Un musicista che suona, vive e suda ogni nota che scrive.
Emanuele Dabbono: cantautore ligure, classe 1977. Scrive e suona per vivere. Nel corso degli anni sono tantissime le esperienze musicali che lo vedono protagonista: un terzo posto nel 2008 alla prima edizione di XFactor, dischi e concerti in tutta Italia, un tour degli Stati Uniti d’America fino ad arrivare a scrivere diverse hit per Tiziano Ferro. Emanuele è tornato sul mercato musicale il 5 novembre con “Leonesse”, album live che contiene i più significativi brani della sua carriera.
Qual è il primo ricordo che hai se pensi alla musica?
Io che a 4 anni scappavo dalla mano di mio padre per sentire la banda del paese suonare per strada ad Alassio. Quando mi trovarono, cinque minuti di paura dopo, io tenevo il tempo col piedino e ritrovai la mano di mio padre sulla guancia stavolta. Il suono sembrò quello di un rullante.
Hai scritto numerosi brani di grande successo per Tiziano Ferro. In che modo è nata la collaborazione artistica con lui?
Nel 2014 con un brano, “Non aver paura mai”, composto per Michele Bravi. Il secondo a cui abbiamo lavorato insieme è stato “Incanto” e contemporaneamente mi ha messo sotto contratto.
L’essere anche un cantante in che modo influisce nel tuo modo di comporre? E’ un aiuto o un ostacolo nel relazionarti all’interprete che canterà il tuo brano?
Direi che aiuta perché l’agilità e l’esperienza vocale ti permette di avere più “argomenti” melodicamente parlando. Penso agli Stati Uniti; autrici di successo come Diane Warren, Carole King o Linda Perry hanno voci stupende.
Come nascono i tuoi brani?
Dai testi. Scrivo dappertutto. Accumulo idee su idee già in metrica e con il titolo. Poi vado nel mio studio e mi diverto a suonare ogni strumento finché non catturo un’atmosfera che mi emozioni.
Allora spesso, per magia, so già con quale testo voglio cimentarmi per far diventare un’idea una canzone, tagliando, cucendo come farebbe un chirurgo dell’emozione.
Che ricordi hai della tua esperienza a X Factor 2008? Cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto?
Mi ha regalato popolarità nazionale e il passaporto per fare del mio sogno una professione.
All’inizio ero convinto di andare a cantare i miei brani e solo dopo ho scoperto che avrei dovuto cantare delle cover.
Guardando le ultime edizioni, quali sono le differenze che ritrovi rispetto a quella che ti ha visto protagonista?
Io andai a 31 anni compiuti; era la prima edizione, su Rai2, 10 anni fa. Era tutto nuovo e misterioso. Non conoscevamo alcun meccanismo al quale riferirci. Fummo pionieri in un certo senso. Come ti dicevo ero convinto di potermi cimentare con i miei brani. In palio c’era un contratto Sony (che poi rifiutai, pur arrivando terzo, perché mi proposero un Ep di cover).
Cosa rappresenta per te Il tuo ultimo album “Leonesse”? Come mai la scelta di pubblicare un live?
Perché sono un musicista che suona, vive e suda ogni parola e nota che scrive. Vengo dalla periferia, da una strada lunghissima che adesso è solo mia. I concerti sono diventati dei momenti che per me hanno qualcosa di sacro nell’incontro con il pubblico. Molto ho imparato dal tour che ho fatto negli Stati Uniti. Suonare a New York è stato illuminante.
Quali sono le sensazioni che vuoi rimangano dopo l’ascolto di questo concerto?
Vorrei che l’ascoltatore pensasse questo: “la prossima volta che suona ci devo essere anch’io”.
L’inclusione, la sensazione che chi sta di fronte al microfono abbia dato tutto.
Questo nuovo progetto a chi è dedicato?
Lo vivo come un battesimo del fuoco, per me e per la mia band: Michele Aloisi, Fabrizio Barale, Fabio Biale, Marco Cravero, Giuseppe Galgani, Matteo Garbarini e Gianka Gilardi. Quello che sentite è un disco di amici veri che nutrono passione, impegno, dedizione e lo portano sull’altare della musica.
Che percorso ha fatto Emanuele per diventare l’autore di oggi?
1800 canzoni, 3/4 delle quali brutte ma tutte scritte con un significato. Siamo qui per troppo poco tempo per giocare a non dire niente di ciò che siamo davvero.
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