Manupuma, nome d’arte di Emanuela Bosone, cantautrice e attrice teatrale torna con nuovo album “Cuore Leggero”, prodotto da Taketo Gohara
Nel suo percorso artistico, Manupuma si fa notare nell’edizione 2009 di Musicultura di Recanati quando, in coppia con Michele Ranauro, si aggiudica il premio per la migliore interpretazione con il progetto Manupuma and The Bulletz. Canta in jingle pubblicitari, collabora con Pacifico e apre i concerti di Joan As Police Woman.
Nel 2014 pubblica Manupuma, album d’esordio che esce per Universal, dove partecipano Roberto Dell’Era (Afterhours), Davide Rossi (Coldplay), Ferdinando Masi (Casino Royale e The Bluebeaters), Pierluigi Petris (Sorelle Marinetti), Michele Ranauro e Pacifico nel ruolo di co-autore del brano “Perdersi Perdersi”. L’album viene lanciato dai singoli “Charleston” e “Ladruncoli”, quest’ultima canzone viene usata da Moschino per il lancio della campagna mondiale della fragranza Pink Bouquet.
Durante il lockdown Manupuma, decide di utilizzare alcuni dei suoi brani inediti per progetti trasversali: canta “Nucleare” insieme a Arisa al fine di sostenere il progetto benefico della Fondazione Rava che prevede di devolvere gli introiti ai reparti maternità del Sacco e della Mangiagalli di Milano mentre “Foresta Verde” (2021) viene utilizzata come colonna sonora per una performance video tributo al femmineo.
A fine 2023 esce “Neve”, altro brano inedito che precede la pubblicazione del nuovo lavoro.
“Pioggia” (2024) fa da apripista a Cuore Leggero, il nuovo album di inediti di Manupuma che chiude il percorso iniziato nel 2019 con “Petra” e riunisce, in un unico progetto, brani pubblicati in questi ultimi anni oltre ad alcuni inediti.
Questo album ha una musicalità più ricercata, pezzi che richiedono un ascolto più attento mi danno l’impressione che tu abbia fatto delle colonne sonore. Come stai vivendo questo album?
Mi fa piacere quando dicono che le mie canzoni sembrano delle colonne sonore, perché quando scrivo sono molto visiva. Come hai notato, in questo nuovo album ci sono canzoni con giri melodici diversi, “Vorrei”, ad esempio, è molto diversa da “Polvere” dove io racconto delle storie come se fossero dei “Corti”.
Questo approccio alle canzoni nasce dalla mia esperienza con il teatro, dove ho iniziato a studiare e ho fatto parte, come attrice, di diverse compagnie. Ho lavorato molto sul fatto che un attore deve mettere in scena un personaggio, un’atmosfera o dei paesaggi.
Questo metodo mi è rimasto e l’ho utilizzo quando scrivo testi e musica. Agli inizi di carriera ho scritto diversi jingle per le pubblicità e questo richiedeva un metodo, scrivevo, infatti, immaginando delle scene. Uno dei miei sogni è fare musica per film.
Le canzoni del tuo precedente lavoro erano sicuramente più immediate, penso a “Charleston” o “Ladruncoli”, in questo nuovo lavoro, invece, i brani sembrano destinate a crescere nel tempo.
Il primo album che ho fatto con una major aveva un taglio pop, mentre questo secondo lavoro l’ho scritto in totale libertà e mi piacerebbe presentare con un live che mette insieme musica e teatro. Mi piacerebbe fare rivivere dal vivo questa cosa che hai sentito tu. Uno chiude gli occhi e si sente trasportato a Chinatown.
Nelle tue canzoni racconti il quartiere Chinatown di Milano, le atmosfere di Los Angeles e hai scritto anche una canzone “Il mio Zar”: questa tua dimensione internazionale da cosa nasce?
Io attingo molto anche dai tantissimi film che guardo. Nel testo del brano “Ladruncoli”, parlo di “culi in porcellana”, traendo ispirazione dal film “Il vizietto” del 1978. Gli immaginari mi trasmettono spunti. Non mancano anche situazioni della mia vita personale. Questo album non è immediato come ascolto, ma ho voluto fare un tetto sotto il quale mettere tante canzoni. Nel momento storico in cui viviamo, è importante tirare fuori un tuo messaggio che possa esprimere una cifra/dimensione.
In questo album c’è un’importante collaborazione con il produttore Taketo Gohara. Come è nata questa collaborazione? Come ha inciso nella produzione dell’album?
