Continua l’ascesa dello streaming, secondo i dati Nielsen in America l’incremento è esponenziale.
Nonostante lo streaming non sia più una nuova tecnologia, continua a stupire e soprattutto a crescere. Nielsen, leader nelle ricerca di mercato, ha attestato che, nei primi nove mesi del 2017, il numero di stream audio (Spotify, Tidal, Apple Music, etc) e video (Netflix e altri analoghi) è aumentato del 40% rispetto allo scorso anno. La testata giornalistica Rockol ha riportato la differenza dei dati raccolti tra audio e video, attestando una crescita del 59% di streams solo per il comparto audio. Quindi si può intuire quanto la libertà di accesso e di scelta di contenuti abbia portato l’utente ad una stimolazione dell’interattività che porterà, di conseguenza, alla volontà di espansione dell’interattività su altri strumenti, non per forza mediatici.
L’utente vuole poter scegliere quale contenuto fruire, non vuole più subire gli strumenti di comunicazione di massa, vuole essere attivo, come un “re” che impartisce ordini continui alla servitù. Ecco perché molti artisti sono contenti del fenomeno dello streaming, perché sanno di poter diventare Top Artist senza dover necessariamente passare in radio oppure saranno gli stream a dettare che un artista venga scelto per essere passato in radio.
C’è anche una conseguenza dettata dal fenomeno dello streaming: l’ascolto spot, che amplifica la necessità della canzone “radiofonica”. Di fronte alla miriade di uscite settimanali, produrre una canzone che abbia molti stream vuol dire che debba avere un gancio (melodico, ritmico, testuale) che catturi l’attenzione per evitare lo skip. Quindi, a questo punto, c’è da chiedersi se gli ascoltatori che prediligono lo streaming sono ancora interessati a nuovi album da 10 o più tracce, dove non tutti le canzoni potranno essere delle hit. C’è ancora il tempo e la voglia di ascoltare un intero album o viene preferito un EP? Magari torneranno di moda i singoli.