Fotografare è arte che ci permette di vedere e guardare, con occhi diversi
Quando si parla di musica, si pensa immediatamente all’ascolto. Vedere la musica sembra un controsenso e, lo so, anche una pazzia. Eppure, c’è una vastità d’immagini che ritraggono la musica e i suoi interpreti, che sono opere d’arte. Può essere che la protagonista sia la moda, ma c’è sempre una colonna sonora che l’accompagna. Fotografare è arte che ci permette di vedere e guardare, con occhi diversi. Non si tratta solo di tecnica e di filtri, ma di un’immaginazione che passa attraverso l’anima. Ogni fotografo firma in modo inequivocabile, come un pittore, le sue opere.
Vedere la musica: Invito al viaggio
Queste ci parlano del suo autore, della sua sensibilità, la stessa che lo spinge a sottolineare e a mostrarci il suo punto di vista. Le fotografie possono essere una “voce” ulteriore e inaspettata. È un viaggio da intraprendersi con occhi e cuore. Un ritratto non è solo un ritratto, ma la possibilità di andare oltre, di avvicinarci e vedere al di là delle apparenze.
Mi piacerebbe “invitarti al viaggio” (per usare le parole del maestro Franco Battiato e di Manlio Sgalambro) attraverso dieci tappe con altrettanti fotografi che hanno raccontato la musica, la moda, lo spettacolo, gli eventi. Immagini emblematiche che, spesso, sono diventate simbolo di un’epoca. Mi piacerebbe poter “vedere” attraverso gli occhi di chi sta dietro l’obiettivo.
L’arte non prevede confini o separazioni, ma ci permette di esercitare i nostri sensi, tutti.
Volutamente scelgo di definirlo viaggio, perché ci permette di entrare in confidenza con la sensibilità, oltre che il punto di vista del fotografo. Le sue immagini parlano inequivocabilmente, della donna o dell’uomo che sta dietro l’obiettivo.
Un modo per conoscere, osservare, mettendo in primo piano chi solitamente non si mostra. Un viaggio alla scoperta di quella che è “la camera oscura” dove nascono meraviglie: l’anima.
Le fotografie di “Nando” sono di Gabriele Lupo fotografo e video produttore
Articolo a cura di Paola Ferro