Un’eroina musicale dei giorni nostri.
La vocazione è qualcosa che non si può spiegare: arriva e basta. Può palesarsi presto oppure più in là nel tempo ma in ogni caso è parte di un destino non scritto, capace di condizionare la vita di una persona.
Non a caso, spesso e volentieri, chi si trova protagonista della cosiddetta “chiamata” non può far altro che lasciarsi trovare pronto e accettare il susseguirsi degli eventi.
Lo sapeva benissimo Clarence LaVaughn Walker, predicatore battista famoso a livello nazionale, che nel corso della sua vita riuscì a ritagliarsi un posto di tutto rispetto nell’America della seconda metà del ‘900 e che cavalcò con grande passione la sua vocazione religiosa.
Vocazione che tramandò alla figlia Aretha, partecipe – insieme alle sorelle – della vita religiosa del padre, cosa che le portò ad essere di sovente coriste durante le celebrazioni sacre e le funzioni clericali.
Ma se quella del padre fu una vocazione con un fine più sacro, quella che colpì la figlia Aretha Louise Franklin fu una vocazione artistica e, ancor più, musicale.
Destinata a diventare una delle icone indiscusse della musica Soul, R&B e Gospel, Aretha Franklin ha da sempre nutrito una profonda passione per il canto, cosa che la condusse tra gli anni ’60 e gli anni ’80 a diventare la vera ed unica Queen of Soul (La Regina del Soul) di tutti i tempi.
Un talento che l’ha resa unica nel panorama mondiale tanto da farle vincere addirittura 21 Grammy Awards di cui 8 consecutivamente, tanto da definire per quel decennio il premio come “Aretha Award”.
Una personalità ed un carisma che fin dalla giovane età furono insite nella natura della cantante che, grazie all’aiuto del padre, iniziò ad incidere i suoi primi dischi all’età di 14 anni.
Se dobbiamo però analizzare la lunga linea cronologica della carriera di questa fenomenale artista ci sono alcuni momenti significativi capaci di definire al meglio quella che poi diventerà una delle icone musicali di maggior successo.
Il 1967 è l’anno della prima vera svolta, ovvero il passaggio dalla Columbia Records alla Atlantic Records, cosa che segnò indelebilmente la sua carriera, grazie anche alla fiducia datagli dai produttori Jerry Wexler e Arif Mardin che la vollero vedere incidere suonando anche il pianoforte.
Gli anni ’60 furono un decennio musicalmente florido per la cantante natia di Memphis, oltre alla celebre Respect, che è diventata la sua canzone simbolo, tra i singoli di successo. Di quegli anni si ricordano Chain of Fools, (You Make Me Feel Like) A Natural Woman, Think e Baby I Love You.
Gli anni ’70 furono un periodo non facile; la emergente disco music stava prendendo il sopravvento e anche se Aretha Franklin col suo timbro e la sua potenza vocale risultava grandiosa, il successo di critica e di pubblico scivolavano lentamente.
La rinascita però era alle porte e negli anni ’80 risalì in classifica grazie a numerose collaborazioni con artisti del calibro di George Michael (I Knew You Were Waiting (For Me)) o George Benson (Love All the Hurt Away) e ancora con Sisters Are Doing for Themselves in duetto con gli Eurythmics.
Quella che entrò maggiormente nella storia di questo periodo fu la sua partecipazione al film The Blues Brothers nei panni della moglie de Matt “guitar” Murphy e l’esecuzione del suo successo Think.
Ma dove possiamo ritrovare la potenza di questa donna? Perché oggi possiamo felicemente definirla icona?
Partendo dalla situazione socio-politica degli anni ’60 e la costante lotta all’apartheid, Aretha Franklin diventa simbolo di questa lotta, anche grazie al rifacimento della canzone di Otis Redding Respect, a cui viene allargato il significato alle minoranze afro-americane e a tutti gli statunitensi.
Una donna “eroina” musicale capace di stravolgere il concetto di canto con la sua voce potente e la sua impareggiabile estensione vocale, cosa che la portò ad avere la possibilità di modularla raggiungendo sia note basse che acuti inarrivabili.
Aretha Franklin era una accanita fumatrice e questo provocò un’alterazione delle sue tonalità vocali negli anni ’80 che da una parte le permisero di avere un tono più grave e dall’altro le impedirono di raggiungere quella tanto amata estensione vocale che era il suo marchio di fabbrica negli anni ’60.
Quello che ancora oggi stupisce è quanto la fama di questa artista sia ancora oggi incommensurabile e quanto celebri cantanti e artisti l’abbiano presa a modello, come esempio di vita e di musica; basti pensare a Anastacia, Alicia Keys, Beyoncé, Mary J. Blige, Usher, Giorgia ed Elisa che hanno tratto ispirazione dalla Regina del Soul.
Un’icona che mancherà tanto al mondo della Musica ma che, come se il suo destino fosse stato scritto, certamente verrà ricordata e onorata sempre per l’apporto che ha saputo dare al mondo intero.
Una Donna con la D maiuscola che è stata in grado di catalizzare su di sé il sentire di quegli anni ’60 trasformandoli in arte e, grazie alla sua voce è entrata con pieno diritto a far parte della vita musicale dell’intera popolazione mondiale.
a cura di Victor Ventureelli