Matteo Torcinovich: “1977. Don’t call it punk” l’anno che cambiò per sempre la musica
Ritornando, con il pensiero, al 1977 non possono non venirmi in mente il Movimento, le università occupate, il sei politico, il Convegno di Bologna e la morte di Francesco Lo Russo.
E poi in quel 1977 c’è il punk, quella subcultura giovanile emersa negli Stati Uniti e nel Regno Unito a metà degli anni settanta e che, proprio nel 1977, produsse una serie di album come “Never Mind The Bollocks…” dei Sex Pistols, “Rocket To Russia” dei Ramones, “Blank Generation” di Richard Hell & The Voidoids “Young, Loud & Snotty” dei Dead Boys, e “(I’m) Stranded” dei The Saints e “Radios Appear” dei Radio Birdman.
E poi c’è lei. The Queen, quella Lilibet con la spilla da balia nel naso.
Veste grafica particolare, per “1977. Don’t call it punk” di Matteo Torcinovich edito da Spittle/Goodfellas Edizioni perché è realizzato come una enorme fanzine con una grafica volutamente rozza, l’uso del bianco e nero, riempita fino al massimo possibile di immagini colorate, grafiche, notizie, trafiletti di giornali, grazie all’approfondita ricerca realizzata dall’autore.
Matteo Torcinovich, nelle 496 pagine del libro, penetra la coltre dell’oblio e, grazie a una minuziosa ricerca storica, stila un vero e proprio calendario, annotando, giorno per giorno, tutti gli eventi relativi alla scena punk rock.
Si tratta di un dettagliato ritratto di quello che fu il punk, corredato da un’ampia mole fotografica di materiale d’epoca, liste di concerti, copertine di dischi, fanzines e, soprattutto, con le memorie di musicisti, scrittori, fotografi come Gaye Black degli Adverts, il mitico fondatore del Roxy Club Andrew Czezowski, Ana da Silva delle Raincoats, il fotografo Peter Gravelle, Lora Logic degli X-Ray Spex, il giornalista Kris Needs e dai membri di Sham 69, Boys, Generation X, Vibrators, PIL, Chelsea, che permettono di ricostruire un quadro ancora più
dettagliato e approfondito di un’epoca tanto irripetibile quanto decisiva e ancora artisticamente attuale che ci fa comprendere che «la musica (il punk rock, ndr) assume un ruolo primario nel processo legato al cambiamento generazionale e diventa, quasi inconsapevolmente, il veicolo per eccellenza sul quale viaggia ad alta velocità il nuovo concetto artistico del “Fai da te” che approda alla fotografia, alla moda, al teatro, alla grafica, alla poesia ma anche alle idee politiche/non politiche, scandali e verità!
Straordinariamente questo nuovo approccio si diffonde tra la generazione del ’77.
Alcuni piccoli studi di registrazione così come certi negozi di dischi e i musicisti stessi, creano importanti etichette discografiche indipendenti che sfornano migliaia di vinili di centinaia di nuove band.
I protagonisti sono di certo i musicisti ma anche i produttori di concept originali e gli inventori di nuove idee.
Per forza di cose servono grafici, fotografi, nuovi giornali capaci di trasmettere un nuovo stile di comunicazione»
In diverse occasioni, l’autore ha ringraziato la Contessa Platessa Basinska Brancusi. Ma, per quanti non la conoscessero, di chi si tratta?
Di una nobildonna polacca, originaria di Wadowice, che in età adolescenziale frequentò la Scuola d’Arte di Varsavia contro il volere dei propri genitori.
Si trasferì a Parigi dopo il suo matrimonio con lo scultore Constantin Brancusi e lì aprì uno dei salotti più famosi dell’epoca all’Hotel de Nevers dove noti esponenti delle avanguardie artistiche esposero le loro nuove concezioni dell’arte.
Questo luogo di ritrovo, alla base di molti salotti successivi, fu anche l’occasione per propagandare le già note tesi sull’emancipazione della donna, ricorrendo all’invito di diverse esponenti femminili socialmente impegnate, tra queste Adrienne Lecouvreur.
Alla morte di Brancusi, cominciò a trascorrere le sue estati in Italia precisamente a San Quirico dove il salotto di Lady Platessa fu per anni uno dei più esclusivi del paesaggio toscano