Una chiacchierata con il Maestro Massimo Morini
Massimo Morini è il recordman assoluto di presenze al Festival di Sanremo: 30 edizioni consecutive dal 1991 a oggi come direttore tecnico e per ben 12 volte Direttore d’Orchestra. Nessuno quanto lui può svelarci alcuni segreti intorno al mondo sanremese e al fascino del suono. Vincitore nel 2013 come Maestro d’Orchestra di Antonio Maggio (Mi servirebbe sapere), in altre sette occasioni ha trionfato come direttore tecnico: l’ultima volta nel 2020 con Diodato (Fai rumore).
Inutile dire che il Festival di Sanremo diverta molto Massimo Morini, che in riviera ligure è d’altra parte di casa.
Lui che, da buon genovese, nel 1986 è entrato a far parte del gruppo pop folk di Bogliasco, i Buio Pesto, di cui è il frontman.
Tantissime le sue collaborazioni importanti (Ruggeri, Mannoia, Oxa, Dalla, Morandi, Bocelli, Baglioni, Battisti, Vecchioni e infiniti altri: pensate a un cantante importante e siete sicuri che abbia lavorato con Massimo Morini).
Oggi è il nostro nuovo ospite di Musica Maestro.
Quando cominciasti, ti immaginavi già come Maestro Massimo Morini?
Non volevo fare il Direttore d’Orchestra, ma mi immaginavo già compositore sinfonico: mi potrei definire un bambino prodigio. A due anni e mezzo suonavo le tastierine con quindici tasti replicando le pubblicità e le sigle della televisione. A cinque anni iniziai a suonare il pianoforte e a 11 anni diedi il primo esame al Conservatorio. Nel frattempo cominciai a insegnare musica nelle scuole elementari dalle quali ero appena uscito. Giovanissimo, mi dedicai a comporre musica per orchestra, senza alcuna possibilità di riascoltare ciò che scrivevo. Molte di quelle composizioni le avrei usate poi nelle mie colonne sonore tempo dopo. Verso i 12-13 anni quella mia vena classica si spense e mi spostai verso altri generi. Rimasi affascinato dalla musica anni Ottanta e diventai compositore e arrangiatore di musica leggera.
Quali sono le qualità di un direttore d’orchestra?
Un direttore d’orchestra deve avere una profonda conoscenza dello strumento musicale e del lavoro principale di adattamento.
È un allenatore, essenziale alle prove. Durante l’esibizione il gesto aiuta più che altro ad avere le aperture, le chiusure, i colori e i crescendo giusti.
Detieni il record di 30 presenze (consecutive) al Festival di Sanremo, affiancando talvolta il ruolo di Direttore d’Orchestra a quello di Direttore Tecnico. Cosa fa esattamente un direttore tecnico?
Ci sono due direttori tecnici: uno è nella regia audio della Rai e dà le disposizioni ai tecnici per fare il mix che andrà alle tv e alle radio per fare sì che il suono sia il più possibile pulito. Un altro è in sala e lavora sul mix che arriva al pubblico. Questo è un ruolo di grande responsabilità di cui fui promotore, perché è attraverso l’ascolto in sala che votano la giuria di qualità e i giornalisti.
Solo un direttore tecnico può avere la competenza per impostare i volumi degli strumenti. A Sanremo ci sono due sessioni da 40 minuti di prove, precedute da altrettante prove a Roma: quindi una volta arrivati alle prove generali il lavoro è ormai già preparato a puntino con eccezionali professionisti.
Al netto di tutte le imperfezioni vocali, quando riascoltiamo un brano sanremese su YouTube l’effetto è completamente diverso. Con tutte le nuove tecnologie, arriveremo a un punto in cui l’ascolto della canzone in diretta avrà la stessa qualità del disco?
No, è la stessa cosa che accade in sede di registrazione: all’inizio la canzone non dice nulla, poi dopo il premix, il mix, l’editing e il mastering, ascoltandola sembra di essere a Hollywood. Si tratta di processi successivi che non si possono fare in tempo reale. Sulla qualità dell’ascolto va fatta una precisazione. Gli orchestrali a Sanremo devono fare 10 ore di prove andando in onda dalle 20.30 alle 3, imparando 100 pezzi da eseguire. Alle 2 si è più stanchi quindi inevitabilmente suonano un po’ più piano rispetto a inizio serata: si dimezza il volume, quindi il pezzo ha un’altra resa.
