Bandh: il gruppo che mette in musica la protesta civile e il dissenso costruttivo

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Foto: Ufficio Stampa

Interessanti fin dal nome che deriva dalle forme di protesta civile in India e Nepal, il gruppo Bandh ci ha parlato, attraverso il chitarrista Rocco Colicchio, del loro genere particolare che è un alchimia di più contaminazioni e del loro modo di fare musica impegnata. E alla domanda se c’è in Italia ancora terreno fertile per fare musica di protesta hanno risposto così…

 

Ciao Rocco, innanzitutto ti chiedo di introdurre il gruppo Bandh agli amici di Musica361…
Il gruppo nasce circa tre anni fa con l’intenzione di proporre musica propria: oltre al sottoscritto sono presenti Fefè Messina alla batteria, Antonio Clausi alla chitarra, Lauro Rossi al basso, Giuseppe Onorati alle tastiere, Alessandro Azzaretti alle percussioni e Katia Campolongo fonico. Ogni componente del gruppo arriva da realtà musicali diverse. Chi dal Rock, chi da un lungo periodo in orchestra, chi dal progressivo, ecc..

Avete scelto un nome molto impegnativo, infatti Bandh indica le forme di protesta civile in India e Nepal, come mai una scelta simile?
Abbiamo sempre avuto le idee chiare in merito ai 2 aspetti caratterizzanti del nome: ideologico ed estetico. Il primo si lega alla propensione dei nostri testi alla considerazione dei fatti di una società la cui crescita passa attraverso la protesta civile e il dissenso costruttivo. Il secondo si evidenzia nella lettura a 360 gradi del nostro logo, per una simbologia dei segni, nell’ottica della contemperazione comunicativa su più piani.

Quali sono i vostri cantanti o gruppi di riferimento e come definireste il vostro genere?
Il nostro genere è un’alchimia di varie contaminazioni, per lo più anacronistiche, riferite a gruppi anni ’70/’80, Pink Floyd, Dire Straits, cantautorato, Hard Rock in genere.

A proposito di generi musicali, oggi quello che va per la maggiore è la trap che però ha attirato anche tante critiche, cosa ne pensi?
Ma guarda, penso che ogni epoca ha le sue tendenze, le sue mode, poi con la tecnologia che ha messo a disposizione molti strumenti di produzione “chiunque” può cimentarsi nelle più svariate creatività. Penso che comunque bisogna avere un minimo di conoscenza “musicale” di quello che si fa, anche se si arriva da autodidatta. Lo studio dell’armonia ad esempio è molto affascinante e offre infinite possibilità di arrangiamento. C’è tanta musica da consumo usata come sottofondo alle nostre attività quotidiane, non sono tanto d’accordo nel realizzare a tutti costi qualcosa che debba seguire la moda del momento perché si rischia di cadere nell’ossessione del già “vecchio”, ma la “cultura” del nostro tempo e della nostra posizione geografica impone questo altrimenti, sei tagliato fuori, e ciò implica competizione e stress. L’ascoltatore è abituato ad apprezzare ciò che l’orecchio è abituato ad ascoltare, mi incuriosiscono quelle opere in cui l’orecchio ha bisogno di più ascolti per comprendere. Oggi è cambiato radicalmente il modo di ascoltare musica. C’è questo ritorno al vinile, ma la storia è circolare e in qualche modo tornano “vecchie” tendenze fatte passare per novità. C’è spazio per tutti, ma c’è spazio per pochi se si pensa all’arte come professione. E’ un discorso che andrebbe approfondito. La trap è un fenomeno come tanti che adesso ha la tendenza maggiore, ma se l’ascolti attentamente anche la trap ha contaminazioni, specialmente nel ritmo (ta tum ta tum) che ricorda molto i tamburi tribali dell’Africa, certo usati in modo ossessivo, insomma la trap è un copia incolla di loop a disposizione di tutti, poi ci canti sopra qualsiasi cosa.

Voi prestate molta attenzione ai testi, quali sono le vostre tematiche preferite?
Le nostre tematiche rispecchiano in generale la società che ci circonda, mi piace molto usare le metafore anche per questi testi di “protesta” perché la metafora, secondo me, può dare un senso diverso a ognuno, non solo quello che ha in testa l’autore. Poi succede che arrivano delle ispirazioni inaspettate, come è successo per un nostro nuovo brano; stavo chiedendo al chitarrista di inviarmi il riff che aveva proposto in sala prove che non ricordavo, lui mi risponde che non può perché sta montando una zanzariera, allora è arrivata la scintilla ed ho intitolato il brano “La zanzara”, ne è venuto un testo particolare che è piaciuto a tutti e presto lo inseriremo nel nuovo album.

Secondo te c’è oggi in Italia terreno fertile per le canzoni di protesta?
Altrochè! I nuovi autori specie chi fa Rap a loro modo inoltrano un “messaggio” preciso, anche se è facile cadere nel banale e nel retorico.
Personalmente faccio molta attenzione quando scrivo qualcosa per contestare un avvenimento che mi colpisce, ma non cerco di cambiare il mondo, cerco più che altro di creare una riflessione emotiva sull’argomento e magari, quando lo si ripropone dal vivo, creare una sorta di dialogo con lo spettatore.

Oggi imperversano i Talent, ti andrebbe di partecipare?
No, perché sono (e siamo) cresciuti in un altro contesto musicale, oggi gli autori o i coach che seguono i ragazzi (a parte qualche eccezione) cercano di creare quasi dei pupazzi da consumo, è vero che ci sono stati artisti che sono venuti fuori anche bene, però la musica non è competizione, almeno non dovrebbe esserlo.

Prima di lasciarci vuoi rivelarci i progetti futuri?
Stiamo lavorando in sala prove ad un nuovo progetto che dovrebbe vedere la luce il prossimo anno, abbiamo intenzione di registrare un album in studio quasi interamente dal vivo con pochissime sovraincisioni, cercando di mantenere un’anima che solo un live può dare.
Ti ringrazio molto per questa opportunità. Grazie a te Ruggero e a Musica361.
Bandh!

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Ruggero Biamonti
Ruggero Biamonti
Autore con esperienza decennale presso importanti realtà editoriali quali Rumors.it (partner di MSN), Vivere Milano, Fondazione Eni e Sole 24 Ore Cultura, si occupa di temi che spaziano dall'intrattenimento al lifestyle.
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