Si chiama Alessandra Prete, è del 1996 ed è sotto Tanta Roba Label, un’etichetta che non ne ha mai sbagliata una.

Priestess: una ragazza con stile nel mondo del rap italianoHo perso la testa per te” gridano i suoi fan, ritornello della sua traccia Maria Antonietta, ma anche esclamazione giustificata dal fatto che Priestess è un’artista davvero interessante, per capirlo davvero bisogna inquadrare il ruolo della donna nel mondo rap.

Il mondo dell’hip hop è da sempre popolato dagli uomini, anche perché spesso sembra essere sinonimo di ambiente virile, quando in realtà non è proprio così. L’hip hop è nato dalla libertà di espressione e questo ha generato una ampia corrente di artisti che hanno voluto mostrare la propria prepotenza. Negli anni ’90 i rapper erano per lo più maschi, ma ci sono stati dei grandi esempi femminili che hanno divulgato il tema del ghetto e del femminismo. Rimanendo in Italia, una paladina di questo genere fu La Pina, ormai ricordata come speaker radiofonica, anche se, in parallelo ai primi Articolo 31, ci sapeva davvero fare con le rime. Sicuramente un’esponente giovane che ha fatto successo è stata Baby K, la quale, dopo aver definito il proprio territorio da femmina alfa, è diventata la regina del tormentone estivo.

Torniamo a Priestess, una ragazza che ha uno stile elegante, un flow travolgente, tanto che si trova proprio questo commento ricorrente sotto i suoi video di Youtube. La grande dote di questa giovane artista è di trasmettere la propria femminilità attraverso la grazia, il cambio di ritmo, di tonalità,  l’asprezza, la poeticità e non attraverso l’ostentazione di essere femme fatale, sintomo di una prepotenza ben troppo presente, quasi “virile”.

L’unica pecca? Sono usciti solo tre singoli, quindi non si può ancora definire effettivamente il percorso di Priestess da solista. Da quello che ha mostrato ci si aspetta qualcosa in più concettualmente rispetto alle tematiche “green” sulla weed, che comunque tratta in maniera molto più gradevole e fantasiosa rispetto a molti colleghi maschi. Ultima, ma non per importanza, le bravura nei ritornelli dei suoi singoli, dei veri ganci acchiappa ascolti. Sentiremo molto parlare di lei.

Gli artisti sono un’azienda che deve proporre un’immagine coordinata del proprio contenuto. C’è ancora spazio per la musica?

La credibilità musicale dipende dai social
Taylor Swift.

C’è un legame fondamentale tra musica e immagini. La televisione ha consacrato l’importanza dell’apparire agli occhi dello spettatore, mutando di netto quello che era l’immaginario dell’ascoltatore, che da una voce alla radio è passato a vedere videoclip musicali a rotazione. Questa fu l’era di Mtv e con questa logica si è sviluppata la musica fino al 2010. Se questo enorme cambiamento fece dire ai The Buggles “Video killed the radio star”, cosa si potrebbe dire ai giorni nostri a causa dei social network?

Oggi un artista è un’azienda e come tale è obbligato ad avere un’immagine coordinata con il proprio stile musicale. Ad esempio, Taylor Swift avrà social pieni di sue fotografie volte alla perfezione, nessuno se la immaginerebbe nei peggiori bar di Caracas. Allo stesso modo, i suoi testi dimostrano questa perfezione in stile “Mulino Bianco”, questa purezza, raccontando di nuovi amori e cuori infranti.

Per citare alcuni esempi italiani, se prendessimo Guè Pequeno, da sempre amante delle donne e dell’abbondante pecunia, e lo inserissimo in un contesto diverso, magari dietro il banco di un supermercato, sembrerebbe finto, non naturale. Nella maggior parte dei casi è difficile che il personaggio si discosti completamente dalla persona, chi è nella parte alta della classifica non finge mai un alter ego.

Quindi, l’immagine risulta fondamentale per un artista, decenni di talent  show ci hanno insegnato a giudicare prima di ascoltare e ad oggi tutto questo, insieme al progresso tecnologico, lo si sente parecchio. Basti pensare ai fenomeni trap del momento, come la Dark Polo Gang o Sfera Ebbasta.

