La musica è qualcosa di atavico, i suoni li produciamo anche noi, ancora prima del linguaggio verbale vero e proprio, e addirittura li ascoltiamo anche nel grembo materno
Stefania Bussoli fin dalla tenera età sviluppa un interesse per la musica l’arte e la letteratura, influenzata dalla madre attrice di prosa, e dallo zio direttore di coro, musicologo e insegnante di Storia dell’arte a Mantova. Si diploma come disegnatrice Grafica-Pubblicitaria e poi in lingua Inglese con Proficiency alla British School – University of Cambridge. Parallelamente porta avanti una formazione sia musicale, studiando chitarra, pianoforte e canto, che attoriale.
Inizia la carriera artistica giovanissima come speaker radiofonica e DJ in alcune radio milanesi. Nel 1985 sostiene l’esame SIAE come autrice di canzoni e partecipa a diversi concorsi musicali come cantante e autrice arrivando al primo posto a “Disco Primavera” nel 1986. Gira l’Italia esibendosi sia come solista che come corista, in gruppi supporter. Insieme alla musica, non dimentica il suo amore per il teatro e frequenta corsi di dizione e recitazione a Milano.
Nel 1986 si trasferisce a Bergamo, studia e si diploma alla scuola per attore del Teatro Prova di Bergamo e segue corsi di specializzazione e masters, sia nel canto che nel teatro, con vari professionisti, tra i quali Mamadou Dioume e John Strasberg. Si dedica poi a teatro e reading per bambini e, sempre più spesso, si trova ad unire l’attività di cantante a quella di attrice.
Tra le collaborazioni più recenti ci sono quelle con Qui e Ora residenza teatrale, Teatro Stalla, Associazione il Viandante, Teatro dell’Umano, Associazione Villa Buzzati.
Tiene laboratori teatrali e sull’uso della voce, scrive e cura la regia di diversi spettacoli. Dal 2018 lavora con SATS Scuola d’Arte Teatrale Treviglio, dove è docente di Teatro e Lettura espressiva.
Che rapporto hai con la musica? Tu, a differenza di altri che ho intervistato, sei anche una cantante, per cui l’hai studiata.
Con la musica ho un rapporto viscerale; di grande amore e, a volte, di grande odio. Da piccola in casa si ascoltavano i più svariati generi: nonna ascoltava alla radio Claudio Villa, Buscaglione, il Quartetto Cetra. Eravamo negli anni 70 e mio fratello, molto più grande di me, ascoltava gli Abba, Le Orme e in seguito Guccini e De Andrè.
Mia madre amava Frank Sinatra, Bing Crosby e Glenn Miller, mentre mio padre mi ha sommersa con l’opera e la musica classica… Avevo poi uno zio prete anche musicologo che dirigeva una corale polifonica a Mantova. Avevano un repertorio sia classico che gregoriano, (pensa che negli anni 80, ritrovò delle musiche dei Gonzaga, che riadattò e ci incise un disco con il suo coro insieme agli Ottoni di Verona). Perciò ho avuto un imprinting decisamente variegato.
Hai cambiato negli anni il modo per ascoltarla?
Il mio modo di ascoltare la musica è sicuramente cambiato quando ho iniziato a studiare chitarra, pianoforte e canto: ho iniziato ad ascoltarla in parte con orecchio più critico, ma più aperto e curioso.
Cosa ascolti con più piacere oggi?
Attualmente, pur apprezzando ancora tutti i generi, ho una predilezione per il jazz e la musica degli anni 40/50, ma dipende molto dall’umore; da lì il mio rapporto di amore/odio. Ogni genere tocca corde diverse dentro di me, e non mi basta sapere che quel pezzo mi piace per farmelo piacere sempre. Sono molto istintiva in questo.
La musica nel tuo lavoro?
Per anni ho cantato professionalmente in ambiti diversi, dalla musica da ballo (quando ancora si suonava tutto dal vivo, e ci facevi una gran gavetta!) al pianobar, alla lirica e quindi è sicuramente stata il centro nel e del mio lavoro. Da quando mi sono dedicata più al teatro, è rimasta comunque in sottofondo, a volte nel vero senso del termine.
La musica la ritieni fondamentale in uno spettacolo teatrale?
Non credo sia necessaria in uno spettacolo teatrale, specialmente nel teatro di prosa, che, se fatto bene, basta sicuramente a sé stesso, ma può essere utile se funzionale a quello che si vuole trasmettere. La musica è qualcosa di atavico, i suoni li produciamo anche noi, ancora prima del linguaggio verbale vero e proprio, e addirittura li ascoltiamo anche nel grembo materno.
È certo che i suoni arrivino a segno diretti, ancora prima delle parole, perciò, sicuramente la musica, usata con parsimonia e intelligenza, può essere utile anche nel teatro. Non deve sostituire delle carenze, però, “riempire” dei buchi, diciamo…e oggi giorno, a volte, invece è così.
