Si è esibita al Forum una delle migliori band del momento. Questo è il racconto di come è andata.

Thegiornalisti ad Assago: un grande spettacolo
Thegiornalisti ad Assago: un grande spettacolo.

Ore 19.45. Appena arrivati ad Assago con la super seicento di Lucio, cerchiamo un posto dove mettere la macchina ansiati dal nostro consueto ritardo. Fortunatamente c’è ancora poca gente. Un ragazzo all’ingresso del parcheggio (che scopriremo poi essere un ambulante) ci dice che, con un’offerta libera di qualche euro, possiamo avere in cambio dei bellissimi e semplicissimi starlight per la coreografia che ci sarà durante una canzone. Accettiamo, anche se, a posteriori, dare un euro a testa presi dall’entusiasmo è stato come farsi stampare “scemo” sulla fronte, soprattutto quando successivamente all’interno vedremo le persone senza alcun accessorio per coreografie. Ma va bene così, siamo arrivati dopo tanti mesi di attesa, tutto è concesso.

Durante la breve coda all’ingresso del parterre, ci sorge un dubbio amletico (che non è né quello di Shakespeare, né quello di Gabbani) ovvero che i Thegiornalisti sono riusciti a riempire i palazzetti anche se non tutti li conoscono ancora. Fine dello spunto, siamo certi che dopo due sold out verranno ricordati con più facilità. Dopo questa breve elucubrazione, inizia a piovere e man mano ci fanno entrare sempre più velocemente. Siamo dentro e finalmente si ricongiunge parte del gruppo storico da concerti, quello del Parco di Monza di Ligabue: il sottoscritto, Lucio e Andre. Il fattore C è tale da farci trovare in prima fila a meno di un’ora dall’inizio del concerto , sensazione di goduria indescrivibile.

Calcutta inizia un dj set che ai più sembra anonimo, ma noi, da buoni amanti dei Pop X , cogliamo totalmente. Aver alternato trap e Panjabi MC dice tutto. È il momento degli Shazami, il duo composto da Federico Russo e Francesco Mandelli, in un’esibizione geniale. Fingendosi artisti stranieri di lingua inglese, ripropongono alcune chicche degli anni ’90 e ’00, alternandole ai classici stereotipi dei cantanti anglofoni tra una canzone e l’altra. Promossi.

Le luci si spengono e parte “Senza”. Suoni pieni, sembra di sentire la versione da disco. Il pubblico esplode, come farà ancora nel corso di tutta la serata. La precisione in ogni esibizione è perfetta, pensare che mi dissero tempo addietro che dal vivo non erano così convincenti. Tommaso Paradiso ha una presenza scenica tutta sua, ci sa fare sicuramente, è originale e ha un tipo di appeal dolce che si intona perfettamente con il mood del gruppo. Gli ospiti non risultano fondamentali nel concerto e anche questo è singolare, perché una band appena arrivata all’apice ti aspetti (sbagliando) che si faccia aiutare dagli ospiti a gestire la fatica concedendogli il palco, invece accade qualcosa di ancora più bello. Mentre i Thegiornalisti suonano insieme a Luca Carboni, Elisa e Fabri Fibra c’è alchimia e si percepisce l’umiltà e il rispetto nei confronti dell’esperienza di questi artisti, che si esibiscono rispettivamente in “Luca lo stesso”, “Proteggi questo tuo ragazzo”,“La Strada e le stelle” e “Pamplona”. A riguardo di quest’ultima, Fabri Fibra si dimostra un grande animale da palcoscenico: al primo saluto il Forum aumenta esponenzialmente la sua dose di carica.

Lo show continua ed è davvero bello vedere negli occhi di Paradiso, di Marco Rissa e di Marco Primavera la meraviglia nell’ascoltare l’eco dei cori da stadio nei ritornelli. Arrivati a “Completamente” il pubblico finisce di dare tutto quello che ha dato, è un momento di unione totale, una perla. A fine concerto la sensazione è quella di aver assistito a qualcosa che diventerà sempre più grande nel tempo. Le persone iniziano ad uscire dal Forum, tutti tranne noi. Noi aspettiamo di imbucarci all’aftershow di nascosto, ma questa è un’altra storia.

