Uno degli autori italiani odierni più importanti, che ha firmato alcune tra le canzoni in vetta alle classifiche, diventa cantautore con il suo nuovo album.
Giuseppe Anastasi non ha bisogno di presentazioni, le canzoni che ha scritto parlano da sole: “Sincerità”, “La notte”, “Malamorenò”, “Meraviglioso amore mio”, “Controvento”, “Guardando il cielo” per Arisa e la recente “Il diario degli errori”, cantata da Michele Bravi, scritta insieme a Cheope e Federica Abbate. Nonostante questo, un autore così talentuoso ha deciso di non fermarsi alla routine, ma di intraprendere nuovi stimoli paralleli, quelli del cantautorato, incisi in un album che uscirà a gennaio.
Il primo singolo estratto si chiama “2089” e racconta il futuro sterile che Anastasi sembra intravedere nelle nuove generazioni, quelle legate al mondo digitale.
Da cosa nasce l’idea di fare un pezzo che parla del futuro?
È partito tutto da un sogno che avevo fatto dove pensavo al futuro, inoltre, facendo l’insegnante, stando tanto con i ragazzi, mi sono reso conto che c’è una generazione (quella digitale) un po’ più triste del solito, con più problemi. Nei miei 40 anni ho vissuto due generazioni, quella prima e dopo internet, quindi posso fare un minimo di raffronto tra le due, i ragazzi di oggi, non avendo vissuto la prima era, si trovano catapultati in questa, che ha dei pro e tantissimi contro.
Il tuo singolo è uscito a ridosso delle selezioni per il Festival di Sanremo. Parteciperai quest’anno? Se si, come cantante o come autore?
Non dico niente per scaramanzia, si vedrà in seguito. È uscito tutto a novembre perché il mio numero fortunato è il nove (gioco di parole con il mese, nda). Comunque la scelta starà a Baglioni.
Come è stato portare al pubblico una tua canzone da cantautore, dopo anni di successi da autore, quindi dietro le quinte?
È stata una sensazione strana, inedita, nel senso che, quando mi è arrivato il video, la prima volta in cui l’ho visto ero discretamente imbarazzato di me stesso, non ero abituato a vedere la mia immagine che cantasse. Dopo la quarta volta mi sono accorto che fossi credibile, adesso mi riconosco quando mi rivedo, riconosco Giuseppe quindi spero che alla gente arrivi questa parte credibile.
Il tuo album avrà sonorità coerenti a quelle del tuo singolo “2089”?
L’album è molto simile al singolo, è il live che faccio da un po’ di tempo, con qualche sonorità più moderna, ma con una maggioranza acustica. Il disco uscirà a gennaio e con esso tutte le date che potrete trovare sui social.
Che cosa ascolti quotidianamente?
Per ora l’ultimo ascolto, che è un ascolto studio, perché tendo ad analizzare i testi, l’armonia e la melodia, è stato il disco di Caparezza “Prisoner 709”, un album che mi ha colpito moltissimo, Michele (in arte Caparezza, nda) scrive veramente bene. Il prossimo, perché non ho ancora avuto il tempo, è quello di Cremonini, del quale ho ascoltato solo “Poetica”, e sono molto curioso di sentire il disco, perché lui è una persona che stimo molto. Praticamente tutto quello che esce lo ascolto, non puoi scrivere se non leggi o non ascolti. Poi, facendo l’insegnante, devo restare sempre aggiornato.
Che importanza ha la figura dell’autore oggi in Italia?
La figura dell’autore è sempre stata di un’importanza fondamentale in Italia, mentre nei paesi anglofoni il testo fa da contorno alla melodia, alla musica o all’arrangiamento, in Italia non puoi prescindere dal testo. Le canzoni che passano alla storia sono quelle che dicono qualcosa: non solo te la fanno ascoltare, ma te la fanno vivere.
A tuo parere gli autori hanno la visibilità che meritano?
L’autore non cerca la visibilità, se la vuole inizia a fare il cantautore. Adesso anche i talent stanno dando più importanza agli autori, ma nell’immaginario collettivo la canzone è di chi la canta, non di chi la scrive. È giusto anche così, non sarebbe giusto dire: “La notte di Giuseppe Anastasi” o “Il diario degli errori di Giuseppe Anastasi e Federica Abbate”, è giusto dire che siano di Arisa e di Michele Bravi. Le canzoni sono di tutti, di chi le scrive e di chi ci mette la faccia.
A un/una ragazzo/a che volesse fare l’autore, cosa consiglieresti?
Anche se può sembrare banale, la prima cosa che posso dire è di studiare, possibilmente saper suonare uno strumento e cantare. Si può insegnare la tecnica, ma non l’ispirazione, perché ognuno ha un’idea personale sulla vita che vive. Nell’ultimo album di Caparezza c’è una tecnica di scrittura a livello metrico, a livello di rime, che chi vuole scrivere è giusto che conosca. Se qualcuno vuole scrivere in rima che studi De André o Mogol, in Italia fortunatamente possiamo imparare da tanti.
Cosa ne pensi dell’esplosione che ha avuto nell’ultimo anno e mezzo la musica italiana attraverso le etichette indipendenti?
È un’esplosione giusta, è un modo diverso di dire le cose, è un’alternativa in più. Un tempo sembrava esserci solo il talent, adesso, grazie alla rete e a tutti questi indipendenti che stanno lavorando bene, c’è un ventaglio molto più ampio.