“Re Nudo Pop e altri festival – Il sogno di Woodstock in Italia 1968-1976” di Matteo Guarnaccia
Per parlare di questo volume, ristampa aggiornata dell’edizione originale del 2010, è necessario fare una premessa perché sono tre i veri “oggetti della memoria” di questo libro: Re Nudo, Andrea Valcarenghi e l’autore, Matteo Guarnaccia, scomparso nello scorso mese di maggio.
Re Nudo è stata una rivista che si è guadagnata uno spazio di grande rilievo nei temi che hanno fatto parte della sia cifra stilista, la controcultura e la controinformazione. Dichiaratamente di natura libertaria, la sua fondazione, che avvenne nel 1970, si deve a un gruppo di intellettuali e di artisti.
Re Nudo Pop e altri festival
Obiettivo primario di Re Nudo era quello di diffondere in Italia informazioni e tematiche proprie della cultura underground internazionale.
In breve tempo diventò il riferimento culturale per una serie di argomenti che, in quel periodo, sulla stampa mainstream ossia musica, in senso ampio del termine, droghe, sessualità libera, pratiche sociali alternative e fumetti, al tempo legati solo al concetto della fumettistica per bambini e adolescenti, introducente quella che, nel mondo, era la fumettistica dedicata al pubblico adulto.
Andrea Valcarenghi, classe 1947, è noto anche con lo pseudonimo di Swami Deva Majid che, in effetti, è il nome che gli fu assegnato dopo il suo viaggio in India.
Editore e scrittore italiano, nel 1967, poiché obiettore di coscienza nei confronti del servizio militare, scontò una pena nel carcere di Gaeta.
E’ tra i fondatori de Gli studenti della città, un mensile di controinformazione del Movimento Studentesco che può essere considerata la sua operazione prodromica alla nascita di Re Nudo, tant’è che, nel 1970, insieme a un piccolo gruppo di amici, diede vita alla rivista che diventò un vero e proprio mensile di controcultura e che diresse per per dieci anni.
Proprio sulla spinta di Re Nudo, tra 1971 e il 1976, Valcarenghi organizzò i pop festival che portarono il nome della rivista, come quello a Ballabio, all’Alpe del Viceré, allo Zerbo e poi gli ultimi tre anni a Milano, al Parco Lambro.
Re Nudo Pop e altri festival
Proprio l’ultimo festival al Parco Lambro, quello nel 1976, fu segnato da incidenti, espropri e violenze che entrarono nell’immaginario collettivo e che, considerazione amara, minimizzarono la grossa spinta culturale che proprio da questi festival arrivò.
Matteo Guarnaccia, artista, storico dell’arte e viaggiatore italiano fu attivo dagli inizi degli anni Settanta, come agitprop culturale della scena alternativa con la rivista psichedelica “Insekten Sekte”, da lui fondata ad Amsterdam e diffusa lungo la “Hippie Trail”.
Con il suo inconfondibile tratto grafico, collaborò con diverse testate contro culturali del periodo, dall’americana “Berkeley Barb” all’italiana “Fallo!”.
Nel tempo ha pubblicato oltre cinquanta saggi sulle avanguardie storiche e sui movimenti creativi antagonisti. È scomparso il 14 maggio 2022.
Il fenomeno dei festival pop negli anni ’70 non fu esclusivamente un fatto musicale ma anche, e soprattutto, di costume.
Nato negli Stati Uniti culminando con gli storici eventi di Woodtsock, Monterey e il tristemente noto Altamont, proseguito in Inghilterra con l’Isola di Wight, prese poi vita anche in Italia con il solito tipico di ritardo.
Di quella stagione, purtroppo, oggi si ricorda solo il suo drammatico epilogo al Parco Lambro nel 1976 ma la storia, fortunatamente, documenta ben altro.
E in questo solco, quello del recupero storico della memoria, s’inserisce il lavoro di Matteo Guarnaccia edito da Volo Libero.
Nelle sue 224 pagine il libro, curato da Claudio Fucci, si ripresenta oggi con un approccio contemporaneo anche grazie all’utilizzo di collegamenti con QR-code a contenuti video e audio che sostituiscono il CD e il DVD allegati alla precedente edizione.
Di questa mantiene interventi e contributi di Bruno Casini, Enzo Gentile, Claudio Rocchi e Andrea “Majid” Valcarenghi ma presenta una nuova versione sia per quanto riguarda la parte testuale sia per quella iconografica.
Rispetto all’edizione del 2010 non si perde quello che era il pregio principale, ossia il linguaggio chiaro e senza retorica che rende il lavoro accessibile anche a chi non visse in prima persona quei tempi.
L’autore non si lascia prendere da nessuna apologia, nessuna nostalgia e propone una semplice e chiara sintesi con opinioni di quello che accadde.
Dedicato a chi ha avuto la fortuna di vivere quegli anni ma caldamente consigliato a quanti, in quegli anni, non erano ancora nati.