Musica361 ha intervistato Mauro Marino, storico conduttore radiofonico oggi ai microfoni di Radio Italia ma anche personaggio televisivo e direttore artistico di Casa Sanremo. Le riflessioni di un professionista di settore sulla musica italiana all’alba del 2018 ma soprattutto a un mese dall’inizio del festival di Baglioni
Mauro Marino vanta un curriculum di tutto rispetto tra radio, tv e teatro ma l’etichetta di conduttore radiofonico è sicuramente quella più calzante: «Il mio primo annuncio in una radio nazionale fu per l’edizione notturna di RTL a fine anni ’80. Negli anni ho cambiato diverse emittenti ma gli ascoltatori mi hanno sempre riconosciuto: a RDS ero “Marino il bagnino”, a Radio101 ho lanciato il tormentone “Mavavà!” e sono stato tra i primi a usare gli sms in diretta a Radio Kiss Kiss. Qui a Radio Italia invece ogni venerdì regalo come premio del mio indovinello “l’emerito ciufolo”. Ascolto tante radio, anche straniere per cercare sempre nuovi stimoli, sempre consapevole però che, se imiti qualcuno, o riesci a superarlo o sei finito: sempre meglio essere se stessi».
Un concetto fondamentale, dato che le regole per fare buona radio non sono cambiate: «Prima c’era più autonomia nelle scelte, oggi la programmazione è in mano ad un editore per contrastare i marchettari. Bisogna comunque conoscere bene la musica per lanciare le canzoni a tempo, imparare dall’esperienza dei colleghi, essere informati non solo dal web e soprattutto ricordarsi che chi ti segue sui social non è detto che ti segua anche in radio: non si fa radio per diventare famosi». Oggi gli editori prediligono la coppia radiofonica e anche a Radio Italia il pomeriggio Marino fa coppia con l’affiatata Manola Moslehi pur precisando che «può andar bene come programma ma non come conduzione classica perché si rischia di andare lunghi con i tempi o di escludere il pubblico. Ci vuole feeling quando si è in onda e soprattutto deve sempre essere uno a guidare e l’altro a fare da spalla, altrimenti non funziona».
Oltre alla fama radiofonica Marino è ideatore e direttore artistico di Casa Sanremo, evento collaterale al festival della canzone italiana: «Se una volta non ci si poteva accreditare in sala stampa si era costretti a seguire il festival da un televisore in un ristorante o in una camera d’albergo: ho pensato all’utilità di un luogo di ritrovo per gli addetti ai lavori e nel quale ogni artista avesse potuto far conoscere il proprio progetto discografico e non solo le canzoni del festival. Proposi a Pepi Morgia, allora direttore artistico del Comune di Sanremo, qualcosa di simile a “La cantina di Miss Italia” e così nacque nel 2007 Casa Sanremo: occupavamo solo un piano del Palafiori poi negli anni la casa si è ingrandita a tutto l’edificio. Un anno abbiamo realizzato anche una mostra del festival con cimeli e reperti delle passate edizioni: meriterebbe di essere permanente».
A proposito del festival immancabile un parere sulla direzione artistica dell’edizione di Baglioni: «È un grande artista e sicuramente competente, però sono dell’idea che il conduttore dovrebbe fare il conduttore, come il cantante il cantante. Per un semplice motivo: la conduzione del festival deve avere un certo ritmo. Le edizioni di Carlo Conti hanno funzionato perfettamente perché erano più radiofoniche spero sia così anche quest’anno grazie all’aiuto dei co-conduttori». Sulle proposte in gara invece non condivide la scelta dei Pooh divisi «perché così sottraggono spazi ad altri artisti che avrebbero potuto partecipare. Sono invece molto contento del ritorno de Le Vibrazioni che hanno fatto la loro reunion col concerto di Radio Italia Live lo scorso giugno. E poi Elio e le Storie Tese che come sempre promettono sorprese, sono vulcanici».
Sanremo diventa poi un ottimo spunto per domandarsi, all’alba del 2018, cosa ci si debba aspettare dal panorama musicale italiano: «In Italia molte radio che fino a qualche anno fa suonavano l’80% di musica straniera si stanno avvicinando alla musica italiana, programmandone anche il 60 %. Molti ascoltatori sono legati alla familiarità della nostra lingua rispetto a quella inglese, anche se ovviamente vende di più perché ha un mercato mondiale. Per questo ultimamente molti artisti italiani vanno a Londra o in America per dare alle loro produzioni un sound internazionale».
Chiediamo a Marino allora perché ancora oggi, sebbene tutti riconoscano la grandezza della nostra tradizione cantautorale, sembra non ci siano più eredi: «I cantautori, fondamentalmente cantastorie, non possono avere visibilità se un certo modo di raccontare non interessa più: oggi è più difficile sentir cantare storie come Bocca di rosa perché la vita è diversa e diversamente viene raccontata. In questo senso potrebbero essere considerati nuovi cantautori i rapper, con le dovute sproporzioni rispetto alle origini afroamericane del genere». Cambiano i tempi e gli artisti ma è certo che «è ancora attraverso il lavoro di un produttore che gli artisti funzionano: Michele Torpedine ha messo insieme tre emeriti sconosciuti, che sarebbero probabilmente rimasti tali separatamente, e ha creato Il volo così come Tiziano Ferro o Jovanotti non sono nati da un talent ma dalle buone orecchie dei discografici. I talent sono semplicemente programmi televisivi: la gente fa vincere un artista, se però la stessa gente che lo ha votato non compra i dischi non serve a nessuno. E non bastano le visualizzazioni, la musica si deve comprare altrimenti muore perché i produttori discografici non hanno entrate sufficienti a produrre altra musica. Non lamentiamoci se ancora oggi i nomi più venduti in classifica sono i Beatles o Lucio Battisti».