Intervista al cantautore pugliese Reietto, in occasione dell’uscita del singolo “Katy Perry”
Un linguaggio originale, contemporaneo e anticonvenzionale, queste le caratteristiche alla base della poetica di Valerio Vacca, alias Reietto, poliedrico cantautore classe ’91, appassionato del rap e della sua forza comunicativa. “Katy Perry“ è il titolo del suo nuovo singolo, disponibile dallo scorso 7 ottobre per ADA Music Italy.
A cosa si deve la scelta del tuo pseudonimo?
Il mio pseudonimo è legato al periodo adolescenziale. Mi sono sempre sentito l’emarginato del gruppo, un po’ perché mi emarginavo io, un po’ perché venivo emarginato. Diciamo che il mio unico pensiero era quello di scrivere brani dato che, essendo molto emotivo, non riuscivo a raccontarmi a parole e quindi venivo sempre visto come quel bravo ragazzo robusto e strambo che si isolava e che veniva preso di mira proprio perché troppo altruista. Ho deciso quindi di utilizzare una parola negativa come nome d’arte proprio per darmi forza e ricordarmi che ero molto di più di un semplice reietto.
Hai subito in passato episodi di bullismo?
Sì, ho sempre definito il periodo scolastico come il mio medioevo personale. Per fortuna sono momenti che ho superato ed ora li ricordo con un sorriso. Penso che, nonostante la sofferenza provata in quegli anni, alla fine sono eventi che col tempo o dimentichi o ti fortificano così tanto che impari a riderci su e magari ti insegnano ad accettarti e soprattutto ad accettare che, dietro quella gente che all’epoca ti sembrava cattiva, c’era solo un’altra persona incompresa e reietta che cercava l’appoggio degli altri con l’uso della forza. Non giustifico ovviamente tali comportamenti. Io magari sono stato così forte da uscirne illeso, o quasi, altri potrebbero arrivare a gesti sconsiderati. Pertanto, quello che posso consigliare è non chiudersi a riccio come ho fatto io all’epoca, ma parlarne con qualcuno e venirne fuori.
Chi è o cosa rappresenta la Katy Perry che canti nel tuo nuovo singolo?
Katy Perry per me è la sensualità e l’autoironia fatta persona. Nel mio brano, oltre a voler omaggiare la famosa cantante pop utilizzando il suo pseudonimo come titolo, ho praticamente raccontato di un’ipotetica serata con una ragazza che poi si spinge nei tabù più nascosti che comprendono la sfera sessuale. Per me è molto importante sdoganare questi dogmi che ci siamo autoimposti da secoli e cercare di vivere liberamente la sessualità. Il brano infatti si apre con la frase “quelle calze che ti strapperei”, che si riferisce alla sensualità delle gambe e dei piedi femminili. Ognuno deve essere libero di vivere i propri feticci, pensando che sia qualcosa di assolutamente normale.
Credi nel valore terapeutico della musica? Ti capita di sentire delle canzoni che ti fanno stare meglio?
Assolutamente sì. Penso che come molti, sono una di quelle persone salvate dalla musica. La musica mi ha aiutato molto durante il periodo adolescenziale e continua ad aiutarmi tuttora. Ogni mia canzone è come la pagina di un diario segreto che non ho mai scritto e mi aiuta a raccontare parti di me che magari non riesco a dire di persona. Poi sono molto emotivo, quindi cerco sempre quel lato terapeutico nella musica che nei giorni no, mi porta a star sereno. Nel mio secondo singolo “fuori”, parlo proprio della mia disfagia. Volevo utilizzare una mia canzone come mezzo per far conoscere questa patologia a chi ne è ancora all’oscuro e, ovviamente, cercare di dar forza a me e chi come me si trova nella stessa condizione.
Coltivi altre passioni o interessi oltre la musica?
Sono un pilota di droni, ma non ho un drone, assurdo vero? Mi definisco un nerd. Sono un super appassionato di serie tv, action figures, manga, videogames e tutta la roba tecnologia che può interessare a Sheldon Cooper, ad esempio. La mia saga preferita? Assassin’s Creed, ho anche il tatuaggio della confraternita degli assassini, ma hei, non ho mai ucciso nessuno.
Nel tuo lavoro ti reputi più un professionista o un creativo?
Mi trovo al centro. Penso che la parte creativa sia la parte più emozionale e che ti invoglia a far tutto il resto. Ti fa viaggiare in luoghi che neanche sapevi di poter raggiungere, fino alla realizzazione di un’idea che poi verrà concretizzata con la parte professionale del lavoro. Secondo me ci deve essere un perfetto equilibrio tra l’essere professionista e l’essere creativo perché l’essere troppo professionali uccide la creatività e l’innovazione. L’essere troppo creativo, alcune volte, può portare a risultati belli ma troppo criptici per poi portarli alla comprensione di tutti. Vero, la creatività è anche questo, ognuno deve aver libera interpretazione di ciò che sta ascoltando, vedendo ecc., ma, se vuoi arrivare ad un’altra persona, anche la semplicità e la professionalità a volte pagano e ti appagano, per questo mi trovo nel centro.
Qual è l’aspetto che più ti colpisce e ti affascina nella fase di composizione di una canzone?
Mi piace tantissimo creare la linea melodica, penso che il ritornello e la melodia siano le fondamenta stabili di una canzone. Devi cercare uno slogan, lanciare un messaggio e musicarlo affinché rimanga nella mente dell’ascoltatore. È proprio così che comincio un brano, se noto che il ritornello lo canto per tutta la giornata, sono sulla strada giusta.