L’esperienza maturata dai successi ha portato il produttore Giuliano Boursier ad avere un’etichetta di produzione come Music Ahead, dove la musica è davvero al centro di tutto.
Sembra scontata la frase “mettere la musica al centro” quando si parla di etichette. Eppure gli interessi in ballo sono molteplici in questo business e talvolta, in alcuni progetti, è facile notare quanto vengano prima gli introiti, le visualizzazioni, rispetto all’arte e alla qualità. È impossibile non rimanere affascinati dalla passione per la musica di Giuliano Boursier, produttore che ha vissuto grandi successi come quelli di Luca Dirisio con Calma e sangue freddo e Se provi a volare (Breaking Free di High School Musical), la carriera di Daniele Stefani, Roberto Angelini con Gatto Matto, e molti altri. Dalle parole di Giuliano si capisce l’attenzione al prodotto di alta qualità, la cura al dettaglio e la voglia di un mercato musicale che vada oltre alle scelte mediatiche. Music Ahead, realtà discografica (e non solo) di cui cura la direzione artistica, è la protagonista della settimana dell’approfondimento di Musica361 sulle etichette.
Come nasce Music Ahead?
Tutto ha preso forma dalla mia esperienza da produttore, iniziata intorno al 1999. Prima seguivo gli artisti tramite etichette che mi contattavano. Mi occupavo della produzione artistica. Successivamente ho fondato un’etichetta, poiché il panorama musicale era cambiato. La mia missione è sempre stata quella di trovare artisti che fossero talentuosi. Dirigere un’etichetta oggi non vuol dire occuparsi soltanto del lato musicale, delle produzioni, ma anche di tutto ciò che gira attorno alla musica, dal marketing al management, sapendosi affidare a collaboratori e freelance.
Grazie alla tua esperienza possiamo parlare della figura del produttore, che vive a servizio dell’arte e ha un’importanza fondamentale. La scelta di un determinato produttore quanto è influente nella realizzazione di un progetto musicale?
Ciò che dico spesso agli emergenti è che un artista non può fare il proprio percorso da solo. Se anche i big, dopo un’esperienza pluridecennale, continuano ad affidarsi ai produttori è per avere una giusta direzione sulla propria musica. Il produttore artistico sceglie le canzoni, mette mano agli arrangiamenti, sceglie il tipo di mastering e molto altro. Gli artisti non possono fare tutto da soli. Ci sono alcune rare eccezioni, Lenny Kravitz per esempio, però nel 99% dei casi un cantante arriva con un dipinto in costruzione, con un diamante grezzo che va raffinato. Il produttore fa la differenza. Quando mi arriva il materiale mi accorgo subito se dietro c’è una produzione artistica o no. Anche se si è emergenti al primo singolo, su questa parte non si può risparmiare. Non ha senso dire: “Mi faccio una produzione cheap, in casa, poi faccio un bel video” oppure si prende un buon ufficio di promozione (ride). Come fai a gareggiare in formula uno se ti presenti con una 500?
Quanti anni ci vogliono per raggiungere il professionismo nelle produzioni? Quando hai riconosciuto a te stesso di essere diventato un produttore?
Ho iniziato a suonare il pianoforte a quattro anni, quando non sapevo né leggere né scrivere. Sono entrato al conservatorio a dieci anni e mi sono fatto una base musicale. Da piccolo non dici: “Voglio fare il produttore”, anche io sono passato negli anni dell’adolescenza in cui sei egocentrico, vuoi fare il cantante, vuoi emergere. Maturata la consapevolezza di non poter essere io l’artista, ma di poter essere d’aiuto, ho iniziato un percorso da arrangiatore e produttore tra gli emergenti. Questo è accaduto perché mi sono avvicinato subito all’ambito del management musicale. Mi sono accorto di essere diventato produttore quando Daniele Stefani, che aveva un contratto in Sony, ha deciso di affidarsi a me. Io gli dissi subito che lo vedevo artisticamente diverso da ciò che stava facendo. Sono sempre stato un produttore esterofilo, con un’attenzione a quel tipo di suono. Al mio primo prodotto con Daniele, “Un giorno d’amore”, quando la Sony mi affidò un suo artista mi sono sentito davvero un produttore.
Da lì non mi sono mai più fermato. Ciò che a volte non si capisce è che il produttore artistico non è un fonico, non per forza ha uno studio di registrazione, ha una preparazione più completa.
Infatti si dice che la fase di pre-produzione sia ancora più importante della produzione stessa.
