Il cantautore chamber pop Valerio Lysander ha presentato a Musica361 il suo nuovo singolo “Longer Days”, una canzone folk che parla della sensazione di essere bloccati e persi nonostante il passare del tempo, un brano scritto con una procedura molto particolare che ci insegna a non assecondare sempre e comunque la voglia di perfezionismo…
Ciao Valerio, il tuo stile è molto particolare, come definiresti il chamber pop ai lettori di Musica361?
Ciao! Il chamber pop è uno stile che combina la musica pop contemporanea con degli elementi di musica classica, che possono sentirsi, per esempio, nella strumentazione, negli arrangiamenti, nelle armonie. Spesso ci sono strumenti orchestrali come archi e strumenti a fiato e anche armonie vocali complesse. Mi piace molto combinare queste due anime. Ho da sempre avuto una passione per la musica pop e per il cantautorato, ma allo stesso tempo i miei studi di pianoforte mi hanno portato anche ad amare la musica classica, e mi piace molto unire questi due mondi nella mia musica.
Da poco è uscito Longer Days, vuoi parlarcene?
Longer Days è una canzone che ho scritto circa 3 anni fa, nel post-Covid fatto di zone rosse e arancioni. Ero da poco tornato in Italia dopo 8 anni a Londra, e mi trovavo in una nuova città (Milano), dove stavo cercando un nuovo equilibrio. Senza una rete sociale stabile e alla ricerca di un mio posto, mi ritrovavo bloccato negli stessi vecchi schemi di sempre, nonostante il cambio di città.
La canzone parla di questo e del fatto che molto spesso ci ritroviamo a guardare il negativo delle cose, lamentandoci del nostro stato ma incapaci di trovare una soluzione. Nel mio caso, non era pigrizia, ma una sensazione che mi faceva sentire che nonostante tutto quello che facevo, il mondo era comunque più complesso di quello che riuscivo a comprendere e mi sembrava molto difficile trovare un modo per muovermi serenamente.
Mi capita ogni tanto di cadere in questi loop, da cui riesco ad uscire anche grazia al lavoro che ho fatto e faccio continuamente su me stesso tramite il counseling, la psicoterapia e la mindfulness. Ma siamo tutti umani, imperfetti, ed è lecito cadere in questi schemi, senza colpevolizzarsi troppo.
La canzone nasce in una challenge di scrittura. In particolare è stata scritta in una sessione di 30 minuti durante una sfida di 7 giorni in cui hai scritto una canzone al giorno, un modo davvero singolare…
L’impatto che la pandemia ha avuto sulla musica dal vivo è stato immenso. Questo ha sicuramente influito sulla salute mentale di molti musicisti, abituati a uno stile di vita molto diverso. Dal canto mio, in quel periodo avevo trovato questa modalità per tenermi motivato. In particolare, questa canzone è stata appunto scritta in una sessione di 30 minuti durante una sfida di 7 giorni in cui mi ero proposto di scrivere una canzone al giorno. Era solo un esercizio di scrittura, ma alla fine sono rimasto molto contento del risultato e ho deciso di pubblicarla, seppur un po’ di tempo dopo!
Nasconde un concetto molto interessante, solitamente i limiti temporali sono un problema, tu invece hai detto: “Dover scrivere una canzone con un limite di tempo ha aiutato a liberarsi dal critico interiore e dal perfezionismo”…
Esattamente! Dovendo scrivere 7 canzoni in 7 giorni, spesso mi ritrovavo verso sera che ancora non avevo avuto tempo di scrivere la canzone del giorno.
Per questo mi rimanevano gli ultimi minuti della giornata per poter chiudere la canzone e questo mi ha spinto ad abbandonare il perfezionismo. Insieme a quello, lasciavo fuori dalla porta il mio critico interiore. Avendo un limite di tempo, non c’è spazio per poter ripensare mille volte su una frase o una parola, quindi si butta giù tutto quello che passa per la testa.
Questo permette di sciogliere le briglie e lasciare che la creatività lavori senza barriere. Poi c’è sempre tempo per poter correggere successivamente, ma l’importante spesso è iniziare e lasciarsi andare, che non è scontato quando chiediamo molto a noi stessi e esigiamo degli standard troppo alti.
La canzone è anche in qualche modo figlia del Covid, come ti ha segnato quel momento drammatico?
Ho vissuto l’inizio del Covid a Londra, e devo dire che per me è stato un momento di riflessione e crescita molto importante. Sicuramente ha comportato molte sfide, sia relazionali, che finanziarie e psicologiche in generale.
Ma per me in qualche modo è stata un’occasione per fare un punto della situazione, come uno spartiacque che ha creato un prima e un dopo. Infatti, dopo qualche mese dal lockdown ho deciso di tornare in Italia.
Era già da un po’ che volevo provare a cambiare, quindi mi sono trasferito a Milano, un po’ a occhi chiusi perché non conoscevo bene la città (io sono di Roma) e da lì la mia vita si è abbastanza rivoluzionata.
Sei riuscito a trovare un tuo equilibrio nella tua nuova città, Milano, una metropoli che dà tanto, ma che registra anche molti problemi?
Ho faticato molto all’inizio, anche perché mi sono trasferito in un momento in cui il Covid ancora si faceva sentire ed è stato difficile fare amicizie ed esplorare la città. Ormai sono più di 3 anni che sono qui, e come dicevo prima la mia vita è molto cambiata, anche grazie al fatto di essere qui.
Continuo a fare musica e a insegnare canto, ma allo stesso tempo ho intrapreso il cammino verso una nuova professione, seguendo un master di Counseling, che sto per portare a termine, e iscrivendomi all’università per studiare Psicologia. Questi percorsi mi hanno dato numerose opportunità per guardarmi dentro e crescere, trovando un po’ di più il mio posto nel mondo (e non parlo solo di un posto fisico).
Milano sicuramente non è perfetta, ma credo che in Italia sia comunque l’unica città in cui potrei vivere. Nonostante l’aria inquinata e il traffico, che di certo non sono ideali, comunque è una città che offre molto in termini di servizi, eventi, cultura e formazione, e questo per me è fondamentale. Mi mancano i parchi di Londra, ma mi accontento del parco Lambro ogni tanto!
Tra gli artisti che ti hanno influenzato ci sono Sufjan Stevens e Noah Cyrus, hai altri punti di riferimento?
Questa è sempre una domanda difficile! Sono convinto che tutta la musica che ascoltiamo ci influenzi in qualche modo. Tra le mie muse ispiratrici di sempre ci sono Regina Spektor, Alanis Morissette, Fiona Apple, L’Aura e Tori Amos. Chris Garneau mi ha anche molto influenzato in alcune parti della mia vocalità e della scrittura, ma appunto adoro Sufjan Stevens, che è una scoperta che ho fatto solo 5 o 6 anni fa. La lista di influenze sarebbe lunghissima, e comprenderebbe anche qualche compositore classico e la musica popolare italiana, ve la risparmio per ora!
Prima di lasciarci ci sveli i tuoi prossimi progetti?
Dopo questo singolo, ne ho altri pronti da sfornare. Mentre mi barcameno tra il raggiungimento del diploma di counseling e la laurea in psicologia, sto lavorando dietro le quinte per far uscire un nuovo album con canzoni in inglese e in italiano, che prevedo di pubblicare il prossimo anno, dopo aver fatto uscire qualche altro singolo.
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