Giovanni Segreti Bruno: “Nella mia stanza nascono i fiori” e sboccia la musica! La sua camera è il suo habitat, il pianoforte è il suo migliore amico, un connubio perfetto che dà il la a nuove fioriture artistiche.
Il giovane cantautore cosentino ha rilasciato da poco il suo primo EP dal titolo “Nella mia stanza nascono i fiori”, un diario sonoro composto da cinque tracce che racchiudono degli episodi di vita vissuta legati all’infanzia, all’amore e a tanti altri temi sociali. La musica per Giovanni Segreti Bruno è terapeutica e ogni brano che nasce è un nuovo fiore che sboccia e che prende colore; le canzoni hanno salvato la sua vita e il seme gettato dall’artista spera che germogli dentro chi ne abbia bisogno.
Voglio iniziare partendo un po’ dalle basi: quando hai capito che la musica fosse la strada giusta da percorrere?
Ho iniziato all’età di dieci anni frequentando dei corsi pomeridiani di strumento musicale alle scuole medie; dopo un primo anno un po’ anonimo, ho capito che mi piaceva veramente e mi sono innamorato perdutamente del pianoforte e della musica classica, tanto da entrare in conservatorio l’anno successivo. Da quel momento in poi la passione si è trasformata ed è diventata anche altro e a 14 anni ho cominciato a studiare canto e a scrivere le mie prime canzoni.
Ti metti a scrivere proprio quando sei al piano?
Il più delle volte sì, il pianoforte è il mio migliore amico da tanti anni. In rari casi utilizzo dei bit già impostati.
Questo tuo approccio alla musica ha avuto delle influenze particolari nel corso degli anni?
Mi piace sempre fare una distinzione tra i testi e la musica in questo caso: per quanto riguarda i testi, sicuramente prendo come punto di riferimento i grandi cantautori italiani, su tutti Lucio Dalla, perché era in grado di coniugare insieme profondità ed ironia; nell’ambito del sound invece prendo spunto dalla musica inglese o americana, come ad esempio James Blake, Billie Eilish, sonorità più ricercate. A me piace molto unire l’elettronica con l’acustica quindi ci sono sempre degli strumenti veri ma l’elettronica rimane una parte importante perché aggiunge quel tocco in più di raffinatezza.
Ora vorrei spostare l’attenzione sul tuo primo EP, “Nella mia stanza nascono i fiori”. Cosa c’è dentro?
Questo EP parla di un bambino che vive un’infanzia bellissima ma allo stesso tempo difficile e tormentata poiché ha vissuto il trauma del bullismo. Dentro questo progetto ho voluto celebrare gli ideali più importanti dell’esistenza umana: in “A.A.Amore cercasi” l’amore, in “Felicità è”, l’ultimo singolo estratto dal disco che è in già in rotazione radiofonica, parlo della ricerca della felicità, per me è un momento che dura quanto il verde di un semaforo, quello che noi possiamo fare è imparare a godere delle piccole cose che ci capitano; “Eli Hallo” è un inno all’amicizia, “Yoga” parla di libertà, di forza e di coraggio e infine si chiude con “La strada di casa” che tratta il tema delle radici, di quanto sia importante sbagliare e tornare sui propri passi. Sono tutte storie collegate tra loro che si intrecciano con il mio vissuto.
“Yoga” è forse il brano più emblematico dell’EP per i temi che vengono affrontati?
Sì, racconta di rapporti tossici che ci soffocano e non ci permettono di respirare. Nel periodo attuale che stiamo vivendo mi piacerebbe che questa traccia diventasse un inno di forza per chi ne ha bisogno.
Perché hai deciso di chiamarlo così?
Yoga è una disciplina che ti aiuta ad alleviare le tensioni e a prendere del tempo per te stesso. Ho utilizzato questa metafora proprio per lasciar andare quelle persone che sono dannose per noi.
