare la colpa agli artisti. Forse la domanda vera è: c’è un disegno più alto di noi che ci vuole ignoranti perché non si veda esattamente quello che desideriamo dalla vita e da noi stessi? Riflettiamoci».
In tema di grandi nomi del passato inevitabilmente gli si chiede un commento sulla recente scomparsa di David Bowie, di cui Zero è stato considerato la versione italiana, al che l’artista interrompe ironico: «…No, considerate lui il Renato Zero inglese!» Poi sorride “guardando il cielo” a braccia aperte e lo saluta: «Ciao David…Se non si scherza fra noi…»
Consapevole dell’importanza del ruolo pubblico quanto della stampa, in conclusione Zero si rivolge empaticamente ai giornalisti: «Questo disco guarda a questi tempi senza bleffare, non mente. Chiedo comunque a voi il massimo della critica: in parte vi temo ma dall’altra vi esorto ad un ascolto autentico. La mia professione desidera in qualche modo essere perquisita: voi fate il vostro lavoro e io il mio. E questa sinergia fa di Renato Zero una garanzia per tutti».
“CHIEDI” – video ufficiale