Musica a Teatro: Monica Faggiani , ho deciso di fare l’attrice “di teatro drammatico” a quattro anni circa
Diplomata all’Accademia dei Filodrammatici di Milano, perfeziona la sua formazione con Leo De Berardinis, Federico Tiezzi, Andrea Taddei, Valter Malosti, Elio De Capitani, Peter Clough.
Lavora con molti tra i più importanti registi italiani, tra cui Sergio Maifredi, Guido De Monticelli, Marco Baliani, Antonio Latella, Franco Branciaroli e Giulio Bosetti. Per il Cinema partecipa al film Si può fare per la regia di Giulio Manfredonia e al film Genitori quasi perfetti per la regia di Laura Chiossone.
Partecipa alla fiction Cuori Rubati, alle sit-com Via verdi 49 e A.Q.A. – Attori Quarantenati Anonimi.
È tra le protagoniste della web-serie Rajel prodotta da Oltre l’orizzonte – Contro-narrazioni dai margini al centro.
Doppiatrice, dal 2009 al 2016 ha diretto la Scuola di Teatro Teatri Possibili curando la Direzione Didattica ed Organizzativa della Scuola e ideando particolari progetti formativi.
Dal 2016 al 2018 è stata Direttrice Organizzativa di Teatro Libero. Laureata in Psicologia, è diplomata come Counselor Teatrale e Councelor in Programmazione Neurolinguistica Sistemica. È tra le fondatrici e animatrici di Amleta.
Ho avuto il piacere di recitare con lei nella messa in scena di Cyrano diretta da Gianlorenzo Brambilla, in cui lei era una splendida Rossana e io interpretavo Lebret.
Partiamo con un ritratto “artistico” di Monica da piccola.
Ho deciso di fare l’attrice “di teatro drammatico” a quattro anni circa e passavo tutti i miei pomeriggi allo specchio parlando con le mie amiche e miei amici immaginari…
Gesticolavo e facevo le facce esattamente come faccio anche oggi.
Poi quando mia madre mi disse che ci saremmo trasferiti a Milano da Salerno, città che io non volevo assolutamente lasciare, lei mi promise che avrei potuto frequentare un corso di recitazione che a Salerno allora non esisteva. Fu il solo motivo per cui acconsentii.
Avevo 8 anni e da allora non ho più smesso. Ero determinata e agguerrita esattamente come oggi. Studiavo tanto, sempre, esattamente come oggi. Ed ero appassionata esattamente come oggi.
Quali spettacoli ritieni abbiano creato una svolta importante nel tuo percorso?
Se ripenso a tutto il mio trentennale percorso (oddio trentennale, che paura!) non ho dubbi: in primis Otello con la regia di Antonio Latella.
Antonio era all’inizio della sua carriera, non era ancora l’artista affermato e acclamato che è oggi ma in lui c’era già tutta la sua estrosa genialità che troviamo nei suoi spettacoli (a tal proposito segnalo Chi ha paura d Virginia Wolf al Piccolo, messa in scena incredibile!).
Io ero poco più che una bambina, appena uscita dall’Accademia, inesperta e fragile e lui mi ha preso per mano con fermezza e al contempo dolcezza e mi insegnato l’abc del lavoro sulla costruzione del personaggio che ancora oggi mi accompagna.
Poi, Questa sono io di Federico Guerri con la regia di Alessandro Castellucci.
Ho letto il suo romanzo in una notte e lì ho capito che attraverso quel personaggio e quelle parole avrei potuto raccontare esattamente quello che volevo raccontare: l’oggettivizzazione del corpo delle donne e tutto quello che giovanissime ragazze hanno dovuto affrontare per non rinunciare ai propri sogni.
Ho sempre scelto con attenzione i personaggi femminili da interpretare ma questo è stato il personaggio con cui ho aperto anche il mio modo di affrontare le scene in maniera totalmente femminista e non solo facendo teatro al femminile come si usa dire oggi ma offrendo la possibilità di un nuovo sguardo narrativo.
