La musica per me è fondamentale. Mi aiuta a “entrare dentro”, mi collega subito con la mia immaginazione, è una specie di mondo parallelo in cui le cose, comunque, vanno bene, anche nel dolore
Laura Pasetti, dopo essersi diplomata attrice alla scuola del Piccolo Teatro di Milano, muove i suoi primi passi lavorando con grandi maestri quali Giorgio Strehler, Luca Ronconi e Massimo Castri.
Ma si sente irresistibilmente attratta dalla regia e soprattutto dalla pedagogia attoriale.
Non trascurando di calcare le scene, per 10 anni ha insegnato alla Scuola di Teatro del Piccolo Teatro di Milano e per 5 presso l’Accademia del Teatro alla Scala.
Dopo l’incontro con Anatoji Vassiliev in Russia nel 2005– che lei stessa definisce decisivo per il suo futuro –si trasferisce in Gran Bretagna dove fonda Charioteer Theatre dedicandosi alla realizzazione di spettacoli in lingua inglese per ragazzi dai 13 ai 19 anni.
Si specializza quindi nel lavoro con e per gli adolescenti, alternando la guida di corsi e laboratori con la regia.
Da alcuni anni si è trasferita nel nord della Scozia e vive in un eco-villaggio dove si dedica alla pedagogia e alla ricerca, ma torna spesso in Italia a portare i propri spettacoli, o a partecipare come attrice a importanti produzioni.
Ha sviluppato un suo metodo di lavoro in cui il teatro ha la funzione di collegare l’uomo alla natura e di supportarlo nella realizzazione del proprio scopo legato al pianeta: Eco Teatro; offre regolarmente laboratori per artisti in Italia e in Gran Bretagna creando percorsi alternativi che aiutino alla scoperta della propria identità individuale e collettiva.
Iniziamo parlando del tuo rapporto in generale con la musica. Cosa ascolti? Cosa ti piace o cosa ti piace meno?
La musica per me è fondamentale. Mi aiuta a “entrare dentro”, mi collega subito con la mia immaginazione, è una specie di mondo parallelo in cui le cose, comunque, vanno bene, anche nel dolore. Si, perché anche nel dolore mi accompagna in modo comunque piacevole, sopportabile. Vado a periodi, e spesso ne ascolto molta, tendenzialmente sempre le stesse cose. Ritornare agli stessi suoni a cui ti sei affezionato ti dà sicurezza, no? Come gustare la madeleine per Proust…
Ascolti più classica o leggera?
Musica classica molto, ma anche contemporanea come ad esempio Tsapropoulos…adoro quel genere, il suo genere. Spesso nei seminari uso Einaudi, perché non evoca sbalzi emotivi forti, non provoca alterazioni violente, diciamo, quindi mi serve perché se uso musica durante gli esercizi voglio che la persona riesca a trovare lei la sua strada, e con quel tipo di tappeto sonoro non resta molto influenzata.
Ascolto anche tanto Sara Jane Morris, Pink Martini. Sara l’ho conosciuta, la adoro, è molto teatrale. Poi musica pop che piace agli adolescenti: Lewis Capaldi, Ed Sheeran, me li sento volentieri, ma quelli che mi danno peso sono soprattutto i classici. Non mi piace molto il jazz in generale, ma ascolto un po’ di tutto: rap, etnica. Le musiche sono come i libri: bisognerebbe leggere un po’ di tutto, quindi ascoltare un po’ di tutto.
È importante, soprattutto per chi si occupa di arte. Un artista per acquisire più colori sulla propria tavolozza deve ascoltarne tanta di tutti i generi.
Musica a Teatro: Laura Pasetti
La musica nasce col teatro, dagli albori. Oggi nel teatro di prosa ti sembra sia trascurata?
Secondo me abbiamo perso il contatto, abbiamo perso il dialogo con tutto quindi anche con la musica. Se non si tratta di un musical, ritengo che si, che sia trascurata, è spesso solo un accompagnamento, o viene usata per i cambi scena, invece è interessante quando c’è un dialogo. Alcune cose dovrebbero essere affidate solo a lei, in momenti magari in cui in scena non avviene quasi niente, ma grazie a lei si entra in quel mondo lì.
Mi spiace ammetterlo ma anche io finora non ne ho “usata” abbastanza, per motivi diversi, ma penso che la musica sia anche più importante della parola, per quanto è evocativa e sottile, per cui ho intenzione di lavorare di più su questo, anche grazie agli stimoli che mi stai dando con queste domande….
Tu hai lavorato con Strehler, che aveva al suo fianco un musicista eclettico come Fiorenzo Carpi, come al fianco di Brecht c’era ad esempio Weill. Ritieni che un compositore sia, o possa essere, una sorta di altro drammaturgo?
Certo. Io ho vissuto molte prove anche dell’Arlecchino, a cui ho partecipato, e in cui Carpi era presente. La cosa bella è che appunto lui seguiva le prove, poi a un certo punto Strehler gli chiedeva di mettere in musica quello che aveva visto.
