Nel dicembre del 1974 Lucio Battisti spiazzò pubblico e critica pubblicando il suo album più ambizioso e complesso, marcato da sonorità latine, in bilico tra word music e progressive rock. A più di quarant’anni uno dei suoi dischi probabilmente meno conosciuti rimane ancora (forse) il più interessante.
Lucio Battisti, fresco del successo de Il nostro caro angelo (1973), è oramai un affermato autore di riferimento per il cantautorato italiano da almeno un decennio. Il pubblico e la critica sanno cosa aspettarsi da lui e probabilmente questo ruolo a Lucio comincia a stare stretto rispetto alla sua voglia di sperimentare. Attento ascoltatore, sente il bisogno di una “innocente evasione”, intrigato da tempo dalle influenze musicali straniere, prime fra tutte quelle che vengono dalla Gran Bretagna, dall’America e anche dal Sud America, terra che visita e nella quale si trasferisce insieme a Mogol per qualche mese tra il 1973 e il 1974.
In quel periodo, immerso nel folklore delle musiche tradizionali di Argentina e Brasile, trova ispirazione per il suo disco più ambizioso e complesso: Anima latina. «Un’operazione culturale, quasi un esperimento» dichiarerà, un tentativo cioè di declinare in un’alchimia sonora elementi latini, cantautorato italiano e progressive rock. «La mia permanenza in Sudamerica mi ha fatto prendere coscienza di un’altra dimensione della musica […] come vita, come possibilità di stare insieme, di ballare insieme, di protestare insieme. La musica brasiliana […] non ha perso la sua funzione di consentire a chi è “in mezzo alla musica” di parteciparvi […] un grosso fatto sociale oltre che musicale» (Lucio Battisti, intervista Ciao 2001, 1 dicembre 1974).
Lucio parla di questa idea a Mogol e al ritorno in Italia, nella primavera del 1974, si mette al lavoro negli studi Fono – Roma Sound Recordings insieme ad uno schieramento di musicisti. Lavora duro tra prove, ripensamenti e versioni poco soddisfacenti poi completamente riarrangiate e nuovamente registrate. Incide e sovraincide frasi musicali in lunghi brani dall’orchestrazione estremamente composita e stratificata, fatta di cori, fiati, percussioni e sintetizzatori: ne ricava talmente tanto materiale che in principio pensa a un disco doppio, possibilità che poi viene scartata – ad oggi comunque rimangono ancora inedite alcune registrazioni di quelle sessioni.
A poco a poco prende forma il disco che per primo metterà in discussione la fama del solido cantautorato popolare di Mogol-Battisti. Finalmente pubblicato nel dicembre del 1974, quando i fan della prima ora posano la puntina sul disco rimangono disorientati: le parole del primo brano Abbracciala, abbracciali, abbracciati, che inizia sorniona tra rarefazioni elettroniche, sono volutamente quasi impercettibili per il basso mixaggio della voce allo stesso livello degli altri strumenti.
Il tutto secondo i piani di Lucio, come aveva preannunciato in un’intervista di Renato Marengo per Ciao 2001, per costringere l’ascoltatore a concentrarsi maggiormente sulle parole nella loro interazione musicale: «Quando uno parla in mezzo agli altri se la sua voce interessa a chi ascolta viene individuata in mezzo alle altre, magari con un po’ più di attenzione. Questo ho fatto con il mio LP: ho messo la mia voce in mezzo alla mia musica stimolando gli altri a capire le parole, ad afferrare il senso o la sola sonorità […] non perché questo sia piacevole, ma perché ascoltare significa qualcosa: e ascoltare con attenzione, magari rimettendo il disco daccapo perché non si è capito, facendo irritare chi non è riuscito ad individuare al primo ascolto una parola […] è il modo che ho scelto per comunicare con gli altri, per essere presente in mezzo agli altri».
