A tu per tu con la cantante e artista di strada Marina Madreperla, il suo appello a favore dell’intera categoria
Milanesi e turisti sono abituati a vederla cantare per le vie della città Marina Madreperla, cantante di mestiere e artista di strada per vocazione. La sua voce, la sua simpatia e la sua inconfondibile macchinina illuminata, rappresentano una costante per tantissime persone che passeggiano o attraversano il centro del capoluogo lombardo. Abbiamo il piacere di ospitarla in questo quarto episodio della rubrica “Protagonisti in secondo piano“.
Come ti sei avvicinata alla musica e come si è evoluto negli anni il tuo mestiere?
Ho cominciato studiando canto in una scuola privata, per poi esibirmi nei pianobar, in lotta continua con i miei genitori che non volevano. Con gli anni sono passata alla musica da ballo, suonando in varie orchestre, fino a fondarne una mia insieme al mio ex compagno, con cui sono rimasta ancora oggi in ottimi rapporti. Nel frattempo lavoravo nel settore bancario, fino a quando mi sono sono ritrovata davanti ad un bivio e ho scelto di dedicarmi completamente alla musica. Non so se questa decisione sia stata dettata dall’incoscienza o da un eccesso di autostima. In parallelo, una serie di coincidenze mi hanno portata ad occuparmi anche di un’agenzia di eventi.
Inizialmente andava tutto bene, ma dopo sono arrivati anni più difficili dal punto di vista economico, i pagamenti dei clienti arrivavano sempre in maniera più diluita. Per una concatenazione di situazioni, ho deciso di tirare fuori dal cassetto un sogno che avevo già da diverso tempo: fare l’artista di strada. Più volte mi era venuta voglia di provarci, ma alla fine avevo sempre desistito, disincentivata dalle persone che mi circondavano, perché la forma mentis italiana, rispetto a quella europea e internazionale, è molto ristretta. Si tende a generalizzare, a pensare che si tratti di elemosina, il che sarebbe comunque molto dignitoso. Diciamo che la realtà della strada, che ho intrapreso circa sette anni fa, mi ha insegnato tanto.
Un pregiudizio tutto italiano, soprattutto se consideriamo che anche un talento come Ed Sheeran ha cominciato esibendosi come artista di strada. Da cosa deriva, secondo te, questo preconcetto?
Manca sicuramente un’azione di sensibilizzazione da parte delle autorità, perchè in Paesi come l’Inghilterra o la Germania l’arte di strada è ampiamente riconosciuta. Ad esempio, Londra è stata l’antesignana dell’utilizzo del POS, proprio perchè si tratta di un tipo di professionalità universalmente riconosciuta. L’Italia è ancora indietro perchè si tende a pensare che in strada ci si finisce non per scelta, ma per necessità. Ci sono colleghi che hanno fatto il percorso contrario, hai appena nominato uno dei più celebri, ma tanti altri artisti sono partiti così. La strada è una specie di talent show, quale miglior pubblico dei passanti? Se riesci a convincerli a fermarsi hai vinto! Personalmente ho fatto una scelta di vita diversa, prendendomi cura dei miei cani non posso spostarmi più di tanto, altrimenti avrei preso un bel camper e mi sarei fatta un bel giro, sia in Italia che all’estero.
A proposito di mezzi di trasporto, la tua vettura non passa di certo inosservata, anzi è molto fashion, dotata di lucine colorate e di una serie di optional, ovvero l’attrezzatura che ti serve per esibirti…
Beh, in effetti (sorride, ndr). Avendo sempre avuto un po’ la fissa dei costumi di scena, girare con un baule pieno di abiti e con l’attrezzatura era impensabile. Per cui ho acquistato questo scooter elettrico a quattro ruote e l’ho trasformato in quella che molti ragazzi che mi vengono ad ascoltare chiamano “la papamobile”. Da allora è stata la mia compagna di avventure, oggi non potrei prevedere di farne a meno.
Cosa ti ha dato e insegnato la strada?
Mi ha dato tanto a livello artistico, non solo personale e interiore, diciamo che mi ha completata. Rispetto al successo che in passato avevo un po’ rincorso, ho cominciato a sentirmi finalmente appagata. La strada ti cattura, è sia furba che ingenua, in più bisogna considerare che Milano non è una grandissima città, ci si incontra facilmente e si conosce quasi tutti, per cui si crea un cerchio di energia molto intenso.
Sicuramente in questi anni ne hai viste di tutti i colori, ma c’è un episodio che ricordi con particolare affetto?
Sì ed è accaduto anche di recente, qualche settimana fa in Darsena, quando ancora ci potevamo esibire. Non c’era quasi nessuno in giro, poi all’improvviso dopo la chiusura dei bar delle 18.00 sono arrivati circa duecento ragazzi. Chiaro, ero l’unica lì, non è che avessero questa grande alternativa, ma è anche vero che non faccio un repertorio vicino al loro target, non canto J-Ax. Questa cosa mi ha particolarmente emozionata, sono rimasti fino alla fine del mio turno, ci siamo divertiti, abbiamo cantato ma anche parlato tanto. E’ stata un’esperienza unica, impagabile.
