Daniele De Giorgio un fotografo con l’attitudine a sperimentare: Arte e ricerca personale per affrontare nuove sfide
![Tiziano Ferro e Violante Placido Vedere la Musica: Daniele De Giorgio Tiziano Ferro e Violante Placido](https://www.musica361.it/wp-content/uploads/2021/06/vedere-la-musica-daniele-de-giorgio-2-e1623406615341.jpeg)
Daniele De Giorgio è uno sperimentatore che formatosi all’Accademia di Brera, trova nella fotografia il mezzo per esprimere la sua creatività e attitudine all’arte. Testardo, per sua stessa definizione, incontentabile e alla continua ricerca di nuove sfide, non si ferma neppure davanti alla difficoltà di “trovare un ago in un pagliaio”, perché lui lo smonta e l’ago, lo trova.
Viaggiare con lui è come fare le montagne russe, tra emozioni, provocazioni e una sensibilità palpabile e disarmante. Da bambino guardava con diffidenza il fotografo del suo paese, che trovava triste e con poca fantasia. Oggi la fotografia è per lui un mestiere ma anche e soprattutto, arte e ricerca personale.
Daniele ci “invita al viaggio” su una scacchiera, dove le caselle bianche e nere, e la loro schematica certezza, in realtà sono liquide e si aprono, come finestre, su un mondo a colori.
Daniele, raccontami di te…
Sono nato a Calcinate il 31 ottobre ’92 da genitori calabresi, per cui non mi sento né troppo bergamasco e neanche calabrese. Dopo il liceo espressi il desiderio di andare all’Accademia di Brera, ma i miei genitori mi chiesero di pensarci su e nel frattempo, di lavorare.
Sono sempre stato determinato e con cinquanta euro in tasca, investendone la metà per un biglietto del treno, andai in Liguria ad Albenga alla ricerca di un lavoro. Lì, pur non avendo esperienza, ho trovato un posto in un bel ristorante, dove ho esposto anche i miei lavori.
Per raggiungere il mio obiettivo, in quella stagione ho fatto di tutto, allestendo una mostra e promuovendo una raccolta fondi. Alla fine, riuscii ad iscrivermi all’Accademia.
Naturalmente non era ancora abbastanza, anzi avvertivo quasi un limite in tutto quello che avevo studiato. Da lì ho iniziato a farmi degli autoritratti fotografici, cercando poi un lavoro come assistente in uno studio fotografico dove mi si è spalancato un mondo: il mio.
Come è cominciata la tua passione?
Alle medie ho fatto il primo concorso di disegno, che guarda il caso, mi ha fatto vincere la prima macchina fotografica. Da quel momento ho scattato moltissimo, tutto e qualunque cosa, come un cinese in gita.
Avevo come riferimento, solo il fotografo del paese che ai miei occhi, era poco più che un guardone, relegato a foto senza anima e di routine ma per me, da subito, significò molto di più.
Qual è la tua qualità vincente?
Credo che la mia qualità più grande sia la costanza e la determinazione con cui perseguo i miei obiettivi. Quando decisi di lavorare in uno studio fotografico, ricevetti un sonoro, no come risposta. Questo non sapeva di essersi condannato da solo: l’ho stolkerizzato per settimane, finché ha ceduto, prendendomi per una settimana di prova pur di farmi smettere.
Poi mi ha assunto e sono stato io a cambiare, un anno dopo. Il mio motto è “se il pagliaio lo faccio fuori, l’ago lo trovo”. Scrivevo a tutti, sempre e comunque, cercando di fare esperienze nuove e diverse.
![La fotografia è un lavoro, che svolgo per gli altri, ma anche una forma d’arte e sperimentazione, per me Vedere la Musica: Daniele De Giorgio 2](https://www.musica361.it/wp-content/uploads/2021/06/vedere-la-musica-daniele-de-giorgio-3.jpeg)
Daniele la fotografia per te cos’è?
In questo momento dove sono tutti fotografi, c’è chi sente che il suo lavoro è svalutato. Per me invece, è una sintesi momentanea del momento e di me stesso, di esperienze di vita che lasciano segni indelebili. La fotografia è un lavoro, che svolgo per gli altri, ma anche una forma d’arte e sperimentazione, per me.
Nonostante ci sia un ritorno al naturale e quindi a fotografie meno “ritoccate”, c’è sempre dietro un lavoro importante ed elaborato, di postproduzione. La fotografia commerciale, di moda, è frutto del lavoro professionale di molti.
La fotografia, come ricerca per me, rappresenta un’autoanalisi e poi anche analisi del momento. Ho usato la fotografia anche per scuotere gli animi, per provocare riflessioni, questa è la mia missione.
Siamo pronti a viaggiare con te attraverso le tue fotografie, le tue sperimentazioni… guidaci.
Interviste mute è una ricerca personale, che parte dal presupposto di non conoscere le persone che intervisto. Quando non conosci la persona, sei più libero, come una sorta di sospensione di giudizio. Io faccio domande e la macchina fotografica, autonomamente, ogni secondo scatta, in tutto circa mille foto, duemila.
Le sedute durano circa un’ora, dove in una sorta di roulette russa, raccolgo immagini. Generalmente sono amici di amici, un passaparola. L’audio non ci sarà, ma saranno solo immagini, montate tipo video, che racconteranno senza parole, la storia della persona.
Nessuna alterazione o artifici, solo correzione colore. L’opposto, in pratica, di quello che faccio per lavoro come fotografo di moda dove c’è tantissima post-produzione.