SCALETTA

Vendita vinili in crescita esponenziale così come lo streaming. CD e download in calo.

Vendita vinili in crescita
Si tornano ad amare ed acquistare i vinili.

Si è già parlato di fine della crisi della discografica e sicuramente una delle caratteristiche più interessanti di questo periodo storico è il ritorno in auge del vinile. Tutto è iniziato con l’hipster-mania, la quale ha dato il via alla moda vintage e successivamente tutti i settori dell’arte sono stati coinvolti da questo movimento. Per quanto riguarda la musica, sono state riprese sonorità come il funky o come i sintetizzatori old-style, adattando tutto questo alla modernità. Ma è proprio il concetto di “vecchio stile” a non essere più così corretto, perché la tecnologia moderna sta fondendo tutto creando qualcosa di innovativo, all’avanguardia.

Così arriviamo al vinile, che è in crescita esponenziale insieme ai servizi di streaming. Guardando alcuni dati di vendita degli LP negli Stati Uniti si è passati dai 4 milioni di pezzi venduti nel 2011 ai 13 milioni del 2014, mentre in Italia, nei primi sei mesi del 2016, si è registrato un +43% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Non solo, altre statistiche evidenziano come lo streaming abbia segnato un +30%, accompagnato da un +40% di incremento dei ricavi dagli abbonamenti, mentre il segmento fisico (che nel 2015 aveva dato segnali di ripresa) è sceso dell’8% così come il download, che ha perso il 24%. Lo streaming e il vinile, secondo FIMI, viaggiano sempre più in parallelo: «I consumi sono ormai sensibilmente cambiati con i fan che si muovono spesso integrando modelli di accesso e fruizione musicali differenti. Pensiamo ad esempio, alla diffusione dello streaming e del vinile tra i teenager: capaci di una dieta musicale che coniuga allo stesso tempo l’ascolto compulsivo di brani su servizi online, con l’acquisto di una versione limitata ed esclusiva del vinile».

Vendita vinili in crescita
I dati FIMI sulla vendita dei vinili.

È il semplice e puro collezionismo a far preferire di netto la copia in vinile rispetto al cd, talvolta senza ascoltarne il contenuto, perché già fruito in streaming.

Al fronte di un report fornito dalla Entertainment Retailers Association in cui, nella prima settimana di dicembre 2016, le vendite del vinile in Gran Bretagna hanno superato quelle dei download digitali (2.4 milioni di sterline contro i 2.1 milioni del digitale), la tecnologia si sta attrezzando per stampare al meglio più copie possibili. In Canada  è stata progettata e prodotta, per la prima volta da cinquant’anni,  una nuova macchina per la stampa di dischi, con sensori e materiali di avanguardia. Si chiama “WarmTone” di Viryl Technologies, 4mila dischi al giorno (quasi un milione e mezzo di pezzi all’anno su una sola linea) con una precisione che sarebbe stata inimmaginabile un tempo.

Vinile e streaming, questo sembra essere il futuro della musica. Chissà se Martin Scorsese e Mick Jagger, con “Vinyl”, avevano già capito tutto.

Nuovi dischi, nuovi artisti, tanti concerti. Stiamo andando verso una nuova età d’oro?

La fine della crisi discograficaSpesso si legge di quando i dischi si vendevano, le radio trasmettevano nuova musica, nascevano sempre nuovi artisti promossi dalle etichette e le persone andavano a sentire i concerti. Ma perché usare l’imperfetto per descrivere questa situazione? La crisi della discografia è finita, sono già stati scritti alcuni articoli a proposito, e a confermarlo sono i dati dell’International Federation of the Phonographic Industry (IFPI), che evidenziano quanto il business della musica sia cresciuto nel 2015 e nel 2016. Per capirci meglio, raramente vi sono stati dati così positivi dal 1977, anno in cui questo organo ha iniziato a monitorare il mercato musicale.

