Quattro chiacchiere con Antonio Vandoni, direttore artistico di Radio Italia, esperto conoscitore e grande appassionato di musica
Tra i professionisti del settore che abbiamo il piacere di ospitare nella nostra rubrica “Protagonisti in secondo piano“, non poteva di certo mancare Antonio Vandoni, per gli amici Tony. Abbiamo il piacere di approfondire la conoscenza della sua longeva storia lavorativa, inaugurata alla Dischi Ricordi e proseguita negli anni fino a diventare direttore artistico di Radio Italia – Solo musica italiana, ruolo che ricopre con coscienza, passione e grande impegno da oltre vent’anni.
In tutte le storie si parte sempre dal principio, mi racconti come ti sei avvicinato alla musica?
Era il lontano 1989 quando iniziai a lavorare alla Dischi Ricordi, una volontà e una passione vera. Un primo passo nella musica lo avevo già fatto qualche anno prima in radio, come tanti altri giovani dell’epoca. Passato all’etichetta ho cominciato ad occuparmi subito di promozione, stando sempre dalla parte degli artisti, mi piace rimarcarlo. Penso sia molto importante l’idea di team, perchè i cantanti devono fare i cantanti, non i manager o i promotori di loro stessi. Per questo motivo sono importanti le singole figure che si occupano di un progetto, contribuendo o meno al suo eventuale successo.
L’esperienza si ottiene con gli anni, mentre la passione è un biglietto da visita che o ce l’hai o non ce l’hai. Come si è evoluto il tuo mestiere negli anni?
Questo mestiere non si impara sui libri di scuola, bisogna sperimentare sul campo, apprendendo dalle persone con più esperienza di te. Il mio grande maestro è stato il compianto Michele Mondella, lui ha fatto la storia della RCA e mi ha insegnato le basi. Averlo al mio fianco è stato uno stimolo continuo, quotidiano. Ho cercato di attingere anche dalla persona, dal suo essere pragmatico, determinato, innamorato del proprio lavoro, coinvolgente, folle, ma al tempo stesso lucido in qualsiasi sua decisione.
Come si è evoluto negli anni il mondo della discografia?
Ahimè, lo dico con dolore, non in meglio. Quando lasciai la discografia una ventina di anni fa, qualcosa già scricchiolava. Per fare promozione ci vogliono idee e le idee hanno un costo. Con il tempo si è persa sempre di più la voglia di investire e di rischiare, giocando più sul sicuro. Quando mi sono accorto che le giornate cominciavano ad essere simili e che un disco lo lavoravo uguale all’altro, ho mollato.. anche perchè in parallelo mi era stata offerta la direzione artistica di un network importante come Radio Italia. Comunque, già da allora sentivo odore di bruciato, perchè si vendevano meno dischi e, di conseguenza, i budget erano sempre più ridotti. Da lì si è cominciato a seguire i progetti in maniera standard, di fatto come si lavora oggi.
Umanità e professionalità non vanno sempre a braccetto, conoscendoti devo asserire il contrario. In un ambiente tosto come questo, come sei riuscito a preservare valori come l’altruismo, la solidarietà, la correttezza, la cordialità?
Ti ringrazio per queste belle parole, ma cerco di essere semplicemente me stesso, sul lavoro come nella vita. Mi vergognerei ad indossare una maschera la mattina e toglierla la sera quando esco dall’ufficio. Chi mi conosce sa quanta professionalità e quanta passione ci metto, null’altro. Per me contano più le persone che le aziende, anche le star più famose con cui ho avuto il piacere di lavorare in questi trentadue anni, non ho mai cercato in loro né l’amicizia né la gratitudine, perchè ero già appagato dal ruolo che ricoprivo, dal cercare di ottenere risultati insieme, con loro e per loro.
In un mondo di plastica come quello del music entertainment, forse, è venuta fuori la mia personalità. In questo ambiente ci sono tante figure che assecondano i cantanti in tutto e per tutto, non facendo loro del bene. Più che i pregi ho sempre cercato di evidenziare i difetti, cosa molto apprezzata dagli stessi artisti, che nelle mie parole hanno sempre intuito onestà. C’è modo e modo di esprimere un’opinione, ma il confronto è sempre necessario. L’importante è far capire di essere dalla loro parte, anche se su alcuni punti si può pensarla diversamente.
Arrivando al ruolo di direttore artistico di Radio Italia, a questa lunga storia d’amore che prosegue da oltre vent’anni, quante proposte ricevi in media alla settimana e qual è il criterio di selezione?
Questo è il bello del mio lavoro, il bello nel brutto diciamo… perchè per cinque “amici” che mi faccio in virtù della programmazione radiofonica settimanale, più di cinquanta diventano automaticamente “nemici”. Negli anni la proposta si è decuplicata. Bisogna cecare di mantenere alti i risultati di un network come Radio Italia, tenendo conto dei pochi spazi a disposizione. In media ricevo dai dieci ai quindici singoli al giorno, tra major, produttori indipendenti e gli stessi artisti. Come fai ad inserirli tutti? Non puoi proporre solo novità, perchè la forza della nostra emittente è rappresentata anche dal repertorio, dai grandi classici della canzone italiana. Un palinsesto variegato che cerca di accontentare un po’ tutti.