Esatto. La gente talvolta non sa il significato di pre-produzione. In questa fase lavoro a quattro mani con gli artisti, a cui devo spiegare questo processo: la scrittura e la stesura del brano, il cambiamento di una frase, di un testo, di una strofa, di un ritornello, della struttura di una canzone. Oggi, anche con i big, c’è poca pre-produzione. Bisogna fare il disco per l’artista mainstream? Arrivano duecento canzoni, vengono scelte e via, anche se qualcuna avrebbe bisogno di una produzione artistica per modificarne delle parti. Io sono conosciuto come uno che mette le mani anche nella pre-produzione. Le stesse multinazionali mi hanno commissionato spesso lavori in cui avevo il talento grezzo da raffinare.
Gli strumenti tecnologici per le produzioni sono sempre più accessibili e continuano a nascere scuole di produzione, legate in particolar modo a concetti di fonia. Anche in questo contesto sembra essere bypassata la pre-produzione, l’attenzione all’arrangiamento. Alla base di qualsiasi progetto quanto è importante la conoscenza teorica della musica?
La preparazione ci vuole. Il produttore è un talentuoso e non è semplicemente una persona che ha imparato da un corso. Non è necessario essere per forza maestri di conservatorio. I grandi produttori di musica elettronica, ad esempio, campionano per strutturare i loro brani e, senza saper suonare, fanno prodotti commerciali di largo consumo. Se il produttore artistico è anche arrangiatore è logico che abbia una marcia in più.
Continuando il percorso alla scoperta di Music Ahead, il ritorno “a casa” di Luca Dirisio è stata una notizia. Che novità dobbiamo aspettarci?
Luca è tornato da me perché tra di noi c’è sempre stato un rapporto di amore/odio. Abbiamo due caratteri molto forti e ci vogliamo un bene dell’anima. Tutti i suoi successi li ho seguiti direttamente. Lui aveva perso un mentore, una persona in studio che gli dicesse come interpretare qualcosa. Non è facile trovare qualcuno che ti dica: “Questa strofa è bella, questo ritornello è brutto”. Magari nessuno si permetteva di dirglielo. Io, con la confidenza che c’è, non ho problemi a dirgli di cambiare una frase. Da quando è tornato stiamo facendo pre-produzione, abbiamo iniziato dagli ascolti di nuove canzoni. Non aspettatevi Dirisio primo in classifica con un pezzo commerciale, Luca è un grande cantautore, uno dei pochissimi che abbiamo in Italia. Vorrei riuscire a valorizzare questa sua vena da scrittore. Non sto costruendo niente, è giusto che lui si mostri per come è davvero.
In Italia si sente tanto l’esigenza di un mercato cantautorale che vada oltre al pop o al cosiddetto indie.
Penso che la cultura italiana fosse fatta di cantautori, oggi non c’è più nulla per colpa dei media. Per far sì che molti artisti emergano bisognerebbe scovarli e suonarli nelle radio, mentre oggi tutti suonano quello che riproducono gli altri, senza fare una selezione di gradimento.
Come è possibile contattare Music Ahead per inviare delle demo e come lavorate sul talent scouting?
La mail alla quale è possibile inviare le tracce è demo@musicahead.it. Io preferisco le canzoni chitarra e voce tendenzialmente. Non siamo quell’etichetta che prende un prodotto finito da terzi e lo mette in commercio. Il nostro modo di lavorare è diverso essendo un’etichetta di produzione. Vado a cercare artisti che hanno bisogno di fare un lavoro concreto o, raramente, chi ha un prodotto talmente forte da dover essere soltanto venduto. Un nuovo progetto in un anno fa pre-produzione, produzione ed esce. I nostri artisti emergenti sono contenti di come lavoriamo. Cerchiamo di trovare loro uno spazio, una collocazione anche con le multinazionali, non dobbiamo per forza essere noi l’etichetta discografica. La costruzione insieme all’artista è il lavoro più grande e più bello. Poi una volta fuori sappiamo quanto possa essere difficile. Un emergente può decidere di prendere la strada del talent e durare un’edizione, se lo vince, perché se no è bruciato per sempre. Oppure può scegliere la strada più lunga, con più insidie, quella della discografia. Un singolo non basta, serve la progettualità. Deve uscire discograficamente entro alcune tempistiche, per aumentare il seguito e con una produzione di alto livello. Anche i grandissimi talenti non possono fare tutto da soli, mi ripeto, la metafora è sempre la stessa, in formula uno non corri con la cinquecento.