Venendo all’attualità e alla pandemia, quali sono le principali criticità che hanno colpito la tua attività nell’ultimo anno?
Ci sono varie fasi che hanno caratterizzato il momento attuale. Partiamo dal presupposto che l’intera categoria dello spettacolo è ferma ormai da mesi, di conseguenza le persone non possono andare a vedere concerti, a teatro oppure a ballare. Quando a luglio abbiamo potuto riprendere, grazie all’intervento di Red Ronnie, abbiamo assistito al grande apprezzamento da parte della gente per la nostra presenza. Parlo al plurale perchè è un’esperienza che hanno vissuto anche tanti miei colleghi. Poi è arrivata la seconda fase pre-chiusura, dove il pubblico era molto presente, anche se c’era poca gente in giro, perchè si poteva uscire solo per andare a lavorare, ma le dimostrazioni di affetto erano molto profonde. Fino alla definitiva chiusura arrivata con la proclamazione della zona rossa e così è rimasto, anche dopo la riapertura delle attività commerciali.
Il nostro sindaco ha realizzato delle iniziative molto belle, tipo gli alberi che ci sono in giro per la città, ma ha messo la musica in un angolo. Questo è sbagliato, perchè si poteva procedere alla riapertura in totale sicurezza per le feste, perchè abbiamo vissuto un Natale purtroppo silenzioso. Questo è molto triste, non solo per noi cantanti, ma anche per i mestieranti, i ritrattisti e l’intera categoria. Lo dico in maniera serena e assolutamente non polemica ma, secondo me, a monte c’è un meccanismo politico. Chi amministra la città ha l’obbligo con la prefettura di far rispettare quello che è stato disposto, ma a Torino il sindaco e il prefetto si sono messi d’accordo riaprendo l’arte di strada, perché c’era la volontà di colorare il Natale. A Milano questa volontà non c’è, da una parte lo capisco pure perchè si temono assembramenti.
Sì, ma gli assembramenti ci sono lo stesso per l’accensione dell’albero di Natale, basterebbe vigilare e controllare. Tra l’altro vi esibite sempre in snodi centrali presieduti dalle forze dell’ordine, non in zone periferiche meno controllabili. Poi accade che le metro sono affollate e c’è ressa davanti ai supermercati per comprare un paio di scarpe. Qualcosa non quadra…
Hai perfettamente ragione, per me è un grande dolore non poter allietare i momenti degli amici milanesi in un periodo come questo. Calcola che comunque il resto della Lombardia è tutta aperta, potrei andare ad esibirmi tranquillamente a Busto Arsizio, oppure a Bresso. Alcuni miei colleghi lo stanno facendo, per me è più complicato spostarmi con la mia macchinetta cablata, dovrei smontare tutto e andarci con l’auto. In più, fortunatamente, in questo periodo sto lavorando facendo consegne, mi sono dovuta reinventare. E’ un’attività che oggi a Milano funziona parecchio, anche se c’è comunque tanta concorrenza.
Rispetto ai lavoratori dello spettacolo, ci sono delle associazioni che tutelano i diritti della vostra categoria?
A livello informale potremmo essere considerati anche noi lavoratori dello spettacolo ma, di fatto, non lo siamo. In primis perchè non siamo inquadrati, magari qualcuno di noi ha deciso di aprirsi una partita IVA, ma considera che il nostro reddito è davvero irrilevante, i nostri turni durano due ore, a parte alcune eccezioni rarissime. Funziona in questo modo: il comune mette a disposizione una piattaforma alla quale ci sono 1.300 iscritti. Ciascuno sceglie una delle circa 250 postazioni in giro per la città e la prenota per massimo due ore, gli orari sono fissi: 11.00-13.00, 14.00-16.00, 17.00-19.00 e 20.00-22.00.
Di fatto, siamo una categoria a parte, anche se una volta ero anche io un’artista a cachet, quindi comprendo le numerose problematiche anche di quel settore. Per quanto ci riguarda, sono nate alcune associazioni per la nostra tutela, ma si trovano a fare i conti con l’ingestibilità dell’artista di strada che, per sua natura, è uno spirito libero. Questo porta ad un bassissimo numero di iscritti, considera che le tre associazioni presenti sul territorio, annoverano circa il 6% di tutti gli artisti milanesi. Per cui è ancora più difficile fare categoria.
Cosa ti manca di più del tuo lavoro e quale augurio ti senti di rivolgere a tutti noi per il 2021?
Sicuramente mi manca il contatto con pubblico, mi manca la strada. L’augurio è che tutto possa riaccendersi al più presto, che questo incubo possa finire. Quello che chiedo dal punto di vista lavorativo è una possibilità, come ce l’hanno gli ambulanti che vendono le bibite, perchè anche attorno al loro baracchino potrebbero verificarsi assembramenti. Noi non vendiamo niente, che fastidio da una radiolina accesa? A cosa serve spegnere la musica anche per strada?