Certo, non si vendono più milioni di copie fisiche (almeno in Italia), ma il mondo è completamente cambiato, la tecnologia non è più la stessa, persino registrare un disco non costa più come negli anni ‘70/’80.

In più, ad oggi, non c’è più il negozio di dischi come unico venditore del prodotto, ci sono tanti e differenti digital store, dove si può comprare la copia fisica e digitale. C’è lo streaming, c’è Youtube, c’è la possibilità di guadagnare dalle pubblicità e dai click del proprio video musicali. Risolvendo la problematica del value gap aumenterebbero ancora di più le possibilità di guadagno online. Non dimentichiamoci dei talent, dei Festival nazionali e internazionali di musica e del ritorno in auge del vinile. E Mtv? Anche se non presente sul digitale terreste, è stata in parte soppiantata dalla radiovisione e attenzione a VH1, canale 67 del DTT, che passo dopo passo si sta avvicinando proprio allo storico modello della televisione musicale. Chissà se torneranno in voga i VJ e se il giornalismo musicale, da sempre creativo, riuscirà a sopravvivere rispetto al giornalismo classico, insediato dalla possibilità di bot intelligenti per la redazione delle notizie di cronaca.

La discografia major ha gli artisti più solidi e intelligentemente ha capito che può sfruttare le proprie risorse per gestire la distribuzione degli artisti delle etichette indipendenti. La scena indie è sempre più florida di nuovi artisti, le piccole etichette vanno alla scoperta di nuovi talenti e il movimento dei giovani emergenti è sempre più forte.

Se stavate rimpiangendo un periodo storico, potete anche fermarvi di farlo. Questi anni, molto probabilmente, saranno quelli che citeremo in una prossima, eventuale e lontana crisi della discografia. Godiamoci quello che abbiamo e che verrà, avremo molto da ascoltare.

Stop ai biglietti con prezzi inarrivabili. Ecco alcune soluzioni per poter ovviare al problema del secondary ticketing.

Secondary ticketing, cos'èIl secondary ticketing è il cosiddetto bagarinaggio online di biglietti dei concerti su siti e circuiti non ufficiali, un “male” legalizzato che in molti stanno cercando di debellare dal mondo della musica. Sono stati scritti molti articoli a proposito, una delle ultime notizie è che la Barley Arts di Claudio Trotta, tra i pionieri in questa lotta, ha annunciato il grande successo dell’introduzione del biglietto nominale sui circuiti ufficiali di vendita Ticketone e Vivaticket in occasione del concerto dei Queen del 10 novembre all’Unipol Arena di Casalecchio di Reno (Bologna). Questo grande passo avanti ha sconfitto quasi totalmente le concorrenti scorrette. Ma quali possono essere alcune possibili future soluzioni? Ecco i consigli di Musica361.

Posto il biglietto nominativo venduto come accade canonicamente, i circuiti ufficiali potrebbero:

  1. Chiedere agli utenti di ufficializzare l’acquisto tramite una conferma definitiva richiesta entro una quindicina di giorni dal concerto, in modo da riaprire un’ultima sessione di vendita nel caso di disponibilità di alcuni posti. Coloro i quali non dovessero confermare (restituendo il biglietto acquistato) avrebbero indietro i soldi spesi, tolta una piccola percentuale di “penale” per le operazioni di rivendita. Questa soluzione permetterebbe di avere una stima concreta dei partecipanti e gli acquirenti dovrebbero passare per forza da circuiti ufficiali per la rivendita dei biglietti.
  2. Aprire un portale online interno completamente dedicato alla rivendita dei biglietti. Dentro al portale nessun utente avrebbe la possibilità di guadagnare dalla vendita del titolo acquistato, ma il tutto servirebbe soltanto per riavere indietro la somma spesa facendo acquistare il proprio biglietto da un altro utente, fino ad un giorno prima del concerto. Ovviamente, nel caso in cui questo non accadesse, non vi sarebbe altra possibilità di rivendita, poiché il biglietto avrebbe il nominativo dell’acquirente. Per coloro che avessero comprato i biglietti offline, ogni negozio ufficiale si potrebbe occupare dell’assistenza al cliente nella messa online dei propri biglietti da rivendere.
  3. Queste due soluzioni potrebbero cambiare completamente il business dei biglietti, eliminare le concorrenze sleali, garantendo al cliente fiducia e affidabilità da parte dei circuiti ufficiali di vendita.

