La musica in teatro è un elemento di costruzione drammaturgica dell’azione scenica.
Virgilio Patarini è un artista a tutto tondo…e non nel senso fisico (mi perdonerà la battuta, visto che è ultimamente molto dimagrito), ma in senso stretto. Si occupa di Arte, punto. È pittore, scultore, attore, regista, editore, poeta. Organizza mostre e spettacoli, e spesso mostre con spettacoli.
Allievo di Renato Barilli, dal 2011 al 2015 è stato consulente del C.A.M., catalogo d’arte moderna della Giorgio Mondadori ed è stato autore di cataloghi tematici dal titolo Post avanguardia, La materia è il colore e Terza dimensione. Oltre ad altri importanti volumi dedicati all’arte informale e al volto e la figura nell’arte contemporanea.
Cura l’esposizione di artisti nelle sue due sedi, di Milano, sul Naviglio grande, e in Valcamonica. Ma non solo, perché negli anni si è fatto promotore di eventi in tutt’Italia, specie in edifici storici: a Ferrara, a Venezia, a Massa Carrara, a Imperia, a Lecce. Recentemente ha organizzato una mostra spettacolo itinerante a Cividate Camuno, utilizzando, come spazio espositivo e performativo, l’antico Teatro Romano, che ha intitolato Set amo if?
Ora sta organizzando, ampliando il discorso, un altro importante evento dal titolo significativo Siamo ancora vivi!, sempre in Valcamonica. Si trovano altre informazioni sul suo sito Zamenhof Art.
Inizio come sempre chiedendo: Che musica ascolti nel privato?
Sono nato alla fine degli anni Sessanta, ascolto prevalentemente Ivano Fossati o Tom Waits o musica simile, e poi un sacco di compositori o cantautori bravissimi ma che non conosce nessuno, autori che ho avuto la fortuna e il privilegio di far suonare in qualche mio Festival o Rassegna a Ferrara, Venezia, Miano, recentemente in Valcamonica, e di cui poi sono diventato amico: Marcelo Cesena, Enrico Cipollini, Alessandro Ducoli, Davide Solfrini, e tanti altri. Quando viaggio in auto praticamente ascolto solo musica di amici o di gente che comunque conosco personalmente. E il fatto che per lo più siano sconosciuti al grande pubblico rende la cosa ancora più preziosa. Dici che sono un po’ snob? Però c’è da dire che in Italia è così per tanti settori dell’arte, dalla pittura al teatro, dalla poesia alla musica: quelli veramente bravi ed originali non li conosce nessuno.
So che fai o organizzi spettacoli con musica dal vivo. Hai sempre fatto così?
Agli inizi della mia “carriera” di regista facevo praticamente solo spettacoli con musiche originali e suonate dal vivo. Ora negli ultimissimi anni ho diminuito di molto la mia attività teatrale e praticamente mi sono limitato a portare in giro, in luoghi improbabili, una versione bonsai del Diario di un pazzo di Gogol, senza musica e senza scenografie e che adatto di volta in volta al luogo che mi ospita (gallerie d’arte, palazzi medioevali, cortili di musei, arboreti alpini…)
Però la prossima riedizione del Pazzo, completamente riscritta da me e ambientata ai giorni nostri, al tempo del Coronavirus (l’ho intitolata Gogol in quarantena) avrà un fisarmonicista in scena che mi accompagnerà, e vorrei avere musica dal vivo e magari anche originale anche per un altro progetto che ho in cantiere, un altro testo mio, un monologo particolare dal titolo Il Prigioniero, che metterò in scena in un Castello Medioevale in Valcamonica a fine maggio, pandemia permettendo, e con un protagonista d’eccezione…
Come lavori con i musicisti?
Dipende dai musicisti. Qualche volta lascio loro carta bianca e solo quando hanno prodotto si lavora al montaggio. Altre volte il lavoro procede in simbiosi, tra prove e composizione delle musiche
Mi pare di ricordare che tu abbia anche cantato, qualche volta, è vero?
Nelle ultimissime versioni del Pazzo di Gogol cantavo dei pezzi di una antica e struggente ballata russa… ed era in effetti struggente per il pubblico ma anche per me, perché me l’aveva insegnata una specie di ex fidanzata, e dunque realtà e finzione si sovrapponevano, e in quei passaggi la mia commozione era autentica, autobiografica… E poi ci sono i Rain Dogs in The Fog, una improbabile band di cui io sono… ero… sarei un ancor più improbabile front man. Ma questa è un’altra storia.
In teatro la musica per clima o altro la trovi fondamentale?
La musica in teatro è ben più di un elemento che determina il “clima”: entra in rapporto dialettico con le parole e con i gesti, le azioni, le scene. A tutti gli effetti è un elemento di costruzione drammaturgica dell’azione scenica.
Quando scrivi ascolti musica? O pensi ad una musica in particolare?
No, non ascolto nulla. La scrittura è essa stessa musica. La musica è dentro le parole. Dunque quando scrivo ascolto con grande attenzione la musica delle parole, lavoro su quella, ed ascoltare altra musica sarebbe una distrazione. Tutto è dentro le parole, tutto è condensato nelle parole: la musica, i gesti, le azioni sceniche, le scenografie, le possibili intonazioni, le intenzioni… E più un testo è drammaturgicamente potente, più concentra in sé infinite teorie di musiche, gesti, scene, intenzioni. Come diceva il mio professore di Istituzioni di Regia al DAMS, Arnaldo Picchi: un testo teatrale è un “programma per la scena”, non ha valore in sé e per sé come un qualunque altro testo letterario, ma esiste solo in funzione della scena, di una possibile, potenziale messa in scena: anela, tende alla scena
Allora aspettiamo che inizi Siamo ancora vivi!
Ah certamente…Ho “contaminato” tutta la valle. 15 locations al chiuso e all’aperto e opere di 50 artisti. Oltre agli spettacoli, ovvio. Sarà un’esperienza entusiasmante
Articolo a cura di Sergio Scorzillo