Il mondo è un bel posto e bisogna farlo vedere, è una responsabilità che, come fotografo, sento moltissimo. Abbiamo il compito di fare in modo che le cose belle, rimangano
Gari Wyn Williams è nato in un piccolo paesino del Galles, di madre lingua gallese di origini celtiche. Studia al college fotografia per passione, ma nella prima parte della sua esistenza veste con giacca e cravatta e fa come mestiere, il contabile. Ma quando la passione è grande, niente e nessuno può arginarla e Gari, ad un certo punto capisce che l’unica cosa che conti davvero, è essere felice e per esserlo deve fare questo nella vita: il fotografo.
La sua filosofia è quella di guardare al lato positivo delle cose, cercando sempre e comunque il bello che il mondo e la vita ci offrono. Abbiamo il compito di mostrare e preservare e il fotografo ha una grande responsabilità a riguardo. L’incontro con questo gallese, che mi ha colpito con le sue fotografie dense di sentimenti, mi ha toccata profondamente.
Sono racconti, immagini che non hanno bisogno di parole, ma che ci fanno “viaggiare” tra le persone e comprendere i loro sentimenti. Osservando, quelle scattate in Piazza San Pietro, tra i fedeli, mi è sembrato di cogliere il raccoglimento di ognuno ed anche di sentirne le preghiere accorate e silenziose.
Ciao Gari, raccontami di te
Sono nato il 26 febbraio ’68, in un piccolo villaggio, nel Parco Nazionale di Snowdonia, in Galles. Quando torno a casa parlo solo gallese con i suoi tanti suoni gutturali di lingua celtica. Oramai vivo a Roma da circa una decina di anni, dopo aver fatto un po’ di avanti e indietro.
Ho studiato fotografia a Leicester, dove ho trovato lavoro in un’agenzia per la quale seguivo la Premier League, fotografando il calcio ed eventi vari per il giornale.
In seguito, ho cominciato a fare foto tipo reportage di viaggi, che sono piaciute a diverse banche di immagini con le quali ho quindi collaborato vendendo le mie fotografie. Poi in Italia ho collaborato con quella che oggi è la Olycom, facendo attualità, press call, eventi di ogni genere.
Quando hai lasciato il Galles?
A diciotto anni me ne sono andato a vivere a Londra, dove ho anche imparato l’italiano grazie ad un corso della BBC che ho seguito per radio e studiato sui libri. L’italiano mi attirava per la sua musicalità, molto diverso dalla mia lingua celtica!
Poi forse era già scritto il mio destino e la via per Roma… Ho fatto bellissime esperienze, nel mio paesino del Galles, ci sono persone che non mai andate via da lì e siamo solo duemila persone, ma Roma per un fotografo è una meraviglia.
Il tuo mestiere sembrava dover essere quello del contabile. Come è “scoppiata” questa passione?
La mia passione è cominciata proprio a Londra, quando ero impiegato come contabile e un signore mi vendette una reflex analogica. Prima avevo solo una macchinetta compatta, ma in quel momento, è scattato qualcosa dentro di me.
La vena artistica che probabilmente avevo ereditato da mio padre, che dipingeva sull’ardesia, era venuta allo scoperto. In seguito, ho comprato filtri e tutto quello che mi poteva servire, seguendo l’istinto. Rivedendo le mie fotografie di allora, trovo che siano pessime.
La fotografia è tutta un’evoluzione, ma un po’ alla volta, provando e riprovando, ho capito di poter crescere. Questo è stato quello che mi ha permesso di proporle poi alle banche immagini, che con il loro gradimento, mi diedero la consapevolezza di essere pronto.
Come è cambiata la tua vita?
Quando la mia vita era in giacca e cravatta dalle 9 alle 5, odiavo la mia vita. Ritrovarmi in giro per Roma a seguire eventi, era bellissimo, ma meno sicuro. È stata la passione a non lasciarmi scampo, obbligandomi ad andare avanti e la macchina fotografica ce l’ho sempre con me. Ho pensato – meglio povero, ma felice. Non me ne sono mai pentito.
In questo momento storico, come se la passa la fotografia?
Il mercato è saturo e c’è la corsa al ribasso, le banche ora ne approfittano, trattenendo buona parte dei compensi. Una volta compravo The Guardian solo per la fotografia che era molto curata e bellissima.
Oggi non osserviamo più niente, non sappiamo più guardare, siamo distratti e, di conseguenza, la qualità delle fotografie, purtroppo è scaduta. Oggi invece di goderci un tramonto, lo fotografiamo, perché è più importante dire di esserci stato piuttosto che gustarsi il momento.
La fotografia è vittima di questo, siamo cacciatori di like sui social e i giornali, le riviste non le compriamo più. La fotografia deve piacere a me, va bene se piace anche agli altri e manifestano il loro gradimento, ma non è fondamentale.
Gari Wyn Williams e il Lato Positivo delle cose
Che tipo di viaggio ci inviti a fare con la tua fotografia?