Tiziano Ferro e Violante Placido
Ho passato l’adolescenza ad ascoltare Tiziano Ferro e ripetevo a me stesso, che un giorno lo avrei conosciuto. Due giorni prima del mio compleanno, stavo partendo, mi arriva una telefonata e mi viene proposto di fare un servizio per lui.
Insomma, non l’ho solo conosciuto, ma ho lavorato per otto ore con lui e la fotografia che lo ritrae con Violante, è un posato che non era previsto ma che ha voluto fare perché gli è piaciuto il mio modo di lavorare.
A colpirmi, è stato il modo in cui lui e Violante si sono rapportati con me, con estrema naturalezza e voglia di incontro. L’umanità è la protagonista vera di quelli scatti, al di là della fama, della carriera, delle pose.
Cinque modelle per un set imprevisto e magico fatto di energia
Cinque modelle, in giro per Milano, senza un set definito. Siamo entrati in Vittorio Emanuele, dove è successa una cosa incredibile, testimoniata da questa fotografia.
Ho chiesto alle ragazze di camminare insieme e tutta la gente si è messa di lato creando una sorta di corridoio, rendendo gli scatti dinamici e fantastici. La spontaneità dei passanti ha creato, magicamente, un set ideale, tanto imprevisto quanto unico e speciale.
L’energia fa sì che le cose accadano nel migliore dei modi, sempre.
![Il ragazzo albino per una fotografia fuori dagli schemi Vedere la Musica: Daniele De Giorgio il ragazzo albino](https://www.musica361.it/wp-content/uploads/2021/06/vedere-la-musica-daniele-de-giorgio-4.jpeg)
Il ragazzo albino per una fotografia fuori dagli schemi
Un ragazzo albino, per una foto fuori dagli schemi, dove, forte dei miei studi in Accademia, l’ho privato delle forme, trasformandolo in un mezzo cyborg dipingendo una persona irreale, immaginaria.
Di questo scatto, vado molto fiero, non solo per una questione di tecnica, ma per essere riuscito ad abbattere i limiti. Modificare la realtà è una base imprescindibile, la ragione per cui lavoro con la fotografia.
Dall’artificiosità al naturale, per rendere naturale qualcosa di molto complesso. Il risultato è la semplicità, che nasconde, però, una grande complessità.
La ragazza e le fotografie scattate da remoto
Uno scatto fatto durante il primo lockdown. Ho mandato un pony express con la macchina e il necessario, ho fornito alla modella, un tutorial make-up con Pablo Ardissone (make-up artist di Patty Pravo e la Principessa di Monaco).
Ho collegato la macchina al computer, gestivo l’inquadratura e chiedevo a lei di spostare la macchina, scattando, poi, da remoto. Non l’ho mai conosciuta, mi sono fidato (avrebbe potuto rubarmi tutto!).
Questa è una delle tante sfide, che sono linfa vitale nella mia vita. Superare il limite, raggiungere quello che mi sono prefissato, è uno stimolo continuo, irrinunciabile.
Quando ho un nuovo obiettivo, una nuova sfida, una nuova sperimentazione che mi frulla nella testa, non dormo, non mangio e spengo il telefono. Vivo per quello.
Il mio ritratto
Ci sono, sono io. Una fotografia che in qualche modo, nella semplicità, racchiude la mia essenza. Mi sento molto presente, un attimo che dichiara a me stesso con consapevolezza, quello che ho conquistato.
Oggi non ho paura del mondo e sono pronto ad affrontarlo. Ho scelto il bianco e nero, che si usa poco, perché rimanda alla fotografia analogica ed elitaria. Il mondo è a colori, scegliere il bianco e nero è una forma di protezione, di salvaguardia di me stesso.
Se dovessi autodefinirti, che cosa diresti di te?
Penso che la mia qualità, vera, sia non essere solo un fotografo, ma un artista che cerca di creare un mondo in ogni scatto. Lavoro molto su quello che posso comunicare. L’immagine può consacrare una carriera e anche distruggerla.
Sono affamato di conoscenza, adoro i dettagli che fanno la differenza. Sono un perenne insoddisfatto, cosa difficile da gestire e mi do fastidio da solo, ma questo è il mio motore, quello che mi spinge continuamente a fare.
Quando guardi dentro l’obiettivo cosa cerchi?
Se sono dei committenti, devo riuscire a creare un rapporto con quella persona, che mi guida, così, a trovare “la foto”. Una persona che non si apre, non si può fotografare. L’umanità è fondamentale, sempre. Quando si tratta dei miei progetti, a volte li vedo come attori, a volte voglio che siano loro stessi, a volte che aggiungano qualcosa.
La fiducia, comunque, è fondamentale e il lasciarsi andare, la conditio sine qua non. Mi piace poter offrire una lettura a più livelli, come per esempio il video delle interviste mute, che dà libero sfogo alla fantasia di chi guarda, potendo, addirittura immaginare parole osservando l’espressione o la mimica del protagonista.
Se idealmente immaginassimo di fare un viaggio attraverso la tua galleria fotografica, dove mi porteresti?
Ti porterei su una scacchiera: in equilibrio, saltando tra il bianco e nero, dove ci sono, nascoste, sfumature di colore e non di solo grigio. Una sorta di scacchiera fluida, come se fosse ad acqua. In quell’apparente certezza fatta di solo caselle bianche e nere, c’è un mondo a colori.
Ciao Daniele, che ci si veda ad Albenga o a Milano, è un arrivederci e…buon viaggio.
Articolo a cura di Paola Ferro