Facendo un attimo riferimento al titolo che hai scelto, queste cinque tracce sono nate tutte dentro la tua stanza?
Assolutamente sì, ma in generale, da quando ho scoperto la musica, le canzoni per me sono come dei fiori. Sono una cura contro le paure e l’ansia, sono un vero e proprio rifugio personale; spero che un giorno un mio brano possa diventare la stessa cosa per chi lo ascolta.
Per te scrivere è terapeutico?
Sì, per me ha sempre avuto questo valore. La musica ha un potere estremamente salvifico.
Se dovessi scegliere un pezzo di questo di EP a cui sei più legato, quale sceglieresti?
Forse la mia preferita è A.A.Amore cercarsi, perché è super radiofonica e molto cantabile, oltre al gran significato che c’è dietro. Non a caso si trova anche al primo posto nella tracklist. È un brano di apertura che ti fa entrare subito nel mood, orecchiabile, in grado anche di stappare i concerti.
Cosa hai provato quando hai realizzato che “Ti voglio bene” fosse diventata la colonna sonora di un film di Federico Moccia?
Totalmente inaspettato, è stato pazzesco. Un giorno il produttore mi ha comunicato che la mia canzone era stata scelta per una delle scene più tenere e più particolari della pellicola. Non mi capacitavo di come un pezzo che nasce in una cameretta, non solo diventa di tutti quando la pubblichi, ma addirittura arriva sul grande schermo e il pubblico si amplia. Non era un brano pensato per il cinema, ha avuto una vita nuova e più attenzione dopo la scelta del regista.
C’è un film in cui avresti voluto scrivere la colonna sonora?
Bella domanda! Ti direi “Tutto può cambiare” di John Carney.
Con chi ti piacerebbe fare un duetto un giorno?
Ce ne sono tantissimi in realtà, in Italia penso che la mia voce stia benissimo con quella di Elisa, si compensano a vicenda. A livello internazionale il sogno impossibile è quello di duettare con Adele; lei ha una voce molto più scura rispetto ad Elisa, però lo farei anche per un discorso di timbro e di genere. Ha un modo di scrivere che amo follemente.
Ci racconti l’esperienza con Area Sanremo?
La inserisco nella casella delle cose surreali. Inizialmente non era nei miei piani partecipare; mentre ero all’università sul telefono mi esce una pubblicità di questo concorso e mi informo per partecipare alle selezioni in Calabria, dato che sono di Cosenza e nel 2018 facevano le selezioni in ogni regione. Mi presento alle semifinali nazionali, passo la selezione e lo step successivo era già Sanremo.
Quindi inizia il viaggio della speranza, dalla Calabria 16 ore di pullman, step by step passo le selezioni e arrivo alla finale nazionale al Teatro del Casinò. Mai avrei pensato che il mio nome fosse nella rosa dei vincitori e invece quella sera ho trionfato davanti a tutti, mi sono esibito davanti a Claudio Baglioni che era il direttore artistico.
Come prima esperienza è stata importantissima, forse non ero prontissimo in quel momento però va benissimo così, certe cose accadono quando meno te l’aspetti. Tutto è iniziato da lì, perché poi ho conosciuto Gianni Testa, il mio produttore, che mi ha preso sotto la sua ala. Sono già cinque anni che lavoriamo insieme.
Descrivimi la tua musica con tre aggettivi…
Sincera, poi ti direi un colore…un blu elettrico, e infine violenta, ma non inteso come aggressiva, ma nel senso che nella maggior parte dei casi arriva prepotente e diretta al punto senza troppi giri di parole.
Qual è il tuo sogno nel cassetto che vorresti si avverasse?
Partecipare al Festival di Sanremo, lo guardo fin da quando sono bambino. Un altro sogno è scrivere un brano per Mina e se devo proprio esagerare dico fare un concerto al Royal Albert Hall.
Articolo a cura di Simone Ferri