Il chitarrista Leonardo Fortunati ci ha parlato di “A cosa serve questa paura”
A distanza di quattro anni dall’uscita del primo disco, i NUR. pubblicano il loro secondo album, “A cosa serve questa paura”. Il disco, autoprodotto, è stato registrato e mixato da Undergrind Records nella primavera del 2023. “A cosa serve questa paura contiene tutto quello che avremmo voluto sentirci dire ogni volta che siamo stati male. Otto tracce per parlare di dubbi, delusioni, rabbia e speranza, silenzio e misericordia.”
NUR. è una band di Perugia che prende vita dalla collaborazione tra Leonardo Fortunati (chitarra) e Massimiliano Rrapaj (basso), ai quali si sono uniti, nel tempo, Beatrice Bernardini (voce), Tommaso Donati (synth) e Francesco Busti (batteria). Precedentemente noti come “We could be happy”, canzone dopo canzone emergono sempre di più le influenze alternative ed elettroniche del progetto. Dopo diverse date in centro Italia, tra le quali figura la vittoria del contest Unimusic nell’ambito del Festival Umbria che spacca, ad aprile 2018 cambiano nome ed entrano in studio per registrare il loro primo album. A Febbraio 2019 esce quindi “Alea”, promosso attraverso vari concerti e partecipazioni a festival fino a inizio 2020. Durante i mesi della pandemia i NUR. intraprendono poi un percorso di composizione, terminato a gennaio 2023 con la realizzazione di “Tensione superficiale”, singolo preludio di “A cosa serve questa paura”, secondo album della band uscito a maggio, di cui abbiamo parlato con il chitarrista Leonardo Fortunati.
Ciao Leonardo, recentemente è uscito il vostro secondo album “A cosa serve questa paura” preceduto dal singolo “Tensione superficiale” volete parlarcene?
Durante la pandemia c’è stata l’esigenza di tornare a creare qualcosa visto che i concerti erano tutti fermi e abbiamo trovato uno sfogo in questo progetto che ha 8 tracce e che ha come tematica principale la paura, come quella per il futuro o quella di interpretare in modo sbagliato i rapporti in una relazione oppure l’angoscia verso la crisi climatica.
Ci sono dei cambiamenti rispetto al primo album “Alea”?
Il primo album è stato composto in un momento di transizione del gruppo, erano tematiche più legate al trovare un posto nel mondo, a trovare la propria identità. Il secondo album è più maturo sia da un punto di vista compositivo che di registrazione, ci siamo affidati a uno studio di Perugia composto da ragazzi molto bravi che si chiama Undergrind e questo ci ha dato nuove idee in sede di registrazione, in sede di mixing: è stata un’esperienza molto formativa.
Il titolo è senza il punto di domanda, quindi la paura può avere anche degli effetti positivi?
Sì, perché dai momenti di crisi nasce sempre una evoluzione che ti offre delle possibilità, che invece nei momenti di quiete possono non esserci.
Davanti a una paura preferisci reagire con rabbia o lucidità?
All’inizio c’è una certa rabbia che è propria anche della nostra età, una rabbia che a volte è fatta di voglia di farsi sentire, a volte dovuta all’impotenza che si prova davanti a certe situazioni. Ma dopo questa rabbia, che trova sfogo in vari modi tra cui quello artistico (e questo si nota perché il disco è carico a livello strumentale), c’è sempre una fase di ragionamento a mente più fredda. Ma la spinta irrazionale ti permette di esprimerti a livello artistico e di produrre qualcosa di originale.
“Non sono gli incubi a fare paura”, cantate in Ancora una volta, quindi è la realtà a fare più paura?
Gli incubi sono lì, nella realtà e nella interpretazione che noi abbiamo della realtà, la radice è sempre un fatto reale che viene poi processato nella nostra interiorità, ma è come noi ci poniamo di fronte ad essa a fare la differenza.
Fate parte della scena elettronica alternativa, quali sono stati i vostri punti di riferimento?
Nel gruppo abbiamo dei background musicali differenti, per cui i riferimenti vanno dai Radiohead che sintetizzano la parte di chitarra e di tastiere, ai Massive Attack, passando agli italiani possiamo citare i Fast Animals and Slow Kids che ci hanno sicuramente segnato.
Siete perugini, la provincia italiana è stata più uno stimolo o un freno?
Una persona può essere portata a pensare che città come Milano e Roma diano più possibilità, e in parte è vero, ma sono più legate al mainstream, la provincia ti consente di crescere, di costruirti da te le possibilità grazie a un rapporto più diretto con le istituzioni, lo sappiamo bene noi che abbiamo fatto parte di associazioni studentesche e culturali.
Rispetto ai percorsi tradizionali come Sanremo o i vari Talent come vi ponete?
Non abbiamo mai considerato più di tanto queste strade perché il nostro obiettivo è fare musica che ci piaccia e che dia un contributo innovativo al panorama musicale, quindi noi cerchiamo di fare sempre qualcosa che possa dare un sostegno alla scena attuale. Questi talent si basano su competizioni che, è un opinione personale, a livello artistico stonano un po’ perché si basano su valutazioni soggettive, spesso si ricordano più i pezzi che sono arrivati a metà classifica di quelli che hanno vinto.
Nel vostro immediato futuro cosa c’è?
Tra le varie date la più importante è sicuramente quella del 1° luglio a Umbria che Spacca, insieme a Elephant Brain e Verdena, due gruppi ai quali ci ispiriamo molto, ci fa veramente piacere essere stati selezionati perché abbiamo vinto un contest attraverso il quale siamo riusciti a essere ospiti di questo Festival e suoneremo prima dei Verdena che sono i nostri idoli.
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