Anche lui è di Milano e ci conosciamo da quando siamo piccoli. Lui è cresciuto in questo studio, che si chiama “Le officine meccaniche”, dove collaborava con artisti come Ghali, Capossela e altri. Quando era il momento di lavorare sulla produzione dell’album sono andata da diverse persone. Quando Taketo ha sentito i miei provini è scoppiata una scintilla e mi ha detto “Dobbiamo sottolineare la diversità nei brani che deve diventare un valore”. Oltre a creare tappeti sonori meravigliosi è riuscito a tirare fuori da me qualcosa di veramente speciale, mi ha capita e mi ha aiutata prendendomi per mano: un lavoro quasi sartoriale! Lui è molto calmo ed è stato magico stare in studio. Quando registravamo gli archi sentivo la pelle d’oca. Ha creato un’oasi in una Milano, a volte, troppo veloce e schizofrenica.
Nelle tue canzoni non mancano i riferimenti a Milano, che tu racconti con parole romantiche. C’è anche una parte più critica e rischiosa. Questa parte più grigia come la vivi e un giorno la racconterai?
Io sono nata a Milano e vivo la città, sebbene abbia vissuto un po’ in giro. Nel mio immaginario l’ho voluta mettere nella parte romantica perché ci vivo. Ovviamente, scriverò anche della Milano più critica che mi sta entrando nella pelle. Comunque, in “Ladruncoli” ne parlavo e anche in “Charleston”, con una marcetta un po’ scanzonata, parlo di cocaina: parlo anche con ironia di una città che di notte è pericolosa.
È un aspetto che ho messo in forma velata, mai dichiarata. Nella mia scrittura racconto delle sensazioni senza prendere posizioni politiche.
In una precedente intervista ti sei definita “Monica Vitti” per l’ironia insita nelle tue canzoni. Cosa significa per te questo sentimento?
Nasce da come “io vivo” la vita. Anche nelle situazioni difficili della vita l’ironia mi ha salvato. Per giustificare delle situazioni o delle cose della vita, che ogni tanto è tragico comica, ho portato questo modo di essere nelle canzoni. “Vorrei” è un esempio chiaro di questa attitudine, parlo un po’ di gelosia di questo uomo di cui sono innamorata.
Quando ho un grosso dolore, e lo metto nelle canzoni, ho sempre timore che arrivi un messaggio pesante. Per questo spesso uso l’ironia anche per esprimere sentimenti più intimi. In Italia, la donna che scrive, spesso, viene considerata “pesante”: su questo aspetto siamo molto indietro. Per questo, quando scrivo, cerco di trasmettere quello che provo con un filtro.
Prima di scrivere musica, vivevi nel mondo del teatro che stai portando nelle canzoni. Raccontaci questo passaggio.
Sì, ho iniziato con il teatro. Frequentavo l’Accademia delle Belle Arti di Brera dove seguivo la scenografia e lavoravo a Milano con una compagnia teatrale che si chiamava “Anima nera”.
Successivamente, ho approfondito i miei studi con una la regista argentina “Naira Gonzalez” che mi ha seguito per un po’ di anni, che veniva dal teatro di Eugenio Barba. Lei mi ha dato un imprinting vocale “particolare”, mi faceva cantare diverse canzoni di popolazioni del mondo perché mentre cantano usano la maschera in modo diverso.
Quando sono andata a Musicultura ho portato questo modo di sperimentare, che è una caratteristica molto evidente nel secondo album, dove mi sento più me stessa.
Quando potremo vedere Manupuma in un live?
Mi sto preparando per presentare l’album che presenterò entro dicembre nelle città del nord e del centro Italia. C’è anche l’intenzione di creare un minitour per presentare l’album.
Recensione
Dalla città di Milano, irrompe sulla scena “Manupuma” che porta un sound condito di ironia, timbrica vocale travolgente e testi ricercati”. Ti fa ballare con un Charleston, e poi ti porta vicino alla stazione centrale con una marcia per farti conoscere la città, ma sa metterti in guardia. Dopo averla conosciuta, puoi sederti nel suo teatro e ascoltare con “Cuore Leggero” il suo nuovo album, dove scoprire i suoi mondi raccontati con sonorità dipinte come quadri nello spazio.
Spotify
https://open.spotify.com/artist/6cirgS09CzUh8uVSagnzBi?si=hdLeCmT3TRKuUmqoSnG5yg
Articolo a cura di Raffaele Specchia