E questa non è che la prima disorientante rivoluzione: man mano che si prosegue nell’ascolto ci si rende conto che tutti i brani (tranne Due Mondi) sono privi di ritornello, costruiti su lunghe sequenze musicali dominate da strumenti a corda, cori e sintetizzatori. Arrangiamenti stratificati, melodie complesse e poco immediate, ritmiche complicate in alcune sequenze da tempi dispari rappresentano la vera conquista di Battisti: allontanarsi dal suo stile formato-canzone aprendo la strada verso nuovi generi.
Lontano dalle consuete immagini di quotidianità di Mogol, a questa nuova musica si sposano liriche brevi, ermetiche e crepuscolari ma di grande carica evocativa. Sono testi che raccontano, nella maggior parte delle tracce, il rapporto di coppia dal punto di vista dell’io-poetico maschile, conferendo all’album una sorta di tematica da concept avente per oggetto il rapporto uomo-donna/separazione-unione o più semplicemente il percorso umano e sentimentale di un bambino e una bambina in un mondo periferico, con evidente riferimento alle favelas brasiliane.
Si passa così dal tripudio dei sensi di Abbracciala abbracciali abbracciati a liriche amorose più innocenti che riguardano la scoperta del sesso come Il salame o la jam pastorale Anonimo, che si conclude con una citazione bandistica velocizzata de I giardini di marzo. Il rapporto di coppia oscilla tra critici allontanamenti e legami erotici, passando per Macchina del tempo, il brano musicalmente più complesso dell’album, incentrato sulle estreme conseguenze dell’alienazione amorosa fino ai quattro versi di Separazione naturale, il testo più breve scritto da Mogol, il malinconico allontanamento finale.
Tra le pieghe delle tematiche amorose paesaggi urbani di musica e miseria, progresso e natura contaminata tipici della vitalità sudamericana: emblematica su tutte la title track, Anima latina, con una folkloristica introduzione strumentale d’accompagnamento al quadretto di Mogol, che all’epoca ritenne essere il più bello da lui mai scritto, fino alla sfrenata danza carioca del finale.
Merita menzione anche Gli uomini celesti, samba avvolta nelle atmosfere oniriche del sintetizzatore e squarciata da un breve intermezzo percussivo, nella quale si condanna la facilità di molte illusioni dell’epoca, prendendo le distanze da un certo conformismo modaiolo.
Un album certamente inconsueto che all’epoca spiazzò molti fedeli ascoltatori di vecchia data ai quali Battisti non regalò neppure un singolo degno di altri brani del suo migliore repertorio ma che poi, nonostante tutto, rimase per tredici settimane l’album più venduto in Italia raggiungendo il primo posto.
La critica si divise tra chi lo stroncò in pieno e chi provò timidamente a difenderlo («Battisti fa un tentativo per uscire da una certa strada: in questo senso il disco è positivo», Andrea Lo Vecchio) mentre oggi molti ascoltatori contemporanei, non necessariamente fan, a riprova del suo autentico valore, hanno notevolmente rivalutato l’album tra i migliori mai scritti dal cantautore, per alcuni addirittura il suo capolavoro degli anni Settanta, nonché precursore dell’era Battisti-Panella.
Che vogliate apprezzarlo come concept album di progressive rock mediterraneo capace di miscelare tradizioni musicali diverse e inusuali trovate ritmiche o come curioso esperimento, rimane indubbio che si tratti di un’opera unica e ineguagliabile che ha segnato non solo il percorso musicale di Battisti ma di molti altri artisti da allora fino ai contemporanei Verdena e Dente.
Un disco che ancora oggi merita un ascolto e comunque rappresenta un’altra occasione per riconfermare, se ancora fosse necessario, che Battisti è stato uno dei pochi veri cantautori italiani a “fare musica” senza nulla o poco invidiare ai colleghi stranieri.
- Abbracciala abbracciali abbracciati
- Due mondi (con Mara Cubeddu)
- Anonimo
- Gli uomini celesti
- Gli uomini celesti (ripresa)
- Due mondi (ripresa)
- Anima latina
- Il salame
- La nuova America
- Macchina del tempo
- Separazione naturale
ANIMA LATINA (1974)