Facciamo un esperimento. Provate ad immaginarvi un vostro amico molto nerd (tralasciate che il sottoscritto sia uno di questi, nda), ora immaginatevelo in un video mentre canta Sportswear della DPG o Ciny di Sfera Ebbasta. Quante probabilità avrebbe questo video di diventare un meme virale e divertente? Probabilmente molte, Lil’Angels e Gioker potrebbero essere definiti paladini di questo esperimento.

Questo significa che, per dire cantare qualsiasi cosa, ad oggi ci vuole un involucro particolare, un aspetto coordinato che renda credibile la propria musica. In questa mole di informazioni che resta sul superficiale, c’è da chiedersi quanta importanza venga data alle parole e, a tutti gli effetti, anche alla musica.

Quanto era difficile emergere dieci anni fa? Come sarà tra dieci anni? È doveroso lasciare una traccia di come sia la vita da artisti emergenti nel 2017.

Essere un artista emergente nel 2017Ogni epoca ha le sue particolarità. Sarebbe interessante riuscire a cogliere, nel corso dei decenni, le peripezie socio-musicali che hanno dovuto passare gli artisti emergenti di determinate annate. Immagino chi voleva spaccare tutto negli anni ’70, ispirato dalla scia di Woodstock, Jimi Hendrix e gli Who. Chissà quante band sono state distrutte dal fenomeno dell’eroina, quanti si sono fermati e avrebbero potuto fare la storia, quanti hanno scritto il pezzo della vita e se lo sono trovati nel disco di un altro artista, semplicemente rubato. Oppure chissà com’era essere band emergenti negli anni ’80, nel ’90 o ancora peggio nel ‘2000, anno del declino totale, quando fare un disco costava troppo e c’erano troppi pochi mezzi per produrne uno fatto in casa.

Tutte queste cose non posso saperle senza scovarle intrecciando diverse biografie, ma quello che conosco direttamente è cosa voglia dire essere un artista emergente nel 2017.

Sono un artista emergente – sottotitolo – suono in una band che in pochi conoscono, pensiamo di avere dei pezzi da far sentire, ma.

In questo “ma” penso si possano ritrovare in molti nella nostra stessa situazione. Sicuramente abbiamo deciso di fare musica perché abbiamo qualcosa dentro che ci fa capire che qualsiasi armonia per noi sia vitale. Fare musica emergente nel 2017 vuol dire pensare che l’indie sia rinato quindi sentire che sotto sotto, sei sei bravo, avrai meritocraticamente una possibilità. Questa eventualità è data anche dal grado di pubbliche relazioni che sei capace a fare, soprattutto pubbliche relazioni digitali, ovvero buona auto-produzione di cover, di video, gestione social, gestione eventi. I discografici guardano i mi piace, almeno così si dice in giro ed effettivamente, con l’importanza che hanno i social al giorno d’oggi, una band che si sia costruita da sola un seguito ha sicuramente una marcia in più. Di conseguenza, essere emergenti nel 2017 vuol dire godersi ogni nuovo like alla “pagina ufficiale” come se fosse una chiamata di Dio, controllare spasmodicamente i commenti e le visualizzazioni della tua cover su Youtube, provare a sponsorizzare con pochi euro un video nella speranza diventi virale o farsi le proprie demo a casa con una scheda audio da 150 euro. In tutto questo non manca, ovviamente, ascoltare tanta ma tanta musica moderna e del passato. Infine ci sono i concorsi, un’opportunità per suonare in giro, per avere responsi, in sostanza per capire se non è soltanto tua madre a dirti che sei bravo.

Quello che sicuramente unisce tutte le epoche è l’inconsapevolezza del proprio prodotto quando sei un artista emergente, che sia la futura hit del momento o che sia la prossima traccia 6 del tuo disco. Per questo c’è sempre bisogno di un produttore, di un A&R che scopra nuovi talenti, c’è bisogno di fiducia in chi ci crede davvero. A nome della grande miriade di gruppi emergenti che stanno popolando il territorio italiano: care etichette, adottateci, non ve ne pentirete.

Sta ritornando la formula del singolo come strategia discografica. Nonostante la sua scomparsa per anni, ci sono diverse motivazioni per le quali ha senso questo ritorno.