Hedda Gabler con la regia di Cristina Pezzoli. Ecco… con questa immensa mastra ho capito fino a dove potessi spingere le mie possibilità attoriali e ho capito, per la prima volta, che nel prestare corpo e voce al mio personaggio avrei dovuto chirurgicamente dissezionare anche la mia anima.
Hedda Gabler è un personaggio immenso ma scomodo: è cattiva, manipolatrice, arrogante, sgradevole e fragilissima. Come rendere senza filtri e senza difese tutto questo? Solo guidata dall’abile mano di Cristina ci sono riuscita e dopo questo spettacolo la mia modalità di calarmi nei personaggi non è stata più la stessa.
E quel che resta – A proposito di mobbing shocking e altre amenità. E qui entriamo in un nuovo periodo della mia vita artistica, quello in cui ho cominciato a scrivere. Questo spettacolo è il mio secondo figlio (dopo quello biologico).
Uscivo da un periodo di grande difficoltà personale e professionale e l’unica salvezza e sollievo che trovavo era quello di scrivere, di mettere a fuoco quello che mi stava accadendo.
Piano piano scrivevo e mi sentivo appagata, scrivevo e i miei amici drammaturghi (cui chiedevo consiglio) mi spronavano ad andare avanti. Io sono una persona molto ironica e soprattutto autoironica e ho capito che quella poteva essere la chiave.
E così è nato questo spettacolo che mette a nudo un difficile periodo della mia vita ma che ha fatto da specchio alle fragilità di molte e molti.
Uno spettacolo di rinascita che racconta che abbiamo dentro di noi tante risorse incredibili e nascoste che piano piano possiamo attivare. Ormai lo porto in giro da sei anni senza stancarmi mai.
E da lì ho iniziato a scrivere per me e per altri e ho affiancato in maniera continua la mia vita di attrice a quella di autrice.
Che tipo di musica ascolti? Quale in genere cerchi per “rilassarti”, quale per darti energia?
Devo dire che sono piuttosto onnivora. Amo i cantautori italiani, quelli classici, amo il rock e amo le pop star! L’opera la apprezzo ma non la amo. Se ascolto Carole King so che mi torna il sorriso. Se ascolto Janis Joplin mi viene voglia di spaccare tutto.
Miles Davis mi mette addosso la malinconia. Tom Waits mi ricorda che avrei potuto vivere una vita perduta ma mi sono salvata. Emozioni, la musica mi attiva emozioni, e ricordi e possibilità.
Spettacoli con musica, registrata o dal vivo, che ami ricordare in particolare?
Proprio in questi giorni sono in scena con dei recital con musica dal vivo (in due bellissime case teatrali: MTM e Alta Luce Teatro).
La musica accompagna le parole e le sostiene e ne decreta l’importanza. Nella prosa classica preferisco poche musiche, ben scelte, e non dal vivo.
La musica è potente e può essere usata in modo molto manipolatoria, non faccio nomi ma diversi registi la usano per decretare cosa il pubblico dovrà provare in quel determinato momento e per me è davvero disturbante oltre che scorretto.
Io scelgo le musiche per uno spettacolo in maniera significante cioè anche la musica non induce emozioni (non solo almeno) ma racconta storie e quindi deve sostenere e raccontare insieme a me la storia che sto mettendo in scena. Una sorta di scelta analogica e narrativa.
Ora come ora preferisci lavorare in team o prediligi il monologo?
Mi piace alternare. Adoro Mi piace raccontare le “mie” storie ma amo condividere le mie avventure teatrali con colleghe e colleghi. Mi piace sapere che non sono sola sulla scena e che quello scambio che avviene sarà unico e prezioso.
Anche quando sono sola in scena ho sempre un team che lavora con me perché l’autoreferenzialità in teatro non premia mai.