Fenomeno di Fabri Fibra, il nuovo disco che ha tutte le carte in regola per essere considerato una pietra miliare.

Fenomeno di Fabri Fibra, la recensione
Fenomeno, il nuovo disco di Fabri Fibra.

Nel mondo della discografia, uscire con un disco equivale metaforicamente a partorire un figlio. Ogni nuova creazione va a modificare il genere, sposta l’ago della bilancia verso le nuove tendenze. Fabri Fibra non solo è un nome importante dell’hip hop italiano, è colui che ha permesso a questo genere di essere così seguito nel nostro paese. Per questo, il successo di questo album, lo si può trovare nelle tracce e nella storia di Fibra.

Quando nel 2006 il singolo “Applausi per Fibra” iniziò a spopolare, il rap non aveva certamente l’eco che può avere oggi. L’hip hop era relegato all’underground e ciò che il pubblico mainstream poteva aver sentito maggiormente in Italia erano gli Articolo 31 o i Sangue Misto. Tutto il resto, anche se esistente, non era conosciuto da tutti, non passava in radio, non passava su Mtv. Le punte di diamante del genere erano gli idoli americani di quel periodo, per lo più Eminem, 50 Cent, Snoop Dogg, Dr. Dre e molti altri. Ma nel 2006, come accennato, arriva Fabri Fibra e sbanca tutto. Lo si poteva tranquillamente capire accendendo la televisione, sentendo i ragazzini pronunciare la frase: “Mangiavo lucertole aperte da ragazzino”. Testi crudi, diretti, metafore non comuni alla scena italiana, così “illusa” dall’amore e dagli argomenti affini. Questo ha aperto la strada a quello che poi è diventato il mainstream dell’hip hop, con i Club Dogo, Marracash, ma questa è un’altra storia.

Così nel 2006 inizia il percorso di Fibra, che nel corso degli album ha spesso inserito tematiche ricorrenti come un leitmotiv da seguire. Sicuramente si è potuto leggere un malessere di fondo nei confronti di diversi fattori: la famiglia, la società, la politica, la televisione, l’informazione e il rap game. È proprio questo percorso, che culmina con Fenomeno, ad essere sempre più definito grazie ad un nuovo tassello aggiunto al puzzle,  il quale continua a comporre il messaggio da inviare che sta costruendo il rapper nel corso degli anni.

I quaranta anni all’anagrafe si sentono nella maturità delle scelte stilistiche, nel rap da Fibra sulle basi trap dell’avanguardia, trattando argomenti paralleli alla propria età senza voler sembrare un ragazzino. L’intelligenza si trova anche nel featuring con i Thegiornalisti, Pamplona, molto probabilmente prossimo singolo estivo, un’unione tra il futuro delle classifiche italiane e chi ne ha sempre fatto parte.

Questo disco diventa fondamentale considerando il momento storico che sta vivendo l’hip hop italiano, dove la nuova scuola trap si sente pronta a fare le scarpe ai vecchi idoli senza guardarsi indietro. Avendo in mente questa immagine, mentre si ascolta il disco sembra che Fibra, tra le righe, stia spiegando che chi è un fenomeno trapassa le generazioni, annullando il concetto di vecchia scuola e nuova scuola.