La rinascita dei singoli: le motivazioni del rilancio Da una ventina d’anni circa, fino a poco tempo, fa erano spariti dalla circolazione i singoli, se non strettamente collegati ad un album. Solitamente venivano chiamati singoli gli estratti dal disco, le canzoni che sentivamo in radio e delle quali continuiamo a vedere i video online. La vera concezione di singolo, in realtà, è ben diversa: con l’epoca del vinile era molto comune che un artista facesse uscire sul mercato una traccia singola da 45 giri (con lato B annesso). Questo produceva due situazioni interessanti: gli artisti più piccoli potevano produrre il “singolo della vita” e diventare i vari Santa Esmeralda o i Righeira; i big, invece, potevano rilasciare una canzone che non facesse parte di un album, ma allo stesso tempo avere la possibilità di riscuotere successo sul mercato.

Con il digitale questa formula è sparita, la concezione della velocità e della portabilità, non appena introdotte nella società, hanno generato maggiore attenzione nei confronti degli album, perché contenevano tante tracce e con i vari iPod e simili era inutile centellinare le uscite singolo per singolo. Considerando anche che, appena iniziata l’era di iTunes, pensare di vendere soltanto una traccia a 0,99 centesimi riduceva di netto la possibilità di guadagno, non esistendo ancora Youtube, Spotify, Facebook e altre piattaforme dalle quali guadagnare.

Ad oggi, invece, con la liquidità che ha la musica tramite internet e lo streaming, è tutto in via di rinnovamento. Anche i singoli stanno tornando in auge come formula completamente nuova, considerando la differenza abissale rispetto al business musicale di trenta anni fa. In Italia, i Thegiornalisti stanno proprio per uscire con un singolo il 21 di giugno, Calcutta ha dominato l’estate con Oroscopo l’anno scorso, mentre ancora più indietro fu il singolo Roma Bangkok a rivelarsi multi-platino. Stanno rinascendo i singoli, aspettiamo solo di ascoltarli.

Il 4 giugno si è tenuto un evento benefico di Ariana Grande che ha scritto una pagina importante della storia della musica.

One Love Manchester, un evento da ricordare
Il palco del One Love Manchester.

Nonostante i recenti attentati a Londra, a Manchester è andato in scena, come promesso, One Love Manchester, il concerto benefico organizzato da Ariana Grande, dedicato alle vittime della tragedia avvenuta durante il suo ultimo concerto inglese.

Nessuno può fermare la musica, così si potrebbe interpretare il forte messaggio che ha voluto mandare questa manifestazione.  Nessuno vuole cambiare la propria vita per colpa della grande paura instaurata dal terrorismo.

C’è stata vera commozione sul palco, ciascun artista è sceso dal proprio “piedistallo” dovuto alla popolarità e ha mostrato il proprio lato umano, più intimo. Anche via streaming si è riuscita a percepire la forte atmosfera, la voglia di liberarsi dalle paure tramite la musica, che abbraccia tutti, non importa dove, non importa come, non importa nazionalità o religione.

La grande fortuna di questo millennio è quella di avere sempre i ricordi a portata di mano, digitalizzati all’interno dei video e disponibili ovunque. One Love Manchester non solo potrà essere ricordato, potrà (e dovrà) essere riguardato, come accadde per We Are The World (Africa e Tahiti), Domani (Artisti uniti per l’Abruzzo) e altre iniziative benefiche. In questo modo si potrà continuare ad insegnare e a raccontare la libertà attraverso la musica.

Scaletta:

  • Marcus Mumford – Timshel
  • Take That – Shine, Giants, Rule the world
  • Robbie Williams – Strong, Angels
  • Pharrell Williams – Get Lucky, Happy (con Miley Cyrus)
  • Miley Cyrus – Inspired
  • Niall Horan – Slow Hands, This Town
  • Ariana Grande – Be Alright, Break Free
  • Little Mix – Wings
  • Ariana Grande con Victoria Monet – Better Days
  • Black Eyed Peas con Ariana Grande – Where is the love?
  • Imogen Heap – Hide and Seek
  • Ariana Grande e Parr’s Woods High School Choir  – My Everything
  • Ariana Grande e Mac Miller – The Way
  • Mac Miller – Dang!
  • Ariana Grande e Miley Cyrus – Don’t Dream It’s Over
  • Ariana Grande – Side to Side
  • Katy Perry – Part of Me, Roar
  • Justin Bieber –  Love Yourself, Cold Water
  • Coldplay – Don’t Look Back in Anger, Fix You, Viva la Vida, Something Just like This
  • Liam Gallagher –  Rocking Roll Star, Wall of Glass, Live Forever (con Chris Martin)
  • Ariana Grande – One Last Time, Somewhere over the rainbow.

