SeinInLove la band romana, di origine ciociara, si prepara all’uscita del primo album presentando questo nuovo singolo
La cantautrice, Camilla Ciminelli, ci racconta la sua esigenza di allungarsi per riavvicinarsi ad un universo a cui non arrivava più. Trionfa quindi l’amor proprio, in mezzo a un delicato assaggio di trame indie-pop-rock che si sviluppano in modo morbido e con buona padronanza melodica.
Per fondare un universo personale il primo passo è scegliere di amare sé stessi perché essere è più importante di avere.
Vorrei aprire questa intervista domandandoti da dove deriva il nome “SeinInLove”?
È un nome che ho inventato io, viene da “Sein” che in tedesco significa Essere, “InLove”, in amore; questa scelta è dettata dal fatto che io abbia voluto ammorbidire il suono, perché mi sarebbe piaciuto “da sein”, ovvero esserci, poiché deriva dal filosofo tedesco Martin Heidegger.
Arriva in un momento della mia vita in cui c’è stata una muta di pelle, uno spartiacque perché provengo dalla musica lirica e dal teatro di ricerca. Come musicista viravo sulla musica classica e dal punto di vista teatrale ho sperimentato veramente di tutto, fino ad arrivare a scrivere testi miei che già li pensavo come canzoni; ho lavorato sulla mia voce cercando di portarla ad un’ulteriore espressività.
SeinInLove è una scelta, essere in amore per sé stessi e rimanere allineati con le proprie esigenze e desideri, capire in che modo ci vuoi essere in questa vita, come diceva anche Heidegger, nel modo più autentico possibile.
I tuoi testi sono autobiografici?
Nascono principalmente da alcuni spunti, mi capita di scrivere sulla mitologia, non sempre parlano di me ma si possono comunque trovare dei riferimenti.
In fase di scrittura ti ispiri a qualche artista in particolare?
No, perché venendo dalla musica classica e avendo ascolti prettamente anglosassoni come l’indie e il folk americano e inglese, non c’è una volontà di scrittura, non riesco nemmeno ad imitare formalmente.
Il tuo approccio alla musica ha delle influenze?
Sì, soprattutto dalla musica classica, suono il pianoforte ma lo suono classicamente; scrivere un pezzo lo trovo davvero edificante e quando scrivo con la voce c’è un testo da cui parto, è raro che io parta da un frammento melodico; lavoro insieme a Pierluca, il chitarrista della band, con il quale costruiamo il prodotto finale.
Testi e melodie sono miei, costruzione armonica e struttura la facciamo insieme. Ci tiriamo fuori il meglio a vicenda, volendo aiutare l’altro facciamo di più che se non fossimo da soli. Io servo a lui per chiudere alcune cose e lui serve a me per iniziarle. È una simbiosi abbastanza rara che viene da un legame molto lungo sia a livello umano che emotivo.
Come nasce il nuovo singolo “Cosmica”?
È il primo testo che ho scritto e che ho provato a mettere in musica, c’è l’idea e la voglia di rifondarsi completamente su delle basi diverse, rifondare un universo sia esistenziale che pratico. Cosmica è proprio un allungarsi, un uscire fuori da tutta una serie di situazioni un po’ ingabbianti e aderire maggiormente a sé stessi.
Quindi è questo il messaggio che vuole trasmettere?
Sì, però non c’è una risoluzione. Il video del brano è molto significativo: lei ha questa bocca che piano piano diventa sempre più larga ma non si vedono mai gli occhi, traspare dunque quest’idea di costrizione. Alla fine, lei compare a volto pieno ma non è felice; ha preso sicuramente consapevolezza che deve allungarsi e rifondarsi un suo universo personale.
Mi ha incuriosito la scelta del titolo in italiano e del testo in inglese. Ci spieghi perché?
Questa è una bella domanda su cui non mi ci ero mai soffermata più di tanto. All’inizio io le chiamavo tutte “Cosmica song”, “Like a song”. È un processo spontaneo e naturale, non c’è nulla di artificioso. Io lavoro sempre molto sul contrasto e l’ossimoro, questo viene molto dalla scrittura e dalla pratica del teatro.
