Anoraa, tra smarrimento e confusione nasce “Caduti dal cielo”, un viaggio interiore lungo, tortuoso e affascinante
“Caduti dal cielo”, l’ultimo EP della giovane cantautrice ligure Anoraa. In questo album, tra alti e bassi, tra gioie e dolori, ci si confronta con le proprie fragilità, con i propri limiti e con le proprie ambizioni e aspirazioni. Un turbinio di emozioni è quello che troviamo in questo album e soprattutto nell’animo di Anoraa, che si mette a nudo e ci fa fare un viaggio tra i suoi momenti, belli o brutti che siano, ma essenziali per la sua musica: vera, sincera e trasparente. Noi di Musica 361 abbiamo deciso di raggiungerla per una piacevole chiacchierata.
Ciao Aurora, è un piacere averti qui tra le pagine di musica 361. Iniziamo da questo EP: quali sono le emozioni che ti hanno accompagnato per questo lavoro?
Ciao e grazie a voi per l’invito! “Caduti dal cielo” ha preso vita in un momento piuttosto confusionario, potrei definirlo quasi di “smarrimento”. Quel periodo mi ha permesso di gettare tutto il mio malessere nella musica. È un connubio di emozioni quindi per me: c’è della malinconia, che si percepisce all’interno dei sound; c’è della consapevolezza rispetto tutto ciò che mi stava travolgendo in quel momento e in ultimo, quel filo di leggerezza e spensieratezza, velate, ma presenti.
“Caduti dal cielo”, quando nasce l’esigenza di questo Ep?
“Caduti dal cielo” è il risultato graduale di tutti i miei attimi di pura intimità, quelli in cui metto le mani sul mio pianoforte o sulla mia chitarra e inizio a scrivere la mia storia. Come “Follia”, il brano che apre l’EP, è una ballata, o forse una corsa tra tutti i volti delle persone per capire se mi somiglino e il traguardo raggiunto dove prendo coscienza delle mie forze e capacità.
Un viaggio interiore che ti ha regalato forza e consapevolezza. È stato un modo per scoprire un altro lato di te?
È sicuramente un percorso di scoperta del mio ego, ma mai autoreferenziale. Di tutte le insicurezze, di tutte le cose che gli altri vogliono vedere e sentire, e di tutto quello che invece io voglio dire.
La Liguria come patria del cantautorato, ma cosa ti ha spinto alla musica e al raccontarti in prima persona?
Uno sguardo ai grandi della musica è sempre presente. Indubbiamente questi sono un esempio di cultura, crescita e ispirazione. La musica è l’amica con cui mi confido, è il mio metro di giudizio, mi consiglia e mi conforta. Con lei posso deporre tutte le mie armi, con lei sono struccata.
La musica come forma di condivisione, ma la vedi anche come punto di contatto con chi ti ascolta?
La musica è il filo che connette tutti gli individui nel bene e nel male. È quel contatto per il quale però non provi repulso, che non respingi perché nessuno può farne a meno. Cioè, quando guardi o ascolti qualcosa o qualcuno sebbene questi non siano parti di te, egualmente ti trapassano e alla fine diventano tuoi amici. Quindi quel contatto da indiretto diventa diretto.
Il brano più rappresentativo, secondo te, di “Caduti dal cielo”?
Tutte le sei canzoni hanno una loro storia e un loro significato. Prima vi ho citato “Follia” perché racchiude quel senso di non appartenenza, ma sicuramente anche “Complicato” necessita di attenzione. “Complicato” è la canzone che chiude il progetto e si riferisce ad una lettera che ho scritto di mio pugno un paio di anni fa. Nel suo contenuto quella lettera incitava a lasciar correre, a non forzare nulla, a non necessariamente mantenere il controllo su tutti i singoli aspetti della vita, soprattutto rispetto alle interrelazioni. “È complicato ma ti rafforza da ciò che è stato”, è una frase all’interno della canzone ed è diventata il mio motto.
In questo momento della tua vita, cosa ti auguri per la tua musica?
Con la mia musica spero che le persone possano sentirsi capite, soprattutto nel momento in cui non si sentono ascoltate. Ad oggi non è semplice aprirsi con qualcuno né tanto meno sentirsi accettato; purtroppo siamo in una società iper-presente e ipercritica, tante volte serve scappare, serve rifugiarsi in qualcosa, e lì c’è la musica. Questo non vuol dire “chiudersi” in sé stessi, ma piuttosto imparare a stare bene e a raggiungere da soli il proprio stato di serenità anche verso gli altri. Ora sto lavorando a nuovi progetti e sto sperimentando nuove combinazioni, che magari possano far emergere altri aspetti non ancora visibili ma che sicuramente ci sono perché io li sento.
Articolo a cura di Francesco Nuccitelli