Importante interrogativo dell’esperto di tecnologia e nuovi media che fornisce uno spunto di riflessione sul panorama musicale odierno.

Dove sono finite le Rockstar? Risposta a Marco MontemagnoVasco supera i duecentomila biglietti venduti per un solo concerto e, come è giusto che sia, ci si chiede se effettivamente rivedremo artisti con numeri e calibro di questo tipo. Marco Montemagno, esperto di tecnologia e nuovi media, in una delle sue considerazioni giornaliere sulla sua pagina Facebook, si è chiesto dove siano finite le Rockstar. Una prima risposta l’ha data proprio lui, spiegando quanto il cambiamento del mercato musicale dall’analogico al digitale, con l’imponente arrivo dei social, abbia accorciato le distanze tra audience e artista, cambiandone completamente il rapporto. Se prima ci si comprava il vinile e si andava al concerto, perché era l’unica scelta possibile, oggi il concerto è l’ultimo di molti step precedenti, se si arriva a quello vuol dire che si è molto convinti di voler ascoltare un artista dal vivo. Sempre Montemagno prova ad immaginare Bowie o i Rolling Stones (aggiungerei Sex Pistols, nda) nell’epoca attuale, che con tutti i loro esuberi avrebbero generato scandali su scandali, pagine di blog e webzine dedicate solo a loro. È cambiato il mondo, è tutto più che logico. Però attenzione, non si chiameranno Rockstar (anche perché il rock come lo si intendeva è scomparso dal mainstream), ma le nuove star che macinano grandi numeri e hanno un’attitudine moralmente “rock” ci sono eccome.

Partiamo dall’Italia. È un dato di fatto che J-Ax e Fedez abbiano riempito quattro volte di fila il Forum di Assago durante il tour di Comunisti col Rolex. Quattro sold out consecutivi, oltre ad una grande stima numerica, dimostrano quanto ci sia margine di crescita per i loro live futuri. Altri artisti della scena rap hanno molte persone ai concerti, trattando argomenti pungenti, borderline, rock, per esempio Salmo, Guè Pequeno, Marracash. Rimanendo tra i cugini della trap, sono proprio loro ad avere, invece, l’atteggiamento da Rockstar. Si potrebbero citare Sfera Ebbasta o la Dark Polo Gang, i quali, nonostante i contenuti super materialisti pro consumismo, sono icone di rottura, di controtendenza, dal vestiario al linguaggio.

Sono veramente tanti i nomi degli artisti esteri che hanno una popolarità da superstar e un’attitudine da Rockstar, da DJ come Skrillex ad artisti pop. Un giovane che ha fatto qualcosa da Rockstar è sicuramente Ed Sheeran, tre sold out consecutivi al Wembley Stadium, un totale di 240.000 spettatori, lui, una chitarra e una loopstation.

Sarà anche finita l’era del rock (per ora), saranno cambiati i tempi, i modi, la tecnologia, le droghe, le masse, ma le Rockstar si troveranno sempre da qualche parte.

Gli attentati non hanno il diritto di cambiare la nostra vita, nemmeno di farci smettere di ascoltare la musica.

gli attentati non possono fermare la musicaLa paura è tanta, lo sgomento ancora di più. Sembra scontata qualsiasi frase la mente possa produrre, ma chi fa questo mestiere deve trovare le parole giuste per lasciare un segno. È doveroso ricordare cosa è accaduto, è necessario perché il tempo non cancelli le prove, la tristezza, le complesse sensazioni negative. A giorni di distanza, la stampa si è già occupata di redigere tempestivamente tutti i dettagli, adesso è tempo di riflessioni.

Sta di fatto che continuano gli atti di terrorismo e a subirne ancora una volta è la musica: dopo l’attentato al Bataclan di Parigi del novembre 2015, a Manchester è accaduta un’altra tragedia. Le ragioni probabilmente non si sapranno mai, è sbagliato persino parlare di ragioni, poiché non esistono giustificazioni per gesti simili. Sicuramente l’intento è colpire i più deboli in un momento di gioia, è la follia umana che non ha limiti come la storia ci insegna.

Abbiamo paura, si parla di dinamiche d’attentato in continuazione, cerchiamo un colpevole nella folla dando la colpa all’Altro, senza nemmeno sapere a chi ci stiamo riferendo. Non eravamo a Manchester, nemmeno a Parigi, ma la sensazione è quella di essere sempre in pericolo.

