“Back in Black” di Brian Johnson, un libro per capire che non è sempre stato “sesso, droga e Rock’n’Roll”
«Avevo già incassato qualche duro colpo in passato, ma questa volta era diverso. Questa volta soltanto un miracolo mi avrebbe fatto rialzare da terra.
Ero in Canada, a Edmonton, nel 2015 quando arrivarono le prime avvisaglie che qualcosa si stava mettendo male. Era la fine di settembre, a metà del Rock or Bust World Tour degli AC/DC; stavamo suonando al Commonwealth Stadium, il più grande stadio all’aperto del Paese.
Era stracolmo, oltre sessantamila spettatori, faceva un freddo cane e davanti al palco la pioggia cadeva a secchiate.
Angus aveva già la febbre alta e io avevo la sensazione che di lì a poco mi sarei ritrovato nelle sue stesse condizioni (…) Ci eravamo presentati nei nostri abituali costumi di scena: io in jeans e T-shirt nera, Angus con la sua divisa da scolaretto, camicia bianca e pantaloncini corti.
Almeno il palco era all’asciutto e un po’ di calore ci arrivava dalle luci di scena anche se, a dire il vero, sia a me sia a Angus piace sempre spingerci fin sulla passerella per stare più vicini al pubblico.
Difatti quella sera passammo lì sopra buona parte del concerto e, correndo avanti e indietro, dopo le prime canzoni eravamo già sudati fradici.
Eppure, nonostante le temperature da semicongelamento, non ci importava granché di inzupparci fino al midollo».
Inizia così l’autobiografia di Brian Johnson che ha come titolo “Back in Black”, ossia del primo album con gli AC/DC, band in cui, nel 1980, Bon Scott, morto prematuramente.
Nessun ghostwriter, nessun giornalista blasonato lo ha affiancato nella realizzazione di questo volume che, nella sua edizione italiana, è pubblicato da Rizzoli in una veste editoriale e grafica di altissimo livello.
Le pagine iniziali di questa importante, 384 pagine, autobiografia di Brian Johnson sono preziose perché, come avete potuto leggere sopra, si apre narrativamente con il dolore per la perdita dell’udito.
Ma la prima domanda che è lecito farsi nell’approccio a questo libro è la seguente “Si tratta della versione di Brian?”. Assolutamente sì anche perché questa scelta è dichiarata dallo stesso autore che mette ordine, e per certi versi minimizza, quello che all’epoca sembrava irreversibile.
Ma la versione di Brian è raccontata con grande onestà intellettuale e con quella ruvidezza che contraddistingue la storia dell’autore, il suo percorso di vita, facendo emergere il ritratto di un uomo colto, amante e dedito al proprio lavoro, da quello all’interno di una fabbrica a quello di cantante e frontman di una band che nessuno riuscirà mai a scalzare dal proprio ruolo nella storia della musica, quella di un artista che ha avuto bisogno di «tirare fuori tutta quella rabbia che mi permette per due ore, senza soste e senza ballate, di essere la voce degli AC/DC».
In lungo racconto personale che lo vede protagonista di un’infanzia vissuta fra delusioni e povertà e una madre italiana che cerca di tenerlo legato al suo paese di origine.
Johnson, un’adolescenza fatta di sogni a Newcastle, una città che sembra far di tutto per reprimerli, renderli effimeri.
Poi la scoperta della musica, l’inizio di una gavetta durissima raccontata senza miti, senza esagerazioni, quella storia di un ragazzo che, all’estrema periferia dell’Impero, si muove come può per raggiungere il suo sogno.
Un sogno che, alla faccia di Newcastle, si realizza e si concretizza quando, dopo svariate esperienze musicali, viene chiamato dagli AC/DC. Johnson racconta la storia del disco “Back in Black” e della sua registrazione alle Bahamas, all’interno di un tecnologico studio di registrazione.
Un album realizzato velocemente, come racconta, dove si passava da una registrazione all’altra senza pensarci troppo. Per questo motivo dopo sei settimane, Brian ha pensato che il lavoro prodotto fosse una «schifezza».
Invece l’album fu un vero trionfo per la band, il loro disco di maggior successo. L’album che, ancora oggi, dopo “Thriller” di Michael Jackson, è il disco più venduto di tutti i tempi.
Un libro da leggere anche se gli AC/DC non sono tra le vostre band preferite, da leggere perché, molto spesso, le leggende metropolitane si sono sostituite alla realtà.
Un libro per capire che non è sempre stato “sesso, droga e Rock’n’Roll” ma, prevalentemente, Rock’n’Roll.