Andrea Parodi: Zabala, non solo un disco ma anche il completamento del proprio nome
Centrali i temi del viaggio e della Frontiera (sia geografica che ideale)
“Sono sempre stato dell’avviso che un buon cantautore debba prima di tutto essere un buon ascoltatore” parole di Andrea Parodi che in effetti di musica ne ha ascoltata molta sin da bambino.
Crescendo con i suoi idoli, De Andrè, Beatles, Rolling Stones e Bob Dylan ha trovato la propria strada, sebbene la vera scintilla sia scattata a 18 anni quando stimolato dall’atmosfera dei falò di montagna cui partecipava con i suoi amici, iniziò a cantare e suonare.
Un giorno d’estate decise, infatti, di partire alla ricerca di una chitarra (essendo Ferragosto i negozi erano quasi tutti chiusi) viaggiando fino a Lecco.
Inizia così la storia di un cantautore che ama viaggiare e che trasferisce ogni città che ha avuto modo di scoprire nella sua musica, un’artista che ha imparato da autodidatta a suonare la chitarra, semplicemente osservando e ascoltando chi già lo faceva prima di lui e che da Cantù è riuscito ad arrivare in America e salire per ben due volte su un palcoscenico al fianco di Bruce Springsteen.
Quando è successo?
Mi trovavo oltreoceano e per due anni consecutivi sono stato invitato a partecipare ad un Festival di cui The Boss era uno dei fondatori, dedicato alla lotta al Parkinson, è stata una grandissima emozione.
Come sei arrivato in America?
Mi sono innamorato del cantautorato americano con le sue sfumature rock, country, folk, ascoltando Steave Earle e John Prine poi incontrai Bocephus King con il quale ho registrato il mio primo disco autoprodotto “Le piscine di Fecchio” seguendolo fino a Vancouver.
Sono tornato in Canada qualche anno dopo con maggior consapevolezza e insieme a eccellenti musicisti ho inciso “Soldati”. Due anni più tardi fui chiamato a Santa Fè per partecipare alla realizzazione di “Chupadero” un progetto discografico della “Barnetti Bros Band”, eletto disco dell’anno dalla rivista “Buscadero”.
È vero che oltre a suonare organizzi eventi?
Si, lo faccio ormai da molto tempo. Sono il direttore artistico del Festival “Storie di Cortile” al quale partecipano importanti nomi del cantautorato sia italiano che americano e da due anni mi occupo anche della direzione artistica di una parte della kermesse “Piombino 20 Eventi” che si svolge direttamente sul mare, nell’affascinante cornice dello storico Porticciolo di Marina.
Recentemente è uscito il tuo nuovo lavoro, perché il titolo “Zabala”?
In realtà Zabala sono io. Si tratta di un tentativo di darmi uno pseudonimo. Il nome non è totalmente di fantasia in quanto appartenuto ad un giocatore di calcio paraguaiano vissuto negli anni ’80 che mi ha ispirato in quanto il disco è ambientato sul confine tra Stati Uniti e Messico.
C’è un leitmotiv in Andrea Parodi Zabala?
Si, il viaggio perché ogni città che ho incontrato lungo la mia strada è diventata per me una forte fonte di ispirazione, ben rintracciabile nelle mie canzoni; e il concetto di frontiera intesa sia in senso geografico che metaforico. Frontiera è anche quella tra passato e presente.
Quanto tempo hai impiegato a realizzare il disco?
Molto, l’ho iniziato ben otto anni fa, ad un certo punto ho pensato che non l’avrei mai finito. Sono cambiate molte cose da quando ho concepito il progetto, prima tra tutte essere diventato padre, ho assegnato un ruolo centrale alla famiglia e l’idea di trovarmi sempre in viaggio per promuoverlo un po’ mi spaventava. Credo che inconsciamente una parte di me avesse paura di terminarlo.
Ma alla fine poi ci sei riuscito…
Si, complice il lock down. Ho pensato che in un momento in cui molto ci è stato tolto e in cui non era possibile spostarsi dovevo approfittare per fare quelle che altrimenti non avrei avuto il tempo e l’occasione di realizzare.
Così ho contattato amici sparsi nelle varie città (New York, Austin, Chicago) ed abbiamo iniziato a registrare i pezzi e buttare giù progetti per il futuro.
Il disco è stato anticipato da un singolo?
Si, a inizio anno quando c’è stato un tentativo di far tornare i ragazzi in presenza a scuola ho fatto uscire il pezzo “Maya dei girasoli” dedicata proprio ai ragazzi.
È un invito a non smettere mai di sognare e sperare. Di questo pezzo abbiamo anche realizzato in video con le illustrazioni di Bettina Ferrari e le immagini dei miei figli Woody e Geordie.