E in un mondo in cui possiamo essere tutti nel mirino del cecchino, ogni giorno, in qualsiasi parte del mondo, l’unica soluzione è quella di continuare a vivere al centoventi percento ogni istante che abbiamo in corpo. Se ci piace la musica, ci metteremo le cuffie per ascoltarla e la amplificheremo così forte finché non ci verranno i brividi. Andremo al concerto del nostro artista preferito e urleremo tutto ciò che abbiamo dentro, perché in quel momento non penseremo ad altro che a godere, magari con gli amici di sempre, magari con una sconosciuta compagnia, magari con la persona che aspettavamo da tempo. E quando in radio passeranno le nostre canzoni preferite, persino la strada cambierà i toni del paesaggio, anche il vento avrà un odore diverso.

E se dovessi morire, avrò paura, come ho paura di morire oggi, ma sarò sicuro di aver vissuto ascoltando la musica fino all’ultimo giorno. Nessuno potrà fermarmi. E quando non ci sarò più, saranno gli altri ad ascoltare ciò che tanto che mi piaceva, perché la musica non si può fermare, la musica ci sarà sempre.

Accade frequentemente di ascoltare musica a bassa qualità senza accorgersene. Ma come si può capire se un file audio è di buona qualità? Tu sai che cosa ascolti?

Come si può capire se un file audio è di buona qualità
Come si può capire se un file audio è di buona qualità?

Al giorno d’oggi si ascolta musica da diversi dispositivi e in continuazione. Accade spesso involontariamente: nei negozi, in banca, nei supermercati, nelle pubblicità e in molte altre situazioni, senza nemmeno esserci portati dietro il nostro iPod (se ancora si usa). Ma quando decidiamo di ascoltare la musica volontariamente siamo sicuri di ascoltarla bene?

Attenzione, la lettura di questo articolo può rendere feticisti del suono, nonché poco simpatici alla propria compagnia di amici. Se state continuando a leggere, vi meritate questo aneddoto.

Ero in macchina con amici, quando ad un tratto sentii uscire dalle casse una delle mie canzoni preferite. Nonostante avessi girato la manopola del volume a palla, il suono continuava ad essere molto ovattato. Colpa delle casse? Forse, ma non in quel caso. Alla mia puntale domanda (da pignolo che ha sentito il “rumorino del Titanic”), ho ricevuto una risposta molto semplice: “L’ho scaricata da un video di Youtube”.

Ora, non sono assolutamente qui a fare la morale a nessuno, perché bene o male abbiamo scaricato tutti canzoni da Youtube, però c’è un fattore importante da considerare: come si può capire se un file audio è di buona qualità?

Partiamo da questo presupposto: comprando i dischi e/o comprando le canzoni sui digital store sicuramente si sentiranno ottimamente se riprodotte su determinati impianti. Detto ciò, le due macro-categorie per ascoltare bene la musica sono:

  • Il tipo di file audio
  • Il tipo di impianto/dispositivo di emissione sonora

I file dei dischi e quelli lossless sono i migliori da ascoltare. Evitando di dilungarci in tecnicismi complessi, convertendo i file in .mp3 vi è una compressione che ne abbassa la grandezza digitale a discapito della qualità. L’unità di misura della qualità sono i kbps (kilo bit per secondo) e il valore migliore di tutti è 320kbps (tendenzialmente a scalare troviamo 256, 192, 128, 96, e 64 kbps). Una resa pseudo-decente (ma con grande perdita di dati) la si ha a 128kbps. Meglio stare sempre sopra.

Sebbene per i nerd queste siano stupidaggini, molte persone ignorano questi fattori non sapendo di ascoltare canzoni di cui magari non percepiscono totalmente il 30% degli strumenti. Considerate che Spotify permette di scegliere il tipo di qualità audio solo in versione Premium e la funzione più bassa o “Normal” è a 96kbps. Inoltre, se mai doveste scaricare delle canzoni illegalmente da Youtube, molti video non ufficiali hanno già un audio scadente di partenza, figuriamoci trasformandoli in .mp3 a bassa qualità.