Si è parlato di un percorso scritto negli album, di un malessere di fondo dell’artista, di un messaggio da mandare. Si capisce che Fenomeno sia un disco che merita lo stesso appellativo del suo nome arrivati all’ultima traccia, Ringrazio, dedicata ai problemi relazionali che Fibra ha con sua madre. È un pugno allo stomaco. In un attimo tutte le pedine sembrano al proprio posto, tutto diventa così improvvisamente chiaro. Allora si capisce da dove provenga tanta rabbia, l’apertura a capire perché ci sono determinati meccanismi sociali che dal micro della famiglia sfociano nel macro della società, nella disinformazione, nella mala-politica. Fibra è un quarantenne che ha avuto il coraggio di guardarsi allo specchio ed esternare il dolore di aver avuto delle problematiche familiari così difficili, l’ha inciso, l’ha detto a tutti, ha sfidato i suoi mostri. Fibra si conferma un rapper con i contenuti, che ha qualcosa da dire, che avrà sempre qualcosa da dire. Un fenomeno.

Bufera talent, dopo lo scontro Morgan/Amici di Maria De Filippi sono uscite indiscrezioni interessanti e altrettanti spunti di riflessione.

Bufera talent: il bene, il male e i traumi psicologici post-show“Vogliamo parlare di quanti sono dallo psicanalista?”, queste le parole di Red Ronnie a cui arriveremo tra poco. Ci sono volute settimane per assorbire la mole di polemiche nate tra Morgan e Maria De Filippi/Amici. Ci sono volute settimane, soprattutto, per sviluppare un pensiero razionale, a freddo. Cerchiamo di fare chiarezza andando nel dettaglio.

I talent sono il male della musica? Forse, ma non lo sono sempre stati. Dobbiamo fare un passo indietro e ricordarci quando sono nati questi format televisivi.

Di conseguenza alla nascita del reality show, nacque il talent show all’inizio degli anni 2000 (Saranno Famosi, in arte Amici di Maria De Filippi, iniziò nel 2001). La musica, in quel periodo storico, stava attraversando un momento devastante dovuto alla dematerializzazione delle tracce musicali (dal vinile al file): la musica digitale iniziava ad essere scaricabile in rete, nacque l’iPod e il mondo della discografia era in difficoltà perché massacrato dalla pirateria.

Quindi, in un’epoca in cui la televisione era ancora il media per eccellenza, i talent show hanno restituito aria alla discografia, ma soprattutto hanno fidelizzato il pubblico, hanno trasmesso un chiaro messaggio: tra di noi si sono sempre nascosti talenti incompresi e i talent avranno solo il “dovere” di farli fiorire.

Grande cosa, che ha spopolato, ha dato nuovamente autorità alla musica, ha prodotto concerti, vendita di copie, ma soprattutto ha dato mordente a tutte le generazioni del mondo, spingendo ad affezionarsi nuovamente alla musica. Poi, con il passare degli anni, le dinamiche televisive sono diventate devastanti (soprattutto per coloro che sono arrivati dal secondo posto in giù). Solo adesso, dopo quindici anni circa, stiamo avendo un percorso parallelo vincente di musica indipendente, ma è dovuta cambiare la musica e sono dovuti cambiare i media (con lo spostamento dell’attenzione su Internet e la nascita di Facebook, Youtube, Spotify, etc.).

Ad oggi i talent non sono più necessari, non sono fondamentali, sono uno spettacolo di emotainment, che utilizza le esperienze di alcuni ragazzi talentuosi per costruirci un percorso discografico. Prima ancora di ascoltare un inedito, milioni di persone sono a conoscenza di drammi familiari e problematiche di vita di un piccolo artista, le quali determinano automaticamente un fattore affettivo che si ripercuote sul legame pubblico (adolescenziale/genitoriale)-artista.

Arriviamo a Morgan, artista poliedrico, purista della forma e dello stile, che forse ha sempre avuto come missione quella di sfruttare lo strumento televisivo per divulgare conoscenze musicali. Esagera quando, in diretta su Facebook, parla di “assistenti sociali” da mandare all’interno dei talent. Racconta di casette senza finestre (quando hanno un giardino a disposizione), ma lo spunto che dona non è errato: chi si occupa della psicologia e dei traumi post-talent dei concorrenti? Red Ronnie, nella versione integrale dell’intervista fatta alle Iene per la bufera con Emma Marrone, ha ricordato quanti bambini hanno avuto problemi dopo i talent show canori per ragazzini. La stessa cosa per molti artisti, bollati come “finiti” dopo un disco o finiti improvvisamente nel dimenticatoio dopo la sola partecipazione ai format.

