L’epoca digitale ha regalato tanti vantaggi in ambito musicale.
Una fruizione che però rischia di trasformare noi e i compositori in analfabeti sonori.
Un interessante fenomeno analizzato da Carlo Boccadoro nel suo ultimo saggio.
Indiscutibile la rivoluzione epocale che ha portato internet nel mondo musicale. Chi avrebbe pensato, solo fino a pochi decenni fa, di poter reperire canzoni e melodie di ogni tempo e luogo con tale facilità?
Eppure proprio questa possibilità ha inevitabilmente pesato proprio sul concetto stesso di fruizione. Ammettiamolo: quanto spesso nella quotidianità più che ascoltare musica ne orecchiamo piuttosto frammenti in un ossessivo crossover tra generi? Senza considerare quanto in questo sistema la soglia di attenzione cali progressivamente.
Il rischio di questo consumo rapido e indifferenziato interessa anche i compositori che, secondo Boccadoro, si starebbero trasformando in analfabeti sonori, intaccando il concetto stesso di storia musicale.
Nel suo ultimo libro, Analfabeti sonori, l’autore sottolinea il pericolo smarrire il senso critico abbandonandosi all’esplorazione superficiale di cataloghi tanto pericolosamente vasti.
Spotify d’altra parte propone un sistema d’ascolto che può funzionare per la musica pop ma non per altri tipi di componimenti. Riguardo le playlist di musica classica per rilassarsi afferma: «In questo contesto l’unica ragion d’essere della musica è, paradossalmente, quella di non esserci. Essa viene tollerata solamente in quanto non dà fastidio».
Non solo, questa totale accessibilità porta a perdere di vista il valore stesso della musica: “Comporre […] è laborioso, spesso per dare vita a pochi minuti di musica ci possono volere anche parecchie settimane di lavoro quotidiano”.
La parte interessante di questo saggio, all’apparenza specifico, è che si scopre come questo analfabetismo sonoro si riveli in ultima analisi anche cognitivo ed emotivo.
Quale forma di resistenza resta? Da parte dei fruitori un ascolto attento in modo che la musica non sia un mero “elemento condivisibile”. E da parte dei compositori – conclude Boccadoro – continuare a produrre arrivando ad una “platea di persone non abbruttite intellettualmente da un consumo musicale inutilmente frenetico e biodegradabile”.