Torniamo alla tua carriera. Come avvenne il passaggio alla Direzione d’Orchestra?
Dal ’90 al ’92 lavorai alla Sony: una volta uscito di lì potei essere discografico per me stesso e per altri, avendo imparato il mestiere nella migliore azienda del mondo. Nel ’91 iniziai a fare il direttore tecnico a Sanremo e subito nel ’92 vinsi con Barbarossa (Portami a ballare, ndr).
Nel ’95 si creò l’occasione perché un produttore indipendente presentò quattro giovani nella speranza venisse selezionato almeno uno: furono presi tutti e quattro. Per ovviare alle spese, mi proposi come giovane direttore d’orchestra di Mara (Dentro di me, ndr).
Mi preparai alla perfezione e fu una bellissima esperienza, che potei affrontare con un vantaggio: conoscevo giù tutti gli orchestrali.
Da quel momento, oltre al ruolo di direttore tecnico che non hai mai più abbandonato, sono arrivati altri 12 Festival da Direttore d’Orchestra. Quali dei due ruoli ti diverte di più?
Sicuramente il Direttore d’Orchestra: è il massimo della creatività. Tradurre un brano, non pensato per orchestra, in una partitura che verrà suonata da tanti elementi è estremamente stimolante. Oggi, per ciò che non si può fare con orchestra, si può usare la tecnologia, ma la regola è che prima di tutto deve essere utilizzato ogni strumento disponibile. Questo anche perché vige la psicoacustica: il Festival di Sanremo è una trasmissione televisiva, dove le telecamere riprendono strumenti che devono suonare. Con una musica realizzata ormai con tantissimi suoni non riproducibili, la creatività diventa anche quella di trovare l’equilibrio giusto per non fare sembrare troppo finto ciò che si ascolta.
Hai attraversato vari generi musicali, spesso all’avanguardia: dagli arrangiamenti per i B-Nario fino alle canzoni di Emma. Ogni generazione ha sempre avuto nostalgia di ciò che ha vissuto. Cosa resterà della musica di oggi? Siamo davvero destinati ad avere nostalgia anche della trap fra qualche anno?
Impossibile immaginare cosa succederà, ma la discografia sta andando chiaramente verso una precisa direzione, che forse oggi è difficile comprendere appieno. Fa parte delle epoche d’altra parte, come si dice: alle prime note non è mai arte. Mio padre non capiva la musica degli 883 e di Jovanotti, così come mio nonno non capiva come mio padre potesse ascoltare Prisencolinesionalciusol. Baudo, che è sempre stato il migliore di tutti e che ringrazierò sempre perché mi diede l’opportunità di cominciare, portava a Sanremo dei Giovani che sarebbero diventati assoluti Big. La Pausini e Bocelli vinsero in due anni consecutivi e oggi sono i due interpreti italiani più conosciuti nel mondo ma, all’epoca, qualcuno non li capiva.
Le canzoni spesso parlano a noi e di noi. Ma hai mai pensato al rischio che la musica dialettale con i Buio Pesto possa rivolgersi solo a una nicchia di persone?
Fu una precisa scelta. Volevamo portare avanti la tradizione ligure: c’era un leader musicale per ogni regione e ci prendemmo così il nostro spazio. Era il 1995, l’anno giusto per cominciare: avevo lavorato con Battisti, Fossati e Baglioni e nessuno mi aveva considerato.
Mi bastò fare un inchino di due secondi e mezzo in mondovisione per diventare Massimo Morini.
Non siamo però mai riusciti, con i Buio Pesto, ad arrivare al Festival. Ogni anno mi “vendico” a modo mio. Porto sul palcoscenico un oggetto che richiami il gruppo: dal vasetto di pesto alla lavagna con la formula del pesto. Non si possono portare oggetti sul podio, quindi mi devo inventare tutte le volte un modo per imboscarli: ho i miei segreti, che puntualmente spiazzano gli uomini della sicurezza. Comunque non demordo: ci proveremo in tutti i modi a partecipare in gara finalmente.