L’incontro con il cantautore comasco, al debutto con il suo primo EP anticipato dai singoli “Christian De Sica” e “Tra il tedio e il dolore”
Si intitola semplicemente “Breve ma incenso” l’EP d’esordio di JurijGami, chitarrista e cantautore che abbiamo apprezzato la scorsa estate con l’irriverente singolo “Christian De Sica“, seguito a ruota dall’ispirato “Tra il tedio e il dolore“, entrambi contenuti in questo primo album pubblicato il 9 novembre per Cello Label, etichetta indipendente con sede a Bruxelles. In occasione di questo importante battesimo discografico, abbiamo raggiunto telefonicamente il giovane artista per una piacevole chiacchierata.
Com’è nato e cosa rappresenta per te questo EP d’esordio?
Rappresenta il primo passo all’interno del mondo della musica, suono la chitarra da quando ho tredici anni, ma è la prima volta che mi sono cimentato nella scrittura di testi, cercando di spaziare il più possibile con le parole e gli argomenti, come spero si possa notare ascoltando le tracce del disco.
Hai voluto donare una veste precisa alle tracce, per spaziare il più possibile tra i generi?
Esatto, avevo nel cassetto venticinque pezzi, ho cercato di selezionare quelli più corposi, cercando di metterli insieme dandogli un unico filo conduttore. Credo di aver sperimentato abbastanza, sai, negli ultimi tempi c’è questa idea che se la musica non si colloca in uno schema ben preciso viene definita indie, un termine che credo non mi identifichi, in più non sono un amante delle etichette.
Nel disco giochi parecchio con le parole, toglimi una curiosità: sei un abbonato alla settimana enigmistica?
Eh sì (ride, ndr) mi diverte molto, al di là dell’enigmistica, il mio cervello realizza costantemente collegamenti pazzi, io non mi pongo alcun problema ad esternarli, anche se in alcuni casi dovrei pensarci un pochino di più, perché a volte escono di quelle cose… ma non fa niente, serve esperienza e sperimentare aiuta.
Nella copertina un paesaggio si trasforma in uno sfondo di un computer, a simboleggiare il filo sottile tra realtà e finzione?
Sì, esatto, anche un modo per descrivere com’è diventata oggi la nostra società, una tematica ricorrente all’interno del disco, mi riferisco all’evoluzione tecnologica ci sta portando ad instaurare un rapporto sempre più virtuale e meno diretto tra le persone.
C’è una canzone che ascoltandola ti suscita ogni volta delle emozioni?
Guarda, con la musica ho un rapporto strano, nel senso che l’ascolto a caso e vado a periodi, mi piace spaziare. Un artista che ho sempre seguito molto è John Mayer, lo trovo completo. Se dovessi scegliere un suo prezzo, citerei “Gravity” perché non mi stanco mai di ascoltarlo.
Qual è la lezione più importante che senti di avere appreso dalla musica in questi anni di gavetta?
Non smettere mai di sentirsi curiosi e, di conseguenza, vivi. Credo sia fondamentale per non sfociare nell’abitudine, per non invecchiare spiritualmente. La musica è un elisir di giovinezza che fa bene a qualsiasi età, un’attività creativa che ti porta ad allenare la mente, come sostiene Kafka: la felicità sta nel costruire più che nel raggiungimento di un determinato obiettivo. Ecco, questo ho imparato dalla musica.
Tra il tedio è il dolore, cosa rappresenta esattamente il tuo personale castello di felicità?
Dicono che la felicità sia fatta di attimi fugaci, ho voluto raffigurarla in maniera imponente come un castello, a simboleggiare che non si tratta di una sensazione effimera. Il mio personale castello di felicità è racchiuso all’interno del mio Mac, sono contento ogni volta che lo accendo, apro Logic e mi metto a giocare con i suoni e le parole, gettando le fondamenta di quelle che diventeranno poi le canzoni. Spero di avere sempre qualcosa da dire, di portare avanti sempre e comunque un messaggio che sia di contenuto.