Il giorno che il rock progressive baciò la musica d’autore.
Ci sono momenti d’epifania, in cui vorresti essere nato in un altro momento, solo per poter assistere ad un evento particolare. Credo che ognuno di noi abbia vissuto questa sensazione almeno una volta nella sua vita: per quanto mi riguarda, uno di questi momenti di chiarezza è legato alla prima volta che ho ascoltato il doppio live di De Andrè accompagnato dalla PFM, chiamato per l’appunto Arrangiamenti.
Per carità, non sono certo ciò che si può definire un gran musicista: amo suonare i miei strumenti e suonare con i miei amici. La mia capacità tecnica è quella di un dilettante, non certo di un professionista. Ma conosco la musica, e posso affermare, senza tema d’essere smentito, che Arrangiamenti si avvicina moltissimo alla perfezione.
Un paio di note storiche, giusto per amor di completezza: Arrangiamenti esce in due dischi, pubblicati a cavallo tra il 1979 e il 1980, contenenti le registrazioni dei live registrati durante la tournee di André con dei colossi del progressive italiano: la Premiata Forneria Marconi. L’operazione non mancò di far storcere il naso ai puristi del cantautorato italiano, che al tempo era visto come disgiunto dal virtuosismo del rock di quegli anni. Basti ricordare che gli anni che vanno dalla prima metà degli anni ’70 fino al ‘77 hanno rappresentato il culmine della diffusione della musica rock progressive italiana. Area, Goblin, Osanna, Formula 3, Premiata Forneria Marconi, erano solo alcuni dei nomi che popolavano la scena. E si trattava di musicisti di caratura incredibile, di qualità ben diversa da quella alla quale – ahimé – siamo assuefatti oggi.
Dice Franz Di Cioccio, a proposito della loro provvida unione:
«A mio avviso, tra tutti i cantautori, Fabrizio De André è quello che più di ogni altro è riuscito a infondere poeticità nelle sue canzoni. Noi lo conoscevamo da tempo – avevamo già lavorato con lui alcuni anni prima – e così, quando un giorno d’estate lo incontrammo a un concerto in Sardegna gli buttai lì l’idea di fare qualcosa insieme. La collaborazione tra un cantautore e un gruppo era comune in America e a noi sembrava che con Fabrizio si sarebbe potuto svolgere un buon lavoro, offrendo al pubblico italiano qualcosa di nuovo. De André aveva avuto un’esperienza simile solo con i New Trolls, che per certi versi era stata positiva e per altri no, perché erano rimasti due gruppi di lavoro abbastanza divisi. Non c’era stata una fusione vera e propria. Diciamo che loro avevano suonato le cose di De André e De André aveva avuto un gruppo che lo accompagnava, tutto qua. Noi invece avevamo in mente qualcosa di molto diverso, un vero e proprio progetto di collaborazione artistica, dove ognuna delle due componenti, il cantautore e il gruppo, avrebbe influenzato l’altra. Glielo spiegammo, ma lì per lì non la prese molto bene.
“Eh belin!” disse, “suonate troppo forte!”
“Ma no, ci adattiamo a te!”
“Arrivate con tutti vostri watt e mi uccidete!”
“Ascolta” disse Franco prendendo la chitarra, “io ‘Il pescatore‘ la vedo così. Un po’ più funky, un po’ più allegra…” e si mette a fare un giro di accordi.
Fabrizio ascolta e sorride. “E la batteria? Questo qui picchia forte, non so….”
Ci volle un po’, ma riuscimmo a convincerlo, forse anche perché riuscimmo a comunicargli il senso del gruppo. Fare una tournée però lo spaventava un po’. In generale Fabrizio è una persona un po’ schiva e l’idea di affrontare il pubblico tutte le sere, di viaggiare con noi e con tutto l’annesso, non gli garbava molto. Ma riuscimmo a trasmettergli la carica giusta. Gli garantimmo comprensione e collaborazione e alla fine, stringendoci la mano, suggellammo l’accordo.
Scegliemmo un trentina di pezzi e ci suddividemmo il lavoro. Era una strategia che serviva a non tradire lo stile dei pezzi. Per esempio le canzoni più francesiggianti sono state affidate a Patrick, perché essendo vissuto in Francia poteva arrangiarle in linea con il loro sound. Franco invece prese i pezzi dove poteva fare valere la sua dimestichezza con la musicalità della chitarra. A Flavio vennero affidate le cose che ci sembravano richiedere un’elaborazione più complessa, perché dal punto di vista degli arrangiamenti era il più preparato di tutti. Mettemmo su un bel gruppo di lavoro e dopo qualche mese il materiale fu pronto. Ne era uscita una cosa nuova e un po’ strana, dove la poeticità dei testi di Fabrizio e le sue belle e pulite linee melodiche si sposavano con una musicalità sognante, piena di immagini, invenzioni e colpi di scena. La cosa funzionò a meraviglia: i pezzi, completamente rivisti e rielaborati, assumevano un sapore nuovo e più pieno, mentre il dialogo tra testi e impasti sonori risultava continuo ed equilibrato. In questo contesto, la voce calda e affascinante di Fabrizio non veniva per nulla sacrificata, anzi. Tutto infatti era stato studiato nei minimi particolari affinché noi non lo coprissimo mai. Gli arrangiamenti erano stemperati: quando lui cantava, sembrava di vedere un acquerello, un dipinto molto bello dai colori tenui. C’erano però anche momenti in cui si partiva forte in modo da far esplodere la carica musicale della PFM. Ne fummo tutti molto soddisfatti. Anche il pubblico dimostrò di apprezzare quello strano connubio, tra due realtà che allora, in Italia, erano considerate assolutamente incompatibili. Invece la nostra idea funzionò, dimostrando che anche un cantautore può avere da guadagnare dalla collaborazione con un gruppo. E viceversa.»
Il prodotto di quel meraviglioso gennaio del 1979, del sodalizio tra le poesie musicate di Faber e gli incredibili arrangiamenti di Di Cioccio, Mussida, Djivas e compari, lo possiamo ascoltare ancora. E ancora. E ancora. Perché Arrangiamenti è forse uno dei pochi live davvero perfetti che io abbia mai ascoltato. C’è tutto: folk, rock, progressive, musica popolare. Gli strumenti si rincorrono in una corsa infinita di armonizzazioni complesse: la fisarmonica di Premoli, il violino di Fabbri e le chitarre di Fabbri sono sostenute dalle indemoniate linee di basso e delle percussioni di Di Cioccio. E, sopra a tutto questo, le parole di Faber.
Non esiste nota fuori posto, e l’anima vibra nel sentire le storie di DeAndrè. Le storie d’amore, di morte, di sfida alle miserie umane: le storie alle quali il Genovese ci ha abituato e che continuano a suonare perfette e senza tempo.
Arrangiamenti, a distanza di 37 anni dalla sua registrazione, rappresenta ancora una pagina di storia della musica italiana. E confrontarsi con vette così alte non può che generare un sentimento di nostalgia, di perdita per non aver avuto la possibilità di assistere a un concerto così incredibile.