Cerco di cogliere un momento, quel momento è un’emozione, dove c’è simmetria e una magia, una sintonia di tutti gli elementi. Se sono ritratti, il mio obiettivo è scovare un’emozione vera. Quando le persone sono troppo in posa, è difficile, perché in quel caso sono schermate.
Quello che cerco con pazienza, è quel momento di disattenzione, in cui cadono le difese, le timidezze, anche inconsce, per rivelare la loro vera natura. Rivedendo le fotografie, scopro dettagli che mi erano sfuggiti: una piega del viso, un atteggiamento delle mani che fanno la differenza e sottolineano la nostra unicità e la vera bellezza.
Questo è il viaggio che spero di offrire con i miei scatti, senza filtri, per vedere sempre il lato positivo delle cose, il bello che c’è nel mondo e dentro di noi.
Cos’è la fotografia?
Ogni fotografia è un racconto dove la costruzione, la luce, l’inquadratura, sono fondamentali. Il bianco e nero lo amo moltissimo, per la sua neutralità. Il colore distrae e distoglie dalla narrazione.
Se uno ha un colore degli occhi di un bel blu, l’attenzione va tutta lì, impedendoci di vedere oltre. La postproduzione non deve stravolgere la foto, non mi piace patinare al massimo. Bisogna far vedere la realtà, al meglio. Il nostro vissuto è parte del racconto.
Quando faccio i ritratti, devo avere un progetto un’idea di quello che voglio fare, poi mi adeguo alle circostanze. Gli shooting devono adattarsi ad ognuno e sono incredibili proprio per questo.
Potendo scegliere, sicuramente preferisco la luce naturale, un set all’aperto non ha limiti. In Italia è meraviglioso: c’è tutto l’anno non come in Galles!
Gari Wyn Williams e il Lato Positivo delle cose
Quando sei libero di scegliere cosa fotografi?
A me piace fotografare per strada, persone qualunque. Cercando di cogliere il momento. Mi piace girovagare e raccontare. Quando trovo un punto interessante, mi fermo e aspetto che qualcuno entri in scena. La fotografia è paziente, non può avere fretta.
Per me anche se la foto è sfocata può essere bella. Un certo periodo ho fatto solo fotografie sfocate, sperimentando. L’importante è quello che c’è dentro la foto, quello che comunica, non è la perfezione quella che conta. Negli ultimi cinque anni ho cominciato a fare ritratti e sono cresciuto molto.
Ho sperimentato tantissimo, perché ogni progetto necessita di una sua luce. Non c’è nulla di scontato e difficilmente fotografo per due volte la stessa persona. Le foto migliori arrivano alla fine, quando la persona si lascia andare, o prima se riesco a cogliere un momento di distrazione. Bisogna avere pazienza.
Ti piace essere fotografato?
Sì e no, ma credo sia un’esperienza da fare. Serve per capire meglio come ci si senta, imparando sulla propria pelle. Mettersi nei panni dell’altro, è sempre utile e andrebbe fatto sempre, non solo sul set, ma anche nella vita.
Se dovessi definirti come fotografo, cosa diresti di te?
Mi piace fotografare il bello del mondo. Il mondo è un bel posto e bisogna farlo vedere, è una responsabilità che, come fotografo, sento moltissimo. Abbiamo il compito di fare in modo che le cose belle, rimangano. Lo faccio prima di tutto per me, prima ancora che per gli altri.
Questa filosofia è anche nelle mie fotografie, che hanno sempre uno sfondo pulito e una semplicità di fondo. Sono una persona positiva e cerco di mostrare il lato positivo delle persone, lo cerco anche quando è nascosto. Ho come priorità di trovare per ognuno la luce giusta, lasciandogli “respiro”.
Deve avere il suo spazio e poter respirare. Non c’è niente di predefinito, ma un progetto che viene fatto su misura come un abito sartoriale, per ognuno. Questa è la meravigliosa scommessa, che faccio ogni volta. Imparo qualcosa di nuovo e cresco, perché non sia arriva mai.
Quando studiavo fotografia, ci fu proposto di fare un servizio fotografando dei senzatetto. Quando si fa una cosa del genere, non è osservazione, ma sfruttamento di una condizione. Per gli homeless, la strada è casa, sarebbe come se entrassimo nella dimora di qualcuno, senza chiederne il permesso, invadendo la loro privacy. È fondamentale, per me, muovermi con il dovuto rispetto sempre e comunque.
Se potessi farvi ascoltare la nostra chiacchierata, sentireste le risate e come sia stato facile comprendersi. Gari è diretto, sincero e non solo si è raccontato, ma mi ha ascoltata.
Una capacità innata, la sua, di leggere nell’altro, di avvicinarsi con pazienza e perspicacia. Temevo che in quanto “gallese”, fosse più ritenuto e meno spontaneo.
Invece, mi ha spiazzata con la stessa magica semplicità che ho trovato nelle sue fotografie, che sembrano essere famigliari anche solo dopo una prima occhiata, costringendoci però, a rivederle ancora.
Grazie Gari, continua a mostrarci quanto di bello ci sia nel mondo e forse – come dici tu – vedremo anche il meglio che c’è in noi.