Nicola Guerini ci racconta la sua vita da direttore d’orchestra
Direttore d’orchestra di innata eleganza, appassionato per ciò che propone e attento a sviluppare una forma di dialogo e di ascolto costante con i musicisti, Nicola Guerini fa del suo rapporto empatico con l’ensemble la cifra principale del suo operato.
Dopo il diploma in organo e composizione organistica a Padova, sotto la guida del M° Livieri, Nicola Guerini si diploma in Composizione al Conservatorio di Milano, si perfeziona all’Accademia Chigiana, poi a Fiesole, presso l’accademia di Alta Formazione di Pescara, infine a Lugano dove consegue il Master in Master of Arts in Music Conducting alla Musikhochschule. Ideatore e promotore del Festival Internazionale Scaligero Maria Callas dal 2013, guida dal 2012 il fondo musicale dedicato al celebre direttore svizzero Peter Maag.
Tante le sue collaborazioni e soddisfazioni internazionali, da quella con la Filarmonica di Praga, alla Croatian Radio & Television Symphony Orchestra, i Berliner Symphoniker con esperienze in Spagna e persino in Messico. Ha inciso per l’etichetta NAXOS e UNIVERSAL Deutsche Grammophon.
Nicola Guerini è il terzo ospite della nostra rubrica Musica Maestro.
Nicola Guerini, anzitutto cosa vuol dire dirigere un’orchestra?
È un rito, un atto d’amore, con cui si esplora “insieme” il mondo poetico del compositore. È un vero e proprio viaggio fatto di conoscenza e di convivenza, “pratica di comunità” e uno scambio continuo, un dialogo fatto di puro suono. Il direttore è un leader che non impone ma “coinvolge” gli strumentisti, li seduce nella visione che ha della partitura e con l’ empatia che affiora da ogni suo gesto.
Tu sembri intrattenere proprio un dialogo con i tuoi orchestrali attraverso lo sguardo. Qual è il gesto che contraddistingue maggiormente la direzione di Nicola Guerini?
Ogni direttore d’orchestra ha un’energia che trasmette spontaneamente all’orchestra. Abbiamo dei codici con cui si indica il tempo e le scansioni metriche del testo musicale: gesti universali che valgono ovunque. In ogni micro respiro, però, c’è un universo, in cui si muovono spazi indefiniti: ogni compositore ha un suo mondo e il direttore lo racconta. Dirigere significa concertare le voci che tessono la scrittura musicale, illuminare le voci più nascoste e renderne udibile la trama. Svelare un mondo attraverso strumentisti straordinari che diventano “compagni di viaggio”. Insomma è un’esperienza “unica”, esclusiva, che cambia ogni volta e a seconda del rapporto che si crea tra te e l’orchestra.
Cosa rappresenta il primo violino per il direttore?
E’ il nostro punto di riferimento con cui ci si confronta per arrivare a realizzare “insieme” l’esecuzione e l’interpretazione del testo musicale.
Chi sono stati i tuoi Maestri?
Donato Renzetti, Giorgio Bernasconi, Arturo Tamayo: con loro mi sono formato e diplomato perfezionando poi il repertorio. Resta fondamentale per me la forza e il magnetismo di un altro grande Maestro, Leonard Bernstein.
Qual è il suo insegnamento?
Lui con un sorriso e un battito di ciglia riusciva a fare arrivare cose straordinarie.
Il più grande lavoro del direttore è quello di favorire e promuovere tutte le potenzialità dell’orchestra attraverso scelte di repertorio e la collaborazione. Cosa ne pensi?
Posso parlare di esperienze felici: la positività la si percepisce molto quando dopo aver lavorato bene, nella fase della performance, ci si guarda negli occhi. Un direttore capisce subito l’interesse dell’orchestra nel voler lavorare insieme, seguirti nelle tue scelte costruendo un’energia che diventa un valore importantissimo per la musica e perla performance. E l’energia arriva sempre sino al pubblico: per questo una sincera collaborazione giova a tutto lo spettacolo.
Victor Hugo diceva che la musica esprime ciò che non si può dire ma è un peccato tacere. Come fa Nicola Guerini a fare tutto questo?
Ho sempre attinto da più fonti, cominciando da ciò che mi suggeriscono la natura e il mondo e ho, così, sempre coniugato la mia dedizione alla musica e all’arte in generale con la “ricerca” necessaria e che sento dentro di me.
Mentre il musicista usa il suo strumento per emettere suoni, il direttore plasma egli stesso il suono con il solo gesto delle proprie mani. L’orchestra è la prima a sentire l’empatia regalata da un preciso pensiero che appartiene al direttore e si lascia coinvolgere e convincere per la grande sinergia che questo riesce a creare.
La pandemia ha bloccato tutto, ora però sembriamo pronti per ripartire. Cosa cambierà rispetto a un anno e mezzo fa?
Abbiamo bisogno di presenza, di quell’empatia creata dal trinomio “spazio-artista-pubblico” grazie al quale si può celebrare il “rito dello spettacolo”. Va ammesso, però, che il digitale ci ha molto aiutati nell’ultimo anno e mezzo e, con buona pace di alcuni puristi, aprirà ulteriormente nuovi orizzonti anche per continuare a parlare al pubblico in un modo diretto. Sono molto fiducioso nel futuro e credo non potrebbe essere altrimenti.