A tu per tu con l’arrangiatore e producer Mario Natale, per parlare del suo impegno professionale e del difficile momento che il mondo della musica sta attraversando
Professionalità e umanità possono e devono andare a braccetto, Mario Natale ne rappresenta un esempio calzante. Arrangiatore e producer, nel corso della sua carriera ha collaborato con numerosi artisti della scena nazionale e internazionale, come Loredana Bertè, Jovanotti, Nek, Patty Pravo, Gianluca Grignani, Toto Cutugno, Franco Fasano, i Ricchi e Poveri, Francesco Salvi, Fiorello, Matteo Faustini, Amii Stewart, Dee Dee Bridgewater, Randy Crawford, Papa Winnie e molti altri, arrivando a vincere per ben due volte il Festival di Sanremo come direttore d’orchestra, nel 2002 tra i Campioni con i Matia Bazar e nel 2005 tra le Nuove Proposte con Laura Bono. Abbiamo il piacere di ospitarlo in questo terzo episodio della rubrica “Protagonisti in secondo piano“.
Come ti sei avvicinato alla musica?
Sin da piccolo, i miei genitori mi iscrissero ad un corso di fisarmonica a sei anni e ci riprovarono qualche tempo dopo con delle lezioni di musica. La cosa buffa è che, in entrambi i casi, gli insegnanti ci dissero che ero negato, che la vivevo come una forzatura, che era meglio lasciar perdere. Pian pianino la passione ha cominciato a serpeggiare in me, fino a quando non ho capito autonomamente che se volevo far qualcosa dovevo approfondire.
Da lì ho cominciato a studiare e, finite le scuole superiori, a suonare in una band. Ci esibivamo nelle discoteche, negli anni ’80 si ballava ancora con la musica dal vivo, così mi sono ritrovato a riarrangiare un ingente quantitativo di successi in voga in quel momento. Parliamo di cento canzoni l’anno, calcola che l’ho fatto per circa un decennio. E’ stata una bella palestra, un’esperienza che mi ha portato, in maniera del tutto naturale, a dedicarmi successivamente da solo ai miei primi arrangiamenti.
Com’è cambiato negli anni il tuo lavoro considerando l’evoluzione tecnologica?
Ho cominciato a fare dischi nella seconda metà degli anni ’80, all’epoca non si poteva più di tanto lavorare in un contesto casalingo, perchè le attrezzature erano ingombranti, per registrare si usavano le ventiquattro piste con i nastri a due pollici. Tutto era anche meno economico rispetto ad oggi, pensa che un nastro dove ci stavano massimo tre canzoni costava 300.000 lire. Con l’avvento della tecnologia, tutto si è trasferito sul computer. Se per mettere in piedi uno studio una volta servivano almeno cento milioni del vecchio conio, oggi con 5.000 euro hai tutto a casa.
Produrre musica è diventato decisamente più accessibile, quali sono i pro e i contro?
Credo che i pro siano tanti, perchè realizzare musica al computer ti permette di avere un preascolto di quello che andrai a fare con gli strumenti veri. Il tutto è accessibile a molta più gente, c’è più democraticità diciamo, chiunque può avere le attrezzature per realizzare una hit. Di contro c’è un’impressionante produzione di musica, che non penetra nell’attenzione dell’ascoltatore, è come buttare un bicchiere di coca cola in una vasca da bagno, vedi che l’acqua cambia un pochino di colore, ma sicuramente non ne senti il sapore.
Questo ha portato ad una crisi del settore, ancora prima del Covid. Quali sono state le principali cause?
La discografia non è più stata capace, secondo me, di tenere testa alla situazione. Ha iniziato a dipendere troppo dalle radio, poi ha cominciato a tagliare sul personale e sulle produzioni, soprattutto quando le vendite dei dischi sono calate. Mi riferisco in modo particolare alle multinazionali che, essendo aziende, hanno dei bilanci da far quadrare. Una volta i direttori artistici puntavano e investivano sui talenti, anche se i primi album non andavano bene, un esempio su tutti è Lucio Dalla. Oggi questa cosa non c’è più, l’etichetta discografica tende ad ingaggiare chi ha già comunque un suo successo, guardando ai numeri e ai follower. Non si rischia più, si va sul sicuro.
Venendo all’attualità, invece, quali sono le reali criticità dell’intera filiera?
Fondamentalmente ci sono tanti operatori dello spettacolo che non possono lavorare, tutta una serie di musicisti e tecnici che non possono fare serate. L’intera macchina dei live è immobilizzata. Mia moglie Paola è una bravissima batterista, ha suonato con grandi artisti, quest’estate ha fatto un paio di concerti, dei trenta che erano in programma, poi tutto si è rifermato. Nonostante questo i mutui vanno avanti e le tasse vanno pagate, in più bisogna pur mangiare. Per quanto riguarda la mia attività da produttore, molti dei lavori che avrei dovuto realizzare sono tenuti a freno, rimandati a data da destinarsi.
Quindi il problema non è soltanto di chi lavora con i live, ma anche di chi produce in studio?
Beh sì, almeno per quanto mi riguarda, poi ci sono le grosse produzioni che vanno avanti, non è che Vasco Rossi si fa intimorire da questa situazione per realizzare un album. Certo è che, ormai da tempo, la produzione dei dischi e l’attività live non viaggiano più su due binari paralleli, le due cose sono strettamente legate. Sicuramente un rallentamento nella produzione discografica c’è, perchè far uscire troppe cose in un momento delicato come questo.. è un po’ come la coca cola nella vasca da bagno di prima.
Secondo te, cosa si potrebbe fare di concreto per risollevare questa complicata situazione?
Sai che non so risponderti? C’è un mercato che fa sì che una persona anziché fare il ragioniere faccia il musicista, in un determinato momento storico della società. Quando repentinamente si alterano i meccanismi e la situazione viene ulteriormente gravata dalla pandemia, di colpo cambiano le regole. Tutte le persone che prima potevano avere delle possibilità professionali, si ritrovano ad essere messe in discussione. Da musicista patisco questa cosa, ma mi sento comunque un privilegiato, perchè sono ben altre le figure in difficoltà. Come fare non saprei, anche perchè non abbiamo mai vissuto una situazione del genere. Mi ritengo fortunato ad aver vissuto in un momento particolarmente florido, si respirava musica in maniera fantastica, mentre oggi questa cosa non lo sento, siamo presi da tante e troppe cose. Qual è la prima cosa che fai quando ti svegli al mattino?
Mi metto a scrivere, a lavorare…
Secondo me, prima ancora prendi il telefono e controlli le notifiche…
Beh sì, hai ragione, lo davo addirittura per scontato!
Ecco, infatti. Siamo incollati a quell’oggetto per davvero troppo tempo, mentre una volta tutto questo non c’era. Quando mi mettevo ad ascoltare un disco non avevo altre distrazioni, era davvero una fonte di gioia. Sono gli usi e i costumi che cambiano, dovremmo utilizzare la tecnologia come una un’opportunità, cercando di non lasciarci influenzare così tanto.