Citando testualmente le parole nel video (minuto 20.30 circa): “Vogliamo parlare dei bambini? Vogliamo parlare dei talent sui bambini? Vogliamo parlare di quanti sono dallo psicanalista? Vogliamo raccontarlo? Una volta mi chiamò il papà di una bambina, disse:

Papà: dobbiamo trovare un palco a mia figlia, lei ha avuto grande successo, ha cantato davanti al Papa.
Red Ronnie: e quindi?
Papà: e adesso cosa le facciamo fare? Lei è nervosa.
Red Ronnie: lei ha avuto successo e gli altri che non hanno avuto successo?
Papà: sono tutti dallo psicanalista.

Abitui un bambino che tutti lo applaudono, i bambini a scuola lo riconoscono, eccetera, poi improvvisamente… Tu fai le Iene (riferendosi all’intervistatore), tutti ti riconoscono, “Ehi, Ciao!”, poi non te lo fanno più fare, arrivano tutti a dirti: “Non fai più tv? Come mai?”. A te fa male, immagina ad un bambino. Che danni gli crei?”.

Quanto può essere devastante questo meccanismo a qualsiasi età? Essere nessuno sei mesi prima e avere improvvisamente migliaia/milioni di seguaci (online), poi chi vince (forse) riesce a fare carriera, (forse) riesce ad avere persone ai concerti, mentre per tutti gli altri che ripercussioni ci sono (psicologiche e lavorative)? Sono effettivamente domande da porsi, perché se ci si lega ad un artista dopo averlo spogliato a nudo delle proprie fragilità pubblicamente, che diritto c’è di abbandonarlo al proprio destino? Ecco perché ad oggi la formula del talent non appare così positiva come un tempo e probabilmente Morgan l’ha capito.

Il fattore contraddittorio è che lui resta uno dei pochi “giudici” ad aver partecipato a più show dello stesso format, quindi sarà sempre difficile credere a chi ha sputato nel piatto in cui ha mangiato. C’è anche da ammettere che, se non lo fa chi ha guardato entrambe le facce della medaglia, chi lo deve fare?

Insomma, la verità sicuramente giace nel mezzo e sarebbe sbagliato generalizzare. Gli spunti involontari su ciò che possano provare psicologicamente i partecipanti a questi show sono sicuramente da considerare, da non tralasciare, per capire, da spettatori intelligenti, quanto possa essere positivo o negativo tutto questo.

“Uno su mille ce la fa, ma quanto è dura la salita” cantava Gianni Morandi. Secondo voi la salita è più dura con gli amplificatori sulle spalle e con i riflettori spenti oppure a riflettori accesi ma col rischio di non salire più?

Le cover indie sono il suo pane quotidiano e il suo pubblico continua ad aumentare, anche nei live. Ecco chi è Asia Ghergo.

Chi è Asia Ghergo, la ragazza delle cover
Asia Ghergo.

17 anni, di Civitanova Marche in provincia di Macerata, Asia Ghergo frequenta il liceo classico. A primo impatto sembra essere la classica storia delle prime passioni che anticipano la maturità, quando si imparava a suonare la chitarra per animare i falò sulla spiaggia. In realtà c’è molto di più. Asia ha talento, ha orecchio e ha quell’intelligenza comunicativa (non per forza intrinseca nelle nuove generazioni) per capire quale contenuto proporre al suo pubblico. Ed ecco che il sottoscritto, ascoltando musica indie, è finito su un suo video, che ne ha fatto aprire conseguentemente un altro e un altro ancora. Rapito da questo magnetismo, l’ho contattata e l’ho intervistata, ma la verità è che volevo semplicemente complimentarmi con lei.

