Più Stones che Elvis, più Zeppelin che Beatles.
Andrea Spinelli scrive di musica e, all’occorrenza, anche del resto. Attualmente collabora con il Quotidiano Nazionale (Il Giorno, La Nazione, Il Resto del Carlino), con Il Mattino, anche se nel suo curriculum ci sono almeno venticinque altre testate tra quotidiani e periodici. Oltre a scrivere di spettacolo ha realizzato numerosi reportage di carattere storico-culturale in diversi angoli del pianeta.
Quando hai scoperto che il giornalismo sarebbe diventato il tuo lavoro?
Quando ho capito che avrei potuto vivere raccontando le cose. Nel frattempo, però, i tempi sono cambiati e oggi, mantenersi con il lavoro giornalistico indipendente come il mio è diventato più difficile di un tempo.
Come nasce la tua passione per la musica?
Al liceo, con i compagni. Poi nelle prime radio libere degli anni Settanta. Ma in casa mia, di (buoni) dischi ce ne sono sempre stati.
Quali sono i criteri che usi per scegliere un servizio?
Di solito sono i servizi a farsi scegliere. Spesso per una serie di dettagli da cui arriva poi l’idea su cui costruire il pezzo.
Hai un genere musicale prediletto?
Il mio primo articolo parlava di Umbria Jazz e il jazz è rimasta una componente importante della mia formazione. Ma la passione è sempre stata il rock. Più Stones che Elvis, più Zeppelin che Beatles.
Cosa non manca mai nelle tue interviste?
La voglia di raccontare le cose senza farmi condizionare più di tanto dagli interlocutori o dalle situazioni.
C’è un’intervista in particolare di cui conservi un ricordo indelebile?
Facendo questo mestiere da 35 anni, molte. McCartney che ti chiama a casa e ti dice “Hi, it’s Paul”, o gl’incontri con Keith Richards, David Bowie, Bruce Springsteen, George Harrison, Fabrizio De André, Lucio Dalla. All’inizio il mio grande sogno era quello d’intervistare tutti e quattro i Pink Floyd. Quando ci sono riuscito, mi sono detto: e adesso che faccio?
Sei per l’intervista preparata e studiata o sei solito andare a braccio?
Studiata e (quando possibile) preparata come si deve. Puoi andare a braccio in un’intervista televisiva, dove basta avere una qualche cognizione, tanto c’è il supporto delle immagini, ma non in una per la carta stampata.
Qual è il luogo o la situazione più congeniale per fare un’intervista?
Ritrovarsi faccia a faccia con l’intervistato in una situazione di relax senza stringenti vincoli di tempo. E avere la fortuna di trovarlo in buona giornata col desiderio di mettersi in gioco per davvero. Facendo numerose interviste la settimana, pure da parte mia è importante essere nello stato giusto.
Come definisci il tuo stile di scrittura, quello che ti rende riconoscibile?
Cerco, per quanto possibile, di mettere nel pezzo delle notizie, di dare dei dati e delle informazioni in modo non troppo convenzionale, magari indugiando sui legami che un dato progetto ha con altre forme artistiche o culturali. Perché nello spettacolo tutto è uno.
Web e carta stampata: com’è cambiato oggi il giornalismo? Quale prediligi?
A mio modo di vedere il compito del web e delle radio dovrebbe essere quello di lanciare le notizie, mentre la carta stampata dovrebbe spiegarle. Siamo, infatti, bombardati da news (a volte fake) ma poco abituati ad approfondirle, ad ordinarle e a trovare il filo che unisce une alle altre.
Quali ritieni siano le testate musicali di maggiore riferimento?
Apprezzo Amadeus, ma anche Rolling Stone, per i legami con l’edizione americana. Sul web Jam ha contenuti spesso interessanti.
Cosa ti aspetti dagli uffici stampa che ti contattano quotidianamente?
Professionismo. Di dilettanti in giro ne sono già abbastanza. Non ci si improvvisa giornalisti e tanto meno uffici stampa.
Siamo prossimi al festival di Sanremo, seconda edizione di Baglioni: come lo immagini?
Più del direttore artistico, in Riviera conta il livello delle canzoni presentate. Baglioni ha dimostrato di saper scegliere, ma la partita è nelle mani dei compositori. Sono loro, infatti, che portano al Festival una o più canzoni capaci di farsi ricordare. Quindi, da questo punto di vista, non resta che augurarsi una buona annata.
Che consiglio dai ai giovani che oggi vogliono approcciare al giornalismo?
Pensateci bene. La passione è una componente importante per iniziare a fare questo mestiere, ma poi serve pure il resto. Bisogna tenere sempre vive la curiosità, l’attitudine ad unire i puntini, l’obbligo morale a verificare le cose senza timore di diventare una voce critica. Tutti scrivono, infatti, ma il blogger è altra cosa rispetto al giornalista, che ha delle regole da rispettare e degli obblighi verso chi lo legge.
Andrea Spinelli è social?
Piuttosto asocial, direi. La mia presenza su FB o Instagram è decisamente irrilevante. Su Twitter ho 1.100 follower e vorrei tanto capire il perché, tenuto conto che in vita mia ho fatto solo 5 tweet (tre dei quali a Tom Petty per aggiornare un’intervista). Vallo a capire.