Lavorare sul cortocircuito della forma e del contenuto è sempre molto forte, ridere su una musica triste è molto più forte che piangere su una musica triste. Spesso i nomi delle canzoni non ci sono proprio nel testo. L’ultimo pezzo che abbiamo registrato e che uscirà insieme all’album si chiama “CF2”, è un acronimo che significa “Comunismo per 2”, ma in inglese; in realtà dove compare in inglese lo ritroviamo anche nel testo, dov’è in italiano non ha riferimenti testuali.
Ti è mai capitato di fondere questi due aspetti, la musica lirica e il teatro?
Sì, mi è capitato, in qualche spettacolo cantavo in scena dal vivo improvvisando liricamente. Così come mi capita nel momento in cui canto adesso, c’è sempre molta interpretazione, ma questa è una peculiarità che viene dal teatro, il cosiddetto recitar cantando.
Il mio linguaggio è influenzato nettamente dal teatro, è costituito prettamente da corpi, di cose tattiche. Per me è molto più interessante la fase creativa e di prova rispetto a quella di restituzione al pubblico, sia a teatro che nella musica. Il pubblico è necessario, ci vuole perché la sua energia nella scena mette a punto tutto quello che viene pensato e scritto. Ma quello non è il mio vero obiettivo, il piacere maggiore risiede nella fase creativa.
A proposito del pubblico, che tipo di rapporto hai con loro?
Io penso al pubblico come qualcuno al quale regalare delle cose e con cui interagire profondamente. Negli spettacoli teatrali il mio pubblico partecipava attivamente, mangiando, scrivendo, facendosi toccare in scena. Con la musica questo diventa un po’ più difficile essendo una musicista giovane poiché ho iniziato da poco a suonare.
La tua band da quante persone è composta?
Noi siamo cinque, io e Pierluca siamo i fondatori, il nucleo di base; abbiamo trovato anche queste altre tre persone, un bassista, una batterista e una seconda chitarra introdotta da pochi mesi. Sono tutti musicisti molto esperti ma in generale il progetto ruota molto intorno a me perché l’ho voluto io fortemente.
Quanto ti senti legata alle tue origini geografiche?
Moltissimo, anche perché ho studiato in Conservatorio a Frosinone. Inoltre, io vivo a Roma ma tutta la band si trova in Ciociaria e questo mi ha aiutata a riscoprire la bellezza di questa terra, ci passo molto più tempo e si anche allargata la mia cerchia di amicizie e di luoghi conosciuti.
Adesso mi sento molto più radicata, mi sono sempre sentita ciociara e mai romana, non credo di avere caratteristiche tipiche di chi è nato e cresciuto a Roma. Attraverso la musica ho veramente riallacciato i contatti con le mie origini, tanto è vero che sto scrivendo in ciociaro, perché l’italiano non lo sento mio. Mi piace essere una persona autentica, non riesco a fare nulla che non sia tale.
Avete già vissuto delle esperienze in qualche live?
Assolutamente sì, in questi ultimi mesi abbiamo già fatto 6-7 live che precedono l’uscita ufficiale che dovrebbe essere qui a Roma. Sto aspettando risposte da luoghi in cui fare questo showcase con la stampa perché vogliamo fare un qualcosa di più strutturato e visibile.
Ci sono programmi concreti per il futuro?
Sì, il 19 gennaio esce il primo album che contiene anche Cosmica, dal titolo “Ehy you, have you found God?”, che mi è arrivato in sogno direttamente in inglese.
Altri progetti in cantiere invece?
Chiaramente il desiderio è continuare con questo progetto musicale intorno al quale ruota tutta la mia passione e le mie ambizioni. Stiamo scrivendo cose nuove e li stiamo arrangiando, c’è l’intenzione di proseguire con questa linea di ricerca. Ovviamente mi piacerebbe anche suonare e portare in giro questi prodotti per vedere in giro che impatto hanno sul pubblico.
Articolo a cura di Simone Ferri