Come è nata la tua passione per la musica? Da quanto suoni?
Non suono da tanto, penso che si senta ancora, ho imparato tutto da sola a quindici anni. La chitarra me la regalarono a Natale del 2008, solo che per un po’ di tempo è rimasta nell’angolo a prendere la polvere. Poi l’ho riscoperta perché ho voluto suonare dei pezzi che ascoltavo, la prima canzone che ho imparato è stata Creep dei Radiohead. Magari all’inizio ci mettevo sei mesi ad impararne una, poi piano piano sono migliorata.

Sui social la pagina sta spopolando, ti aspettavi questa crescita?
Non me l’aspettavo assolutamente. Penso che sia tutto dovuto alla cover di Cavallini (della Dark Polo Gang ft Sfera Ebbasta), prima di pubblicarla avevo 1500 like e nel corso delle settimane sono esplosi. La mia è stata un po’ una tecnica di marketing, alla fine io non sono una grande ascoltatrice della Dark Polo Gang, loro sono dei personaggi, degli showman, non sono il mio genere, però mi sono detta: “Chi lo farebbe mai? Nessuno” allora lo faccio io. Poi le persone in generale hanno dei pregiudizi musicali, dovremmo avere tutti una visione più aperta.

Tu invece cosa ascolti?
Prevalentemente indie italiano, solitamente faccio le cover di ciò che ascolto. Quando scopro un pezzo che non conoscevo lo ascolto per giorni e poi faccio la cover. Ascolto anche indie rock inglese e americano, ad esempio The Strokes e The Kooks.

Cerchi gli accordi online o le arrangi da sola?
Di alcune non si trovano e le faccio ad orecchio, di altre invece prendo quelli online.

In casa come è stato preso il tuo successo?
Mio padre sapeva dei video e sapeva che suonavo la chitarra, non si era reso conto della cosa finché non è andato a vedere le visualizzazioni sul canale YouTube e i like sulla pagina Facebook. Anche mia madre è molto contenta, entrambi sono felici che venga molta gente a sentirmi live.

Cosa ne pensi dei talent show?
Molte volte mi sono sentita dire: “Che brava con la chitarra, vai ad Amici/XFactor”. Io non disprezzo i talent, li guardo, per me sono show televisivi, sono programmi, sono consapevole che sia tutto scritto. Se mai mi dovesse capitare di andare in uno di questi programmi o partecipare ad un provino lo farei per la visibilità che potrei ottenere. Mi piace arrivare al prossimo.

Mi sembra che tu ci stia riuscendo.
È successo tutto così velocemente che ho paura di vedere la candela bruciare troppo in fretta.

Ora che il progetto si sta ingrandendo, cosa pensi del tuo futuro artistico?
L’idea di fare le cover è nata volendo mostrare cosa sapevo fare, di conseguenza tutto questo sta preparando il terreno per un futuro mio EP. Ho iniziato a registrare alcune canzoni che ho scritto, quando saranno finite le metterò sul canale.

Da circa due anni lo streaming musicale è nelle classifiche dei singoli e contribuisce alle certificazioni FIMI.

Disco d’oro per lo streaming: come si vince?A volte mi accorgo di essere maniacale sui dettagli musicali, tanto che mi capita anche con gli amici di provare entusiasmo per qualcosa che effettivamente incuriosisce soltanto me. Ad esempio, quest’estate c’è stato il boom di “Andiamo a comandare”, che ovviamente ho seguito con molta curiosità. Quando Rovazzi ha vinto il Disco d’oro grazie allo streaming, ho parlato dell’argomento con qualche amico, sia per il gran caso mediatico che aveva suscitato questa canzone, sia perché in Italia sia parlava finalmente di un premio per gli ascolti in streaming e, tra le tante risposte, similari a un: “E quindi?”, qualcuno mi ha chiesto cosa fosse il Disco d’oro.

In effetti, se una persona non è strettamente interessata alla musica, il Disco d’oro e il Disco di platino possono essere due nomine casuali, mentre invece sono davvero importanti, soprattutto oggi che di dischi se ne vendono pochi.

