Nobraino “Animali da palcoscenico” il nuovo album ha un’anima indie rock molto energica e travolgente rappresenta un viaggio attraverso il tempo
Nobraino, band romagnola, torna sulla scena musicale con la sua essenza più pura, riabbracciando il processo creativo dei loro esordi. Il nuovo progetto rappresenta un viaggio attraverso il tempo e unisce il cantautorato italiano con il rock degli anni ’90 e 2000. Riescono ad esprimere pienamente l’istinto famelico tanto in studio quanto durante lo show. La loro missione è accendere un riflettore sui piccoli palchi che si stanno spegnendo e provare a farli riemergere.
Da dove viene il vostro nome d’arte “Nobraino”?
È nato in un periodo punk, dall’inglese “no brain”, senza cervello. Volevamo essere dei punkettari filo anglofoni ma mantenere anche la nostra italianità. Negli anni ’90 le prime 20 posizioni delle classifiche erano occupate da artisti stranieri, oggi invece il nostro paese domina. All’epoca di rock italiano se ne faceva veramente poco, per cui avevamo voglia di essere sia esterofili che non.
Il vostro gruppo da quante persone è composto?
È formato da un quartetto: un basso, una chitarra, una batteria e la voce. Nel corso degli anni abbiamo sempre cercato un quinto elemento, ossia un fiato; abbiamo avuto uno al flauto traverso, uno al sax, al trombone e alla tromba. Attualmente questa posizione è ricoperta da un cantante tastierista e chitarrista, che esordisce con noi in questo tour invernale. È una donna, che in un gruppo di soli uomini tende a migliorare lo spogliatoio e a renderlo più coeso.
La passione per la musica rock come nasce dentro di voi?
Risale agli anni ’90, al liceo io e il batterista eravamo al banco insieme e c’era questa voglia di formare una band. Questo desiderio era molto più forte rispetto al diventare musicisti e suonare.
Cosa contiene il vostro ultimo album “Animali da palcoscenico”?
È una raccolta di brani che sono venuti fuori negli ultimi anni, soprattutto in quelli di pausa. Abbiamo messo insieme un po’ di pezzi, anche arrangiati, che piacevano al pubblico. L’aspetto che li unisce è che sono brani scritti per il palco e non per noi, questo è l’involontario trait d’union. Dopo una tournée estiva abbiamo rispolverato il repertorio e ci siamo resi conto quali fossero le cose più piacevoli da portare durante un live, danno un certo ritmo alla serata. Sono funzionali per uno show perché hanno un’anima molto rock e li avevo già testati abbastanza dato che li avevo suonati sui palchi in questi ultimi anni. Hanno già superato la prova dello show, essendo appunto animali da palcoscenico.
Qual è il significato della copertina del disco?
È una visione che ha avuto l’illustratore quando gli abbiamo spiegato il titolo. Noi l’abbiamo approvata dopo qualche bozza a prova di matita. A me ha convinto molto perché mi ha trasferito l’idea di questa possessione che si ha durante i nostri concerti. Vivo quello stato di trans quando suono, subentra quel demone che ti possiede per quell’ora e mezza. Inizialmente era stato realizzato su uno sfondo bianco, in seguito abbiamo lavorato per farlo diventare un po’ più notturno.
Siete stati influenzati da qualche artista o band durante il vostro percorso?
È tutto un insieme di cose, i nostri riferimenti durante gli anni ’90, la nostra età sensibile, erano Freddie Mercury, Bono Vox, Frank Sinatra. I grandi showmen mi sono sempre piaciuti molto, i frontmen in genere sono particolarmente istrionici e mostrano un grande senso di generosità durante le esibizioni.
Una delle tracce più significative dell’album è Glenn Miller. Qual è l’idea che c’è dietro?