Ora poniamo di avere sul nostro cellulare una canzone con la miglior qualità possibile. Il problema è ascoltarla da un mezzo che abbia delle degne caratteristiche. Per valutare questa cosa bisogna affidarsi alla risposta in frequenza ovvero quanto le casse/le cuffiette o il mezzo in questione riproducano fedelmente le frequenze udibili all’orecchio umano. Noi ascoltiamo dai 20 Hertz ai 20.000 Hertz (detti anche 20kHz), questa gamma varia con l’età e con i traumi (es. discoteca). È giusto accertarsi possibilmente della risposta in frequenza del proprio mezzo: se si comprano delle cuffiette da 5 euro in un negozietto non si potrà avere un grande risultato, per quanto il nostro cervello ci venga incontro cercando di ricreare ipoteticamente le frequenze incomplete o mancanti.  È doveroso ricordare che ci sono altri fattori molto più complessi per avere un ascolto ottimale, i quali possono essere tranquillamente approfonditi sul web o sui libri di teoria sonora.

Tornando all’aneddoto iniziale, eravamo su una Panda di dieci anni fa, con le casse originali Fiat e ascoltavamo una canzone in bassa qualità scaricata da un video non ufficiale di Youtube. Peggio di così non si poteva chiedere, quindi, a ripensarci, avrei potuto non dire nulla, intanto quell’opaco fruscio sarebbe stato coperto dalle mie stonature e per quelle non esistono rimedi.

Chi c’è dietro al colosso dei video musicali online? Ecco tutto a riguardo, comprese le specifiche tecniche che devono avere i video per essere pubblicati sulla piattaforma.

Vevo è il più famoso servizio musicale online di promozione video. Spesso lo troviamo su Youtube, anche se il suo primo indirizzo è il proprio sito web. Chi c’è dietro a Vevo? Questo servizio è legato ad un accordo commerciale tra tre case discografiche major (Sony, Universal e Emi) che si trovano sotto la bandiera della Abu Dhabi Media Company, con la quale hanno deciso di collaborare per portare online i propri contenuti audio.

Vevo: come pubblicare i propri videoCi sono accordi anche con Youtube, che permettono di distribuire su quel tipo di piattaforma il contenuto musicale tutelando le case discografiche, gli artisti e generando una situazione di totale convenienza per entrambe le parti: Vevo promuove i propri clienti tramite il suo potente brand e Youtube ha la possibilità di distribuire musica che sarebbe limitata contrattualmente. Questa soluzione è molto favorevole alla risoluzione, in parte, del value gap.

I canali di Vevo di ogni artista macinano visualizzazioni su visualizzazioni. Alcuni sono arrivati a toccare il miliardo, iniziano ad essere davvero tanti coloro che hanno superato il mezzo milione. Questo significa introiti, che potete monitorare (considerando un ampio margine di tolleranza) su Socialblade.

Non è possibile creare un canale Vevo gratuitamente. Per poter averne uno proprio è necessario far parte delle etichette discografiche partner, poiché è un servizio a pagamento con contratti ben definiti. Ci sono alcuni siti che hanno una partnership diretta con il servizio (ad esempio Vydia) che permettono di creare un canale Vevo anche se non si è legati a etichette discografiche, iscrivendosi alla versione Pro a pagamento. Ovviamente, in qualsiasi caso, devono essere rispettate alcune specifiche tecniche minime per la realizzazione, e la relativa pubblicazione, dei propri video ed in particolare:

VIDEO

  • Tipo di compressione: H.264
  • Formato file: .mov o .mp4
  • Dimensioni: 1920×1080 (preferito) o 1280×720. N.B: 16:9 e 4: 3 sono i rapporti d’aspetto preferiti. Fornirne di alternati rischia errori di letterboxing, scaling e stretching del contenuto.
  • Frame rate: minimo 29,97 fps (preferito) o superiore.
  • Bit-rate: consigliato di limitare il bitrate video a un minimo di 24 MB / s. Questo aiuterà a ridurre le dimensioni dei file, la codifica a lungo, l’esportazione e i tempi di trasferimento dei file. La velocità di bit non deve superare i 50 MB / s.
  • Il file deve essere deinterlacciato.
  • È consigliata la codifica a più passaggi, ma non necessaria.
  • Esportare tutte le codifiche utilizzando Compressor o Quicktime.
  • Non includere le liste frontali o finali , il titolo o i crediti, ecc.

AUDIO

  • Formato: AAC
  • Canali: Stereo (L R)
  • Frequenza di campionamento: 44.100 kHz
  • Velocità bit: 320 kbps CBR.

È amato e odiato, hanno tentato persino di copiarlo, eppure ogni volta va in cima alla classifica.