Il Disco d’oro e il Disco di platino sono due certificazioni della FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) e per averle è necessario vendere un certo numero di copie. La stima cambia per ogni nazione. In Italia un album è certificato oro se vende almeno 25.000 copie, platino con 50.000. In USA, ad esempio, i numeri sono molto diversi, 500.000 per l’oro e 1.000.000 per il platino, a causa della differenza del bacino di utenza che ha la musica nei diversi paesi. Ma tornando all’Italia, guardando le stime di queste importanti certificazioni, è incredibile come, su sessanta milioni di cittadini, con “sole” trenta mila copie (comprendendo i profitti online) si possa raggiungere un traguardo del genere, sintomo di quanto si siano ridotte le vendite.

A tal proposito, grazie all’avvento dello streaming, negli ultimi due anni i dati degli ascolti sui singoli servizi gratuiti e a pagamento sono entrati nelle classifiche di vendita dei singoli, con un fattore di conversione di 100 stream per 1 download per rendere compatibili i due modelli di business (Fonte: FIMI).

La questione è molto importante, perché lo streaming, che teoricamente dovrebbe rispecchiare la meritocrazia musicale, diventa un fattore fondamentale nelle certificazioni oro e platino, un grande punto di partenza che permette ad artisti emergenti di avere maggior respiro di prima e ad artisti molto seguiti di avere la considerazione che meritano. Sembra esserci stato un passo avanti soprattutto nei confronti degli artigiani della musica, con un’attenzione che relaziona direttamente ascoltatore e artista. I risultati si vedranno negli anni.

Emanuele Dabbono, cantautore che, dalla provincia genovese, è arrivato fino alle prime posizioni della classifica della musica italiana. Scive per Tiziano Ferro.

Emanuele Dabbono, cantautore che scrive per Tiziano Ferro
Emanuele Dabbono, cantautore

Emanuele Dabbono è un artista umile e talentuoso. Autore per Tiziano Ferro, ha contributo ad “Incanto”, doppio disco di platino, e a tre nuovi inediti contenuti nel nuovo album “Il mestiere della vita”: “Il conforto”, “Valore assoluto” e “Lento/Veloce”.

Come stai vivendo questo periodo legato all’album “Il mestiere della vita” di Tiziano Ferro?
È il momento più alto della mia carriera, nemmeno quando ero in finale ad XFactor avevo ricevuto un’attenzione mediatica simile. Far parte della scrittura di tre brani di un disco che arrivato primo in classifica è un orgoglio personale, ricordando che vengo dalla provincia, da diciotto anni di gavetta. Penso che la mia storia sia romantica, non sono stato quello che pesca il jolly a vent’anni, ma al doppio dell’età questo risultato ha sicuramente un gusto diverso.

Ancora prima di XFactor avevi calcato palchi importanti con i Black Eyed Peas, John Legend, Avril Lavigne e molti altri. Il tuo attuale successo non è legato strettamente al talent. Cosa consiglieresti ad un artista all’inizio del proprio percorso?
Prima di qualsiasi talent o concorso indie, il mio consiglio è quello di crearsi una cultura musicale. Tanti ragazzi che incontro oggi non conoscono chi sono Bruce Springsteen, Van Morrison, non hanno mai preso uno strumento in mano, non sanno addirittura che tipo di musica vogliono fare o non scrivono canzoni, che secondo me è la cosa più triste e grave, perché l’era degli interpreti ha i giorni contati, i dati parlano chiaro, le persone che vanno avanti sono coloro che non solo ci mettono la faccia, ma anche la musica e le parole. Dopo essersi creati un’identità e un percorso va bene tutto, vanno bene anche i talent, perché se sai chi sei nessuno potrà trasformarti. Il problema è se ci vai a vent’anni, in balia delle circostanze e delle mode imperanti, rischiando di uscire come non sei.

Hai fatto parte di “Genova per voi” (concorso per autori) insieme a Franco Zanetti (direttore di Rockol). Cosa pensi della sua iniziativa di proporre alle televisioni di citare nei programmi musicali i nomi degli autori per dare rilievo a questa parte importante