Avevo un concerto in omaggio di Paolo Conte e per questo progetto avevo scritto degli inediti. Era uscito un disco ed eravamo un duo, piano e voce. L’idea era di scrivere una storia di un musicista jazz e ho preso spunto da Glenn Miller. Il brano era già stato ultra-testato, era un pezzo che funzionava tanto perché lo avevo misurato bene, soprattutto quando spiegavo tutta la storia dietro, notavo un maggior engagement. È uno dei brani che gestisco meglio a livello vocale ed è diventato il pezzo centrale del disco.
Il videoclip del brano è molto particolare e solleva una questione importante, ovvero che piccoli club, sale, minifestival e contenitori non convenzionali di musica stanno smettendo progressivamente di fare concerti. Avete delle proposte per far riemergere questa scena underground?
È un domandone! Noi come gruppo abbiamo suonato spesso in questi piccoli posti, siamo molto legati a questa tematica. È un intervento che deve arrivare da più direzioni. Innanzitutto, servirebbero sicuramente degli incentivi a livello strutturale, come una defiscalizzazione sulle questioni riguardanti l’organizzazione di un live, sotto le 100 – 150 persone, in modo tale da facilitare di più questa pratica. Inoltre, i tasselli della SIAE dovrebbero essere annullati. L’iniziativa dovrebbe partire anche da alcuni artisti italiani molto conosciuti che, anziché perseverare nella pratica dello stare a casa e mantenere alto il loro valore di mercato, durante l’inverno potrebbero organizzare un tour in questi piccoli club.
Sarebbe un ritorno alle origini far tornare di moda questi eventi?
Diciamo che tutti iniziano così, ma tutti continuano così. Ognuno di noi è dipendente dall’emozione dell’esibizione.
Cosa si prova a suonare in questi piccoli posti? Che atmosfera di crea?
È una figata! È molto più gestibile rispetto ai grandi palchi in cui sei più dipendente dalla tua performance. In questi contesti il pubblico è molto più partecipe, più immerso nel live. C’è una fusione tra pubblico e artista, c’è una corresponsabilità nella buona riuscita del live. Noi siamo cresciuti con questo modus operandi e siamo molto legati a questa dimensione. Ci sono meno filtri e meno mediazioni. Ci sei tu, lo strumento e il pubblico a due metri. È come la differenza tra il correre con i Go-kart e la Formula 1.
C’è una frase dei Pinguini Tattici Nucleari che dice: “far stage diving è il modo più bello di volare”. Che ne pensi? Ti riconosci in questa visione di immersione?
A livello energetico è un’esperienza abbastanza sconvolgente perché c’è un trasferimento forte di energia che ti dà molta adrenalina. È un momento sempre molto spettacolare, credo che sia così valorizzato perché rappresenta molto bene il concerto come un rito collettivo. È un qualcosa di atavico vedere un uomo sorretto da altre persone che se lo passano come se fosse un idolo.
Che rapporto si è creato con la gente?
C’è molta coscienza e fidelizzazione. Si è formata quasi una tifoseria, perché loro sanno come noi agiamo. È una visione quasi eccessivamente romantica, c’è un pubblico di nicchia, anche se dal punto di vista del business musicale non è molto premiante.
Avete dei progetti in lavorazione per l’avvenire?
Adesso siamo portando in giro questo disco e poi gireremo anche nei club durante l’estate, ma non è ancora niente di certo. A me piacerebbe fare un altro disco già entro un anno, vorrei finire in sala prove il prima possibile.
il calendario:
29/03 – PERUGIA – URBAN CLUB
31/03 – CESENA – VIDIA
04/04 – MILANO – MAGAZZINI GENERALI
05/04 – TORINO – HIROSHIMA MON AMOUR
13/04 – VERONA – THE FACTORY
18/04 – ROMA – LARGO VENUE
19/04 – FIRENZE – VIPER THEATRE
20/04 – NONANTOLA (MO) – VOX CLUB
24/04 – BARI – DEMODE’ CLUB
30/04 – NAPOLI – DUEL CLUB
Articolo a cura di Simone Ferri