Angelo Bonanni: vincitore di tre David di Donatello e amante del suono in tutte le sue forme.
Il suono, ancor prima di diventare musica, può riecheggiare alle nostre orecchie regalandoci emozioni svariate. Le onde, la pioggia, la neve non sono musica bensì suoni, molto piacevoli. I suoni sono straordinari ed è ancor più meraviglioso il fatto che per sua natura fisica, si espanda fino ad un certo punto fino a cedere tutta la sua energia e terminare. In questo modo possiamo ascoltare la presenza di più suoni contemporaneamente senza che si confondano e si sovrappongano tra di loro.
Questo tema l’ho approfondito con un tecnico del suono professionista, Angelo Bonanni. Vincitore di tre David di Donatello e amante della musica in tutte le sue forme.
Come nasce la professione da tecnico del suono?
Ho sempre amato la musica, infatti nasco come musicista. Suono la chitarra, poi negli anni è nato anche il grande amore per la musica elettronica. Non a caso mi sono laureato come ingegnere del suono. Poi alla fine degli anni ‘90 fino ai primi anni 2000 ho aperto una piccola casa discografica, con la quale ho iniziato a produrre e registrare tracce di varie band. Quella che è arrivata più lontana è quella degli Ex-Otago.
In contemporanea svolgevo anche piccoli lavori radiofonici con registrazioni di vocali pubblicitari e piccoli jingle. Il mio primo contatto con il cinema è stato con un fonico, il quale mi ha portato con sé sul set di un film. Da qui ho iniziato a lavorare come microfonista. Mantenendo sempre la passione sia per la musica che per l’ingegneria del suono.
Un passaggio naturale …
Sono sempre stato un amante del cinema, ma non avrei mai pensato all’ipotesi di intraprendere la carriera di fonico di presa diretta. Ovviamente conoscevo la figura, però mi interessava più il contesto musicale. Poi questa piccola opportunità di andare sui set mi ha fatto scoprire che invece quel mondo mi affascinava molto, soprattutto perché sono riuscito a coniugarlo con la mia passione dell’informatica e delle nuove tecnologie. In quegli anni la registrazione sonora cominciava a diventare digitale e questo ha facilitato il mio ingresso nel mondo del lavoro. Trovavo molto naturale il modo di adoperare le nuove tecnologie che stavano nascendo, non ho mai avuto grandi difficoltà.
Ti saresti mai aspettato di vincere non un David di Donatello ma bensì tre?
No, non me lo sarei mai aspettato. Ogni David ha una sua storia. La prima cosa da dire è che il premio è cambiato negli anni.
Il primo è stato nel 2015 con “Non essere cattivo” di Claudio Caligari. Quell’anno la giuria giudicava ancora la miglior presa diretta. Un film molto particolare, con un regista importante che mi ha regalato grandi insegnamenti e una persona significativa nella mia vita. Ma soprattutto è stato un film dove gli attori hanno sfoggiato grandi performance. Da questo punto di vista la presa diretta è stata fondamentale proprio per far sì che l’interpretazione arrivasse allo spettatore in modo intatto. L’approccio è stato quello di lasciare gli attori il più liberi possibile.
L’anno successivo, nel 2016, il premio si è trasformato in miglior suono. Ero in concorso con il film “Veloce come il vento” di Matteo Rovere. Dove oltre ad esserci una fantastica interpretazione di Stefano Accorsi, c’è stato un lavoro dei suoni non indifferente, perché tratta di una storia di corse d’auto. Un film che si è prestato molto bene a questo nuova categoria di premio, dove veniva giudicato il suono nel suo complesso. Grazie anche all’ottimo lavoro di Mirko Perri sound design, abbiamo tirato fuori un film che suonava benissimo.
Nonostante il grande affetto per il primo David, dal secondo in poi mi si sono aperti nuovi scenari. Appassionandomi cosi a film più strutturati dove la complessità del suono era maggiore a differenza dei classici film d’autore improntati molto sulla recitazione degli attori. Da qui mi sono ritrovato in un circuito di registi con in mente un sound design ben specifico, come Sidney Sibilla, Cupellini e Mainetti. Arrivando al terzo David con “Il primo Re” sempre di Matteo Rovere. Anche questa è stata un’esperienza molto interessante e sperimentale che mi ha dato grandi soddisfazioni.
Quale connessione ci sta tra la musica e il tuo lavoro?
Il mondo del tecnico si sposa con musica in modo un po’ trasversale. All’inizio non immaginavo che queste due arti potessero essere cosi affini. Perché il lavoro della presa diretta è cercare di prendere tutti i suoni nella maniera più pulita possibile però per saperlo fare devi conoscere e riconosce molto bene i rumori.
È corretto secondo te usare il termine rumori?
Secondo me no! La definizione fisica del rumore significa un suono che non si ripete nel tempo. Io ho sempre preferito chiamarli suono qualunque essi siano. Mi capita di ascoltare delle cose completamente informi dal punto di vista fisico però traendone incredibilmente piacere come se fosse della musica sinfonica.
Articolo a cura di Melissa Brucculeri