Certo che deve essere un bell’esercizio annullare i propri gusti personali per cercare di intercettare le richieste del pubblico…
Puoi dirlo forte! Bisogna sempre tenere a mente che il palato da soddisfare è quello degli ascoltatori, non il proprio. Poi, in macchina o a casa, mi dedico a quello che più mi piace, ma sul lavoro devo portare avanti soltanto la nostra linea editoriale, cercando di commettere meno errori possibili, confrontandomi con l’attuale mercato e con i nuovi mezzi messi a disposizione dalla tecnologia, arrivando a capire perchè la musica si muove in una determinata direzione.
Detto così può sembrare un brutto mestiere (sorride, ndr), invece ci tengo a sottolineare che sono grato alla vita per questo, cioè.. mi pagano per ascoltare musica, per giunta prima degli altri, e per poter dare anche qualche mio piccolo consiglio. Ieri, ad esempio, ho ricevuto un messaggio che mi ha lusingato da parte di Edoardo Bennato, nel quale mi chiedeva quale scelta fare sul prossimo singolo. Capisci? Questo è un lavoro che mi meraviglia sempre, ogni giorno di più.
Cosa rispondi ai maligni che sostengono che, oggi come oggi, i direttori artistici delle radio non esistono più, che i palinsesti dei network si somigliano e che tengono conto solo delle mode del momento?
Che hanno ragione tra virgolette, il concetto è giusto dal loro punto di vista, lo si può dedurre osservando le playlist delle varie radio e le classifiche dei passaggi EarOne. Non per fare l’aziendalista, atteggiamento che non mi appartiene per nulla, ma Radio Italia si distingue davvero in questo, non soltanto perchè trasmettiamo solo musica italiana, anche perchè c’è tipo e tipo di musica italiana. Vedi, quella editoriale non è una linea immaginaria, bisogna stare all’interno di certi parametri, cercando di proporre qualcosa di nuovo sì, ma gradualmente.
Il nostro è un publico abituato a certi suoni e certe metriche, in più la storia ci insegna che le rivoluzioni in radio non funzionano. Non puoi stravolgere totalmente la programmazione solo perchè oggi va di moda… supponiamo per esempio… la musica indiana. Non solo non conquisti nuovi ascoltatori, ma rischi di perdere quelli che da trentotto anni ti seguono. Bisogna restare fedeli alla propria linea, apportando qualche piccola variazione, magari nelle fasce orarie giuste, per stare al passo coi tempi, ma senza troppi traumi.
Quali criticità ha portato la pandemia nel tuo settore?
Grandi criticità non ce ne sono state, ci siamo limitati a prendere decisioni ancora più mirate. In questa pandemia abbiamo sofferto tutti, anche solo leggendo notizie o guardando il telegiornale, di conseguenza la gente è esasperata. Il nostro ruolo è quello di intrattenere, i nostri ascoltatori ci chiedono musica allegra e di non parlare soltanto di quello che sta accadendo nel mondo, 24 ore su 24. C’è questa necessità, per cui le nostre scelte sono state fatte con criterio, con il solo obiettivo di far svagare il pubblico.
Avrai sicuramente tanti amici che hanno a che a fare con il mondo dei live, loro sì che sono stati colpiti e tutt’ora sono ancora fermi…
Dici bene, la crisi maggiore ce l’hanno i musicisti, i tecnici, i fonici, gli operatori dello spettacolo e gli artisti stessi, perché loro vivono dell’applauso del pubblico, non c’è gratificazione ugualmente appagante. Di questo passo, anche la creatività ne risente, perchè subentrano altri fattori come la depressione, lo sconforto, l’incertezza e le mille domande sul futuro. Una confusione che porta a non avere la mente libera per scrivere e comporre, in più mettici le difficoltà di un settore immenso che soffre il quotidiano, una categoria che è stata ignorata radicalmente.
Croce e delizia di tutta questa situazione sarà il Festival di Sanremo, forse come mai nella sua storia. Come te la immagini la prossima edizione?
Non ho risposte adeguate a riguardo, ma non per fare il diplomatico, sia chiaro, specie con te. Siamo davvero tutti sulla stessa barca, non sappiamo come sarà il Sanremo che abbiamo davanti a noi. L’applauso, la standing ovation, le emozioni del pubblico in sala e di quello fuori dall’Ariston, cose che solo ad elencartele mi si rizza il pelo. Tutto questo ci mancherà tantissimo, per cui non so immaginare che Festival sarà, ma sono d’accordo nel farlo ugualmente, per svegliare gli animi e richiamare l’attenzione sull’intero settore. L’augurio è che sia un veicolo, come accaduto spesso nella storia della kermesse, per lanciare messaggi socialmente importanti.
A livello emotivo, che ruolo può avere la musica in un momento così complicato dal punto di vista sanitario, economico e politico?
Il valore terapeutico della musica non lo scopriamo di certo adesso, anche solo come semplice fonte di evasione, per viaggiare con la testa, ove non ci è consentito farlo fisicamente. Una canzone è in grado di portarci ovunque, su una spiaggia tropicale, piuttosto che sulla luna, ma anche indietro nel tempo attraverso i nostri ricordi. Insomma, la musica è sempre indispensabile.