Fabio Rovazzi con Gianni Morandi: è di nuovo successo
Fabio Rovazzi nel video di Volare con Gianni Morandi.

Fabio Rovazzi è un artista poliedrico. Nasce videomaker, anche di alto livello e arriva al successo grazie ad una canzone comica, il tutto senza essere un cantante, come lui stesso ammette. Capite che, con una storia del genere, non si può che parlare di genialità guardando i risultati. Ma questo non basta, ci sono altri dettagli fondamentali da analizzare per capire quanto Fabio Rovazzi sia davvero un genio.

Partiamo da “Andiamo a comandare”. Questa traccia aveva tutte le carte in regola per diventare un successo e poi, con un po’ di fortuna, è arrivata oltre al suo target di riferimento, spopolando e coinvolgendo bambini e genitori. Ma quali sono stati i fattori vincenti di questo progetto? Intanto l’idea di fare un traccia coinvolgendo nel video tutti gli Youtuber più influenti. Questo è stato un colpo da biliardo, considerando che ogni creator si porta dietro milioni di visualizzazioni, era ovvio che mettendone molti nello stesso video i risultati sarebbero stati positivi. A questo punto bisognava garantire una grande musicalità al pezzo, quindi sono stati scelti Merk & Kermont, Sissa e Danti per la produzione e i testi, professionisti internazionali che hanno fatto un lavoro con i fiocchi. Punto numero tre: il balletto con le spalle. In questo caso bisogna andare indietro col tempo e aver seguito altri Youtuber (presenti nel video ufficiale) come Homyatol o Dread, che spesso, come lo stesso Rovazzi, lo hanno proposto nei loro video. Molto probabilmente l’idea si è unita al concept finale ed è stato inserito come “movenza ufficiale”. La divulgazione esponenziale che ha avuto il video ha fatto avere molto fortuna anche al balletto. Ultimo, ma non meno importante, il video, ciò ha contribuito a dare ancora di più un tono catchy al progetto.

Le mosse di Rovazzi, da grande conoscitore del web e dei relativi feticci ad esso legati, non sono casuali, anzi sono ben piazzate. Ecco tirare fuori dal cilindro Enrico Papi, il quale, dopo il ritorno in televisione con “Tale e Quale Show”, ha infiammato i social, già nostalgici da tempo della sua “Mooseca”. Con “Tutto molto interessante” si va a replicare la formula di “Andiamo a Comandare”, ancora una volta mostrando grande intelligenza e tattica. Intanto, proprio Enrico Papi è sempre stato uno dei personaggi con più meme sui social.

Poi il concetto ironico del «Ti mostro la vastità del ca… che me ne frega» è stato di tendenza proprio nei mesi antecedenti all’uscita della canzone, tanto che, guardando i vecchi video di Rovazzi, ne possiamo trovare uno a tema. È stata riproposta la formula della produzione, del testo e del video fatti all’occorrenza, qualità che non sono da prendere per scontate. Lo stesso Papi, dopo il successo di questa canzone, ha provato a fare il Rovazzi, scontrandosi con la dura verità: solo Rovazzi può continuare per quella strada, poiché lui ha l’intelligenza per creare progetti così vincenti, divertenti e ad alto tasso di condivisione.

Chi, da musicista o da purista, mette davanti l’orgoglio non riconoscendo la genialità di questo ragazzo è soltanto qualcuno che vuole nascondersi dietro ai soliti cliché del “la musica è tutta un’altra cosa”. Partorire delle idee come quelle che ha avuto Rovazzi gli fanno meritare assolutamente l’etichetta di artista, coerente ad un’ipotetica “new net-art”.

Chi, invece, ha colto l’alto tasso di genialità è stato Gianni Morandi, coinvolto in “Volare”, nuovo progetto vincente per le stesse identiche ragioni già citate. “Mi fa volare” è una frase che, guardando le storie di Instagram di Fedez e Rovazzi, è stata pronunciata migliaia di volte. Gianni Morandi, oltre ad essere una pietra miliare della musica italiana (non a caso il singolo si chiama “Volare”), è una leggenda sui social. La produzione di Lush & Simon è perfetta. Connubio al bacio.

Rovazzi non sarà un cantante, ma merita al cento per cento tutti i suoi successi e il ruolo di Re della Meme-Music. È lui un simbolo dell’importanza di avere grandi idee. Chi conferma di averne sempre più spesso può essere soltanto chiamato in un solo modo: genio.

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