Qualcosa sulla tua attività di insegnante di scrittura teatrale autobiografica, com’è nata l’idea?
Quando ho iniziato a scrivere l’ho fatto con l’istinto e con la passione. Ma, come in tutto, ho capito che serviva anche la tecnica. Mi sono messa a studiare. Ho seguito molteplici corsi e fatto dei percorsi privati con drammaturghi e drammaturghe che stimo.
Mi sono fatta le ossa studiando e scrivendo. E poi, visto che la mia vocazione è sempre di condivisione, mi sono detta: ma potrei trasmettere quello che ho imparato e che so fare?
E, magari presuntuosamente, mi sono risposta di sì.
L’incontro con Valentina Pescetto di Factory 32, la sua curiosità e la sua voglia di sperimentare hanno aperto la strada. Nello specifico cosa so fare meglio? Scrivere di me e della mia storia e così il corso ha messo il fuoco sulla scrittura autobiografica.
Anche se dico sempre alle mie allieve e ai miei allievi: esiste scrittura che non sia autobiografica? Io credo di no.
Due parole su Amleta…di cosa si tratta?
Amleta è una associazione di promozione sociale che combatte tutte le disparità di genere (dagli stereotipi, agli abusi, alla violenza) nel mondo dello spettacolo.
Ventotto fondatrici sparse su tutto il territorio italiano che si stanno attivando in maniera concreta su tutte queste tematiche convinte che solo insieme è possibile intraprendere un percorso di cambiamento.
A maggio, in alcuni tra i più importanti teatri milanesi e con quattro giornate conclusive al Teatro Leonardo (MTM), Amleta presenterà il suo primo Festival diffuso che vuole raccontare il suo percorso e le sue battaglie in maniera festosa e “teatrale”.
Sui social potete trovare tutte le nostre attività, seguirci e soprattutto tesserarvi per sostenerci!
Cosa stai mettendo in scena ora e cosa stai preparando?
Sono tanti i progetti che bollono in pentola.
Sicuramente quello cui tengo di più in questo momento è la mia prima stand up: anche qui in maniera autobiografica ho scritto un testo che racconta le vicissitudini di una madre attivista alle prese con il figlio maschio adolescente.
Un monologo comicissimo che con autoironia fa luce sulle contraddizioni della nostra società patriarcale in cui siamo tutte e tutti immersi e invischiati.
E poi è in corso il progetto Le Milanesi curato dall’associazione di cui faccio parte: Teatro dell’Allodola – Le Irriverenti (fondata da Valentina Ferrari, amica e collega, con cui condivido il palcoscenico da diversi anni): recital su donne che hanno reso grande Milano (abbiamo già fatto il primo incontro e proseguiremo fino a giugno): Franca Valeri, Biki, le sorelle Giussani, Marta Abba e Dina Galli.
Un format originale che MTM ha accolto con entusiasmo e che spero possa andare avanti anche nella prossima stagione.
A maggio ancora ad Alta Luce Teatro debutterò (dopo una presentazione on line) con una mia nuova drammaturgia scritta a quattro mani con un’altra cara amica e collega, Silvia Soncini: A proposito di lei.
Anche qui siamo partite da uno spunto autobiografico per raccontare un argomento spinoso: quello delle donne che odiano le donne.
E da ultimo, ma non per importanza, potevo farmi mancare una regia? Certo che no:
Stordita – Il Musical, e qui me la gioco con varie artiste e artisti che amo, ne cito due sopra tutti: Tobia Rossi alla drammaturgia, Ilaria Fioravanti unica interprete per 12 personaggi. La produzione dell’amico di sempre Paolo Scotti.
Naturalmente ancora musica dal vivo con canzoni interpretate dalla bravissima Ilaria.
Il tema? Ovviamente una carrellata di donne che danno vita ad un universo femminile sfaccettato e poliedrico ambientato durante la finalissima del più importante concorso di bellezza: Miss Italia.
Come possiamo seguirti? Link?
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