Musica a Teatro: Stefania Bussoli
Ci si accorge di questo, quando viene usata come si usano certe volte le colonne sonore dei film: prova a guardare la scena di Psyco, per esempio, senza la sua ormai famosissima musica di sottofondo, e perderà gran parte della suspense e del suo pathos.
Ecco, nel teatro non può avere quella funzione lì, secondo me… non può accadere che se non parte la musica di effetto il teatro non smuova nulla.
Hai degli aneddoti? Hai usato musiche scritte appositamente per un tuo spettacolo?
Anni fa misi in scena uno spettacolo ispirato all’Antologia di Spoon River, dove si giocava più sulla suggestione e il movimento (la prima la facemmo in un cimitero antico nella Basilica di Santa Giulia a Bonate Sotto (BG) e la musica fu scritta ad hoc da un chitarrista, ma il più delle volte mi avvalgo di musiche edite.
Questo comunque dipende molto dalla regia, dalla drammaturgia che faccio per quello spettacolo specifico. In altre occasioni ho cantato io a cappella, oppure ho chiesto agli attori di lavorare con percussioni, strumenti acustici o addirittura fare “body music” con il corpo, ma più improvvisando, senza una vera partitura.
A parte gli allestimenti coordini molti laboratori, vero? Lì cosa succede?
Nei laboratori teatrali la uso molto, specialmente per tutto il lavoro sul corpo e il movimento, e utilizzo i più svariati generi, perché comunque deve dare un po’ di suggestione o di ritmica, ma non deve condizionare troppo l’espressività individuale.
Durante le letture sceniche, a volte viene usata ma con attenzione: deve essere molto lieve e se eseguita da un musicista dal vivo meglio ancora, poiché deve diventare un commento che esalta la lettura, non qualcosa che prevarica e distrae dall’ascolto del testo e nemmeno competere con l’attore che altrimenti ne sarebbe notevolmente distratto.
Ma per te la musica ha una valenza drammaturgica?
A mio avviso, la musica non ha un valore drammaturgico in sé, ma può averlo: pensiamo per esempio al teatro danza, dove non c’è la parola, movimento e musica sono parti inscindibili della narrazione. Se usata come parte del tutto e non “messa a caso” per colmare lacune, come dicevo prima, può certamente avere un ruolo drammaturgico.
La parte economica come interviene nelle scelte “musicali” abbinate al Teatro?
Non è un mistero che nella maggior parte delle produzioni teatrali italiane, se non parliamo di alcuni grandi stabili foraggiati dallo stato, le risorse finanziarie siano decisamente inadeguate, se non quasi inesistenti, e questo sicuramente influisce molto anche sulla scelta musicale.
Se si deve pagare un compositore, uno o più musicisti che suonano la musica composta, e in seguito anche i diritti d’autore, è più conveniente, sicuramente, pagare solo i diritti per un pezzo già bell’e fatto e adeguarlo a ciò che si deve fare. È triste, ma è così.
Tornando allo spettacolo di cui ti ho parlato sopra, per ragioni sue personali, il compositore voleva regalarci le musiche scritte appositamente, e ricordo avemmo parecchie difficoltà con la SIAE. Dopo svariate rassicurazioni fatte da lui stesso, alla fine fu obbligato s rilasciare una dichiarazione ufficiale scritta, in cui rinunciava ufficialmente ai diritti su quelle musiche.
In questo momento difficile per il settore mi vuoi parlare di progetti?
Al momento, mi piacerebbe molto, poterti parlare di progetti futuri, ma la verità è che, con la pandemia in corso, è tutto più incerto che mai. Avevo una versione teatrale di Pinocchio in embrione, proprio con due musicisti dal vivo ed anche un pittore, che avrebbe dovuto debuttare in Sicilia ma, a questo punto, non so se vedrà mai la luce.
Intanto, cerco di portare avanti i corsi presso la scuola teatrale dove insegno (SATS Scuola d’Arte Teatrale Treviglio – scuola di teatro e circo), un po’ on line, un po’ dal vivo, a seconda del “colore pandemico”, sto approfittando per seguire io stessa dei corsi di formazione e mi sto dedicando alla scrittura.
Voglio però essere positiva e credere che da queste ceneri, il teatro si potrà rigenerare e spiccare il volo come un’araba fenice, d’altra parte, da che mondo e mondo, il teatro, come la musica, lo ha fatto molte volte, e lo farà certamente ancora ed io cerco di prepararmi al gate di imbarco.
Per avere ulteriori info a riguardo del lavoro di Stefania Bussoli potete visionare: www.scuolateatrotreviglio.it
Oppure le sue pagine personali instagram o facebook cercando “stefania.bussoli” (scritto proprio in minuscolo).
Articolo a cura di Sergio Scorzillo