40 anni fa, all’apice del successo in Italia, Battisti decise di lanciare sul mercato anglofono i suoi successi tradotti nell’album “Images” (1977). Un curioso capitolo quasi dimenticato della carriera del celebre cantautore di Poggio Bustone raccontata da Musica361.
Il 1977 è un anno segnato, nella storia della musica leggera, dalla consacrazione di diverse tendenze dall’estero: nel panorama discografico da un lato guadagnava sempre più consensi quella musica ritmata da sintetizzatori chiamata disco music, dall’altro andavano affermandosi le sonorità più nichiliste e distruttive del punk.
In quel periodo Lucio Battisti è al lavoro sul suo nuovo album, Io tu noi tutti, che sta registrando a Hollywood. Come sempre da attento osservatore, anzi ascoltatore delle nuove tendenze in circolazione e fedele a quella voglia di superare formule già collaudate e prevedibili, cerca di assimilare con buon gusto i nuovi stimoli nordamericani partorendo un album dal sound fresco e innovativo, caratterizzato da influenze rhythm n’ blues, disco, funk e southern rock insieme a sfumature synth-pop, declinate con un occhio al folk italiano: pubblicato nel marzo 1977, Io tu noi tutti diventerà immediatamente un moderno riferimento per il pop tricolore, oltreché il secondo album più venduto in Italia in quell’anno.
Proprio durante le registrazioni a Hollywood, già pregustando il nuovo successo, la RCA, soddisfatta delle doti di uno dei migliori elementi della sua scuderia e in cerca di visibilità in terra anglofona, decide di tentare il colpaccio: lanciare sul mercato americano un disco di Lucio Battisti cantato in inglese. D’altra parte Battisti aveva ormai alle spalle più di una decina di album, era affermato da anni e apprezzatissimo da critica e pubblico in Italia: a questo punto la prossima tappa doveva essere il mercato statunitense. O per lo meno questo era il piano dell’etichetta.
Un piano che Lucio lì per lì considerò rischioso credendo di fare, come si dice, il passo più lungo della gamba, dato che veramente pochi altri musicisti italiani negli ultimi anni avevano riscontrato risultati significativi esportando il proprio stile e le proprie canzoni all’estero. Dopo alcune esitazioni iniziali però Battisti si lascia comunque convincere, probabilmente assuefatto dal mood americano, così come era in qualche modo accaduto per Anima latina (1974) qualche anno prima: confidando nel supporto della RCA, che non baderà a spese per agevolare uno dei suoi artisti di punta, finanziando generosamente la trasferta, il cantautore decide di mettersi in gioco.
Il progetto dell’album non prevedeva brani inediti ma doveva essere una sorta di “best of” di Battisti, un biglietto da visita per il mercato internazionale: si scelse dunque di inserire, insieme alle canzoni più belle di Io tu noi tutti (Amarsi un po’, Sì viaggiare, Soli, Ho un anno di più e Neanche un minuto di “non amore”) anche i due successi La canzone del sole e Il mio canto libero, che poi avrebbero dovuto essere tradotte. La traduzione dei brani di Mogol fu in principio affidata alla cantautrice Marva Jan Marrow ma la sua interpretazione troppo libera rispetto al testo originale non soddisfò il paroliere che si rivolse allora a Peter Powell, raccomandando una versione più letterale e fedele.
Una volta definito il progetto, tra ottobre 1976 e marzo 1977, Lucio Battisti, Bones Howe e Joe Reisman si misero a produrre negli studi della RCA di Hollywood – supportati dai migliori musicisti locali a disposizione tra cui Ray Parker Jr., Danny Ferguson, Mike Melvoin, allo scopo di ottenere un convincente sound d’oltreoceano – quello che passò alla storia come il famigerato “album in inglese”: Images.
Quando finalmente fu pubblicato in America nell’agosto del 1977 l’aspettativa era alta ma l’accoglienza di critica e pubblico fu fredda : quelle canzoni tradotte in un inglese grammaticalmente troppo simile all’italiano e l’accento un po’ maccheronico del canto di Battisti non convinsero gli ascoltatori statunitensi. In Italia verrà distribuito a settembre ma la sorte sarà identica, tanto da essere ritirato dal mercato dopo poche settimane: da quel momento diventerà una vera rarità per collezionisti fino alla ristampa su CD nel 1998.
Secondo i critici del tempo si trattava di un lavoro troppo “all’italiana” che non avrebbe potuto essere apprezzato dai gusti americani, cosa che constatò anche Battisti. Nel 1979, poco prima del suo silenzio stampa che durerà fino alla morte (“Non parlerò mai più perché un artista deve comunicare col suo pubblico solo per mezzo del suo lavoro”), nella sua ultima intervista per la Radio Svizzera, dichiarerà: «Images è un album che mostra i limiti di una cosa che doveva essere fatta già molto tempo prima […]. Dopo aver raggiunto certi risultati in italiano era un po’ ridicolo da parte mia aspettarmi di avere immediatamente gli stessi risultati in una lingua per me quasi sconosciuta […] ma ne è valsa la pena: ha aggiustato il mio tiro per la produzione italiana e mi ha dato materiale nuovo e nuova linfa».
Dopo Images in effetti Battisti sembrò riprendere il filo interrotto pubblicando Una donna per amico (1978), anche se probabilmente, lì per lì, non accettò subito il fallimento dell’album in inglese: pare, infatti, che avesse lavorato anche ad un seguito di Images dal titolo Friends, che avrebbe dovuto contenere la versione inglese dei brani di punta de Una donna per amico (Perché no, Nessun dolore, Donna selvaggia donna, Al cinema, Prendila così, Aver paura di innamorarsi troppo, Una donna per amico) più due classici, I think of you (E penso a te) e Baby it’s you (Ancora tu) e le cui traduzioni questa volta sarebbero state molto più curate nell’adattamento di Frank Musker.
L’ideale rivincita però non vide mai la luce: quando uscì il singolo Baby it’s you in Gran Bretagna il 28 febbraio 1979 passò quasi inosservato, per cui, constatata ancora la scarsa attenzione, la pubblicazione di Friends, regolarmente prevista per quell’anno, fu annullata probabilmente su consiglio dei discografici. Ad oggi, nonostante sia reperibile sul web qualche brano, quelle registrazioni restano ancora inedite.
E così insieme a Friends tramontò anche, incompiutamente, l’ultimo tentativo della RCA e di Battisti di conquistare il mercato americano con le sue hit tradotte in inglese. L’ultimo tentativo poco prima di interrompere il sodalizio artistico con Mogol e dare inizio all’ultima stagione sperimentale con gli album composti dai testi ermetici di Pasquale Panella. Quegli album che comunque, pur sicuramente più ricordati di Images, secondo alcuni affezionati fan del primo Battisti meriterebbero ancora oggi, per essere apprezzati, più di armoniose traduzioni in inglese, una traduzione in italiano.
Images (1977)
- To Feel in Love (Amarsi un po’)
- A Song to Feel Alive (Il mio canto libero)
- The Only Thing I’ve Lost (Ho un anno di più)
- Keep on Cruising (Sì, viaggiare)
- The Sun Song (La canzone del sole)
- There’s Never Been a Moment (Neanche un minuto di “non amore”)
- Only (Soli)