Tempo di nuova musica per il cantautore lombardo, che rompe il suo silenzio discografico al grido di un po’ di sano e ritrovato orgoglio nazionale
Italiani brava gente e, soprattutto, grandi artisti. Con questo mantra si riaffaccia sul mercato discografico italiano Daniele Stefani, cantautore che unisce un grande talento vocale ad un’intuitiva capacità di scrittura. A distanza di cinque anni dai duetti internazionali con Alberto Plaza e Ben V-Pierrot dei Curiosity Killed The Cat, l’artista torna a collaborare con il suo storico produttore Giuliano Boursier, firmando un brano che rappresenta solo l’anteprima di un nuovo stimolante progetto discografico.
Ciao Daniele, benvenuto su Musica361. Partiamo naturalmente da “Italiani”, cosa hai voluto raccontare tra le righe di questa canzone?
Ciò che ho voluto trasmettere è che non siamo soltanto un popolo di pizza, spaghetti, mandolino e mafia, abbiamo tantissimi lati, alcuni più chiari altri più scuri, ma dobbiamo essere orgogliosi e non vergognarci della nostra italianità. Un pezzo spontaneo, scritto di getto due anni fa, al mio rientro dopo diverse esperienze all’estero.
Negli ultimi anni hai girato il mondo, quali Paesi hai visitato e cosa hai scoperto viaggiando?
Ho vissuto per brevi periodi in Canada, in Polonia, in Tunisia, in Russia, in Messico, in Inghilterra, negli Stati Uniti e soprattutto in Cile, a Santiago, dove sono stato per circa due anni. Sono andato all’estero per scoprire la cultura di diversi Paesi, invece, sono tornato indietro arricchito dalla fierezza di essere italiano, con maggiore consapevolezza ma, al tempo stesso, con una presa di coscienza nuova: ho capito che siamo pieni di cose belle ma abbiamo anche degli aspetti negativi come, per esempio, questo contrasto tra onore al merito e corruzione. Siamo considerati i più grandi in mille cose, dall’arte alla cucina, passando per la moda, ma anche un po’ come i furbetti della situazione.
Rispetto alla pubblicazione del tuo precedente album in lingua italiana sono trascorsi dieci anni, com’è cambiato il mercato discografico?
Diciamo che c’è stato un calo fisiologico delle vendite, c’è più streaming e il modo di fruire la musica è molto diverso. L’Italia è piena di talento, il problema è che non viene valorizzato come un tempo. La colpa non è unicamente dei talent show, forse, il problema è che ce ne sono troppi. Se Rino Gaetano o Lucio Battisti fossero nati oggi, molto probabilmente non passerebbero in radio, perché è il sistema che consuma l’intero sistema stesso, la velocità con cui vengono cotte e mangiate la maggior parte delle nuove proposte discografiche la trovo tremenda.
Qual è l’insegnamento più importante che hai appreso dalla musica?
Oggi sono consapevole del fatto che non si può piacere a tutti e che ognuno ha il suo pubblico, l’importante è avere la possibilità di far sapere che ci sei, che sei tornato con qualcosa di nuovo. Faccio sempre l’esempio calcistico di Luca Toni, attaccante che per anni nessuno ha considerato e poi alla fine della sua carriera è diventato capocannoniere e ci ha portato alla vittoria di un Campionato del Mondo. Se non avesse avuto la possibilità di dimostrare quello che era capace di fare, forse, quel 9 luglio 2006 non avremmo dipinto di azzurro il cielo di Berlino.
A tal proposito, pubblicare “Italiani” a poche settimane dall’inizio del primo mondiale di Calcio senza la nostra nazionale, è una sorta di elaborazione del dolore?
Beh in effetti (ride, ndr), al di là degli scherzi e dei mondiali di calcio, c’è sempre bisogno di risvegliare un sano senso di patriottismo, soprattutto nei giovani, e questo esula dalla politica e da qualsiasi altro tipo di atteggiamento fine a se stesso.
Per concludere, come descriveresti questa tua nuova fase artistica?
Una fase sicuramente matura, le canzoni che sto componendo si basano su esperienze di vita forti e vanno al di là dei sentimenti, dell’amore che ho cantato nei precedenti miei dischi. Non rinnego assolutamente il mio passato, ma c’è stata una crescita inevitabile, semplicemente avverto la necessità di lanciare messaggi diversi, di raccontare quello che sono/siamo diventati oggi.