Lui si rintanava in una delle aule (guarda caso l’aula Brecht) e ridiscendeva in sala dopo un’ora con un piccolo pezzo, magari semplicissimo, ma che racchiudeva a livello sonoro quello che era avvenuto. C’era un rapporto, tra il regista e il musicista, stretto e bellissimo.
Comunione d’intenti, affinità ecco. Ora succede, ed è successo anche a me, che il regista commissiona, da lontano, spiega al compositore cosa vorrebbe e lui scrive sul pentagramma.
Invece ultimamente ho chiamato una compositrice e le ho chiesto di seguire tutto il corso on line che stavo tenendo, perché ritenevo fosse importante che lei fosse lì a vedere, a vivere quello che stava succedendo. Il compositore dovrebbe essere parte proprio del team di regia.
Il pubblico?
Il pubblico bisogna riabituarlo ad ascoltare, oltre a vedere. Quello che avviene in scena è parola, azione ma anche suono. La gente ha perso l’orecchio, ascolta ogni genere di spazzatura, anche perché da sollecitazioni sonore di ogni genere siamo tormentati, ne siamo immersi … diventa tutto soprattutto rumore.
Si dovrebbe riabituarla ad ascoltare. Un tempo la musica aveva una funzione teatrale, raccontava. Poi è nata l’opera, ma dovrebbe tornare ad essere importante sempre, a teatro, è vero: non solo uno stacchetto.
Gli attori si sentono appoggiati o distratti dalla musica di sottofondo?
Non c’è abitudine. Dipende dall’attore, alcuni apprezzano altri no. Ho diretto uno spettacolo in cui ho inserito una musicista dal vivo, questa è la cosa che mi piace di più in assoluto e sto andando ancora in quella direzione. Per la prossima mia produzione vorrei avere fisarmonica e flauto irlandese in scena. I musicisti però devono essere parte del tutto, avere il loro spazio e il loro senso. Devono essere in scena, essere attori, la loro funzione è essere parte della scena.
Cosa impedisce di cercare autori compositori?
Problema di costi soprattutto. La commissione, a parte i diritti d’autore. Molti altri registi lo farebbero volentieri, cercare un compositore da avere a fianco. Ormai la questione economica soprattutto per le compagnie medio piccole, è decisiva. Peccato perché appunto la musica può fare tantissimo, arrivare dove la parola non arriva. Se ci fosse una società di drammaturghi musicali che avesse a cuore la problematica…Qui in Scozia c’è più consapevolezza per esempio di chiamare un drammaturgo, più che in Italia, per un allestimento, ma per quanto riguarda la musica no. Nemmeno qui.
Se metti in scena Shakespeare pensi alle musiche d’epoca magari già scritte o vorresti inserire tutt’altro?
Vorrei trovare un rapper che facesse una contaminazione, delle variazioni, degli arrangiamenti, una cosa nuova contemporanea partendo dagli spunti antichi, se ci sono. Richiamo al passato ma attualizzato, come da drammaturgo si fa per il resto della messa in scena.
Al cinema la musica è fondamentale, certe musiche sopravvivono anche al film.
Infatti. Sarebbe bello succedesse anche per le musiche scritte per la scena, come abbiamo detto che è successo, ad esempio, con alcune di Carpi o di Kurt Weill. Non disperiamo…
Nelle scelte musicali ti fai aiutare dai tuoi interpreti?
Assolutamente si. Spesso mi capita di dirigere una scena e un’improvvisazione e chiedere a loro: che musica o che canzone ti viene in mente? Io lavoro tanto con i giovani, e i ragazzi ascoltano molta musica, anche molto colta e son capaci di fare collegamenti impensabili.
Ricordo uno dei miei allievi di quindici anni che mi ha citato una canzone di Mino Reitano a proposito di un riferimento sonoro o di testo particolare che cercavo. Incredibile…Son capaci di connessioni inaspettate.
L’incontro con Vassiliev in Russia ti ha dato una svolta di vita fondamentale, vero? Anche per il tipo di teatro che fai ora, non convenzionale.
Eh si. Mi ha davvero aperto la mente in modo speciale. Ho cominciato a pensare al teatro in modo tutto diverso, al suo senso etico, alle sue ancore profonde, alla disciplina. Non sono più riuscita a pensare che il percorso di un attore può essere distinto dal suo percorso di vita.
L’attore per me non fa un mestiere, intraprende una missione. E un “missionario” ha bisogno di un luogo privilegiato, nutriente, stimolante, da proteggere, e da cui farsi proteggere. Ho trovato questa mia terra in Scozia….
E adesso?
Adesso parto con questo nuovo progetto che ho intitolato “Teatro delle Sette Direzioni”, un approfondimento in comunione, sulla missione dell’Artista in questo periodo così buio, sull’Ecoteatro, cioè su una forma di rappresentazione sostenibile, su riconnessioni e su tanto altro.
Si parlerà anche di musica?
Sicuramente…Di musica e di silenzio.
Chi volesse avere più informazioni su Laura Pasetti e i suoi progetti può visionare la sua pagina fb, la sua pagina web o quella di Charioteer Theatre
Articolo a cura di Sergio Scorzillo