Salvatore Valenti e le sue fotografie “sporche”
Salvatore Valenti, nato a Catania il 9 novembre 1999, è un giovane e già affermato fotografo. Appena quindicenne, andando contro il parere dei genitori, va “a bottega” come assistente, attirato dalla fotografia. Salvatore, ha sempre lavorato e studiato per riuscire a trasformare la sua passione in realtà e nell’unico mestiere che lo rendesse felice.
Le immagini sono le sue parole, i suoi racconti. Mi ha stupito la sua modestia, la sua timidezza nel raccontarsi. Una bella sensibilità che mi aveva colpito attraverso i suoi scatti, che lui stesso definisce “sporchi”. Un siciliano doc, schivo e dall’animo sensibile, che, ne sono certa, farà parlare di sé. Una bella storia, quella di Salvatore.
Lui non diventerà né un medico, tantomeno un avvocato. Quello di cui sono certa, è che realizzerà i suoi sogni anche se dovrà lasciare la sua amata Sicilia, per tracciare nuovi sentieri con la sua fotografia.
Come hai scoperto la tua passione?
La passione per la fotografia me l’ha in qualche modo instillata mia sorella, più grande di dieci anni, che vedevo da ragazzina, scattare con una macchinetta, una fotografia dopo l’altra. Mia madre avrebbe desiderato che facessi il medico o l’avvocato e c’è voluto tempo per farla ricredere!
Con testardaggine, mi sono impegnato per realizzare il mio sogno, dimostrandole che avevo ragione. Andavo a scuola e lavoravo, per riuscire a fare quello che amavo. Non è stato facile, ma non mi è mai pesato.
C’è anche da dire che qui, a Catania dove sono nato e cresciuto, è tutto molto più difficile, soprattutto per il genere di fotografia legata al mondo della moda: Catania non è Milano!
Che cos’ è la fotografia per te?
La fotografia è il mio modo di esprimere, molto più che con le parole, sentimenti, riflessioni che diversamente faticherei a condividere. Sono affascinato e mi piace realizzare progetti fotografici che riguardano la sfera dell’interiorità, che indagano nell’animo dell’uomo.
La fotografia è diventata il mio mestiere, ma nasce da un’esigenza personale, una sorta di terapia curativa. Una passione che ha saputo guidarmi e orientare ogni mio passo, anche nel primo lockdown, che è stato per me, come per molti, estremamente complicato.
Una passione, la tua, a 360° per l’immagine?
Sono anche videomaker appassionato a tuttotondo del mondo dell’immagine. Mi piace spaziare dalla moda alla pubblicità, dallo sport alla televisione e eventi di ogni genere. Principalmente mi occupo di moda e pubblicità, che sono gli ambiti che preferisco e dove ho cominciato a muovere i primi passi.
Ho iniziato giovanissimo a soli quindici anni, come apprendista e da lì non ho più mollato. E’ stato un crescendo che mi ha travolto e sorpreso con proposte di lavoro importanti che mi hanno portato anche all’estero.
In che modo “guardi” attraverso l’obiettivo?
Mi definirei un fotografo introspettivo, perché nonostante faccia moda e pubblicità dove a farla da padrone, è l’apparenza, vado alla ricerca dell’interiorità. Amo i ritratti che trovano in un’espressione, in un viso anche un riflesso dell’anima.
Cerco di avere, per questa ragione, molto rispetto per chi ho di fronte. M’impegno a fare in modo che si senta a proprio agio, anche sotto l’occhio attento del mio obiettivo, che in qualche modo lo mette a nudo.
Non importa se è un modello, perché comunque è una persona con sentimenti e sfumature che devo poter cogliere. Ho un approccio delicato ma diretto, incontrando sempre in anticipo il mio soggetto, per comprenderlo e ritrarlo al meglio.
Se fosse un viaggio, con le tue fotografie, che tipo di viaggio sarebbe?
Sarebbe un viaggio senza un itinerario prestabilito, attraverso metropoli di tutto il mondo. Quelle che prediligo sono le classiche “city” caotiche e trafficate, piene di umanità, tipo Londra. Città dove c’è di tutto e di più.
Mi piacciono proprio per le strade affollate, le persone variegate e diverse tra loro, i colori che le rendono uniche e meravigliose. Mi ispirano e stuzzicano la mia creatività, in un caleidoscopio di emozioni che si traducono in immagini.
Quali sono state le tappe o le persone che hanno segnato il tuo percorso professionale?
Una tappa fondamentale è, e rimarrà, Londra. Per la prima volta all’estero, in questa bellissima città, ho lavorato a un servizio di moda per un Hair Stylist londinese. E’ stato molto importante perché avevo solo diciassette anni e da lì è stato un crescendo, un successo personale che mi ha aiutato trovare altri ingaggi importanti.
Un’esperienza che mi ha fatto crescere tanto e mi ha fornito occasioni che diversamente non avrei avuto. Dopo Londra, infatti, è arrivata anche la televisione con Salvo La Rosa. Ho lavorato al suo programma Meraviglioso, che era della stessa produzione di Ballando Con le Stelle, occupandomi del back stage facendo video interviste e raccogliendo materiale fotografico di repertorio.
In seguito è arrivato il programma TV, Piacere Calcio Catania, dove facevo parte della produzione. Sono sempre stato “affamato” di esperienze e non mi sono mai risparmiato, accettando nuove sfide e cercando di imparare da tutti con umiltà e spirito di squadra.
La fotografia è perfezione?
Per me no, la perfezione non m’interessa e non mi piace. Ci sono “difetti” che rendono unici, che ci raccontano. Nascondere una ruga d’espressione, priva un viso anche di quell’anima che vado cercando.
Mi dicono che le mie sono fotografie sporche, in altre parole poco “ritoccate”, corrette. Probabilmente è questa la mia caratteristica e non mi dispiace per niente, che siano definite in questo modo, anzi…
Quanto è importante la musica nel tuo lavoro?
C’è sempre una colonna sonora, a sottolineare qualunque momento sia professionale che nella vita. Ogni passo ha la sua musica e anche prima degli shooting, mi preparo con la mia playing list. Mi piace ascoltare un po’ di tutto, a seconda della concentrazione che cerco. La mia “musa” ispiratrice, però, è Annalisa.
Che cosa chiedi alla tua professione?
Chiedo di rimanere a fare parte della mia vita. Voglio fare questo mestiere perché credo non ci sia niente di più bello che fare quello che si ama. Catania mi ha dato tanto, ma sono consapevole che il “tempio” della moda sia Milano, dove conto di andare al più presto per un master e chissà, magari metter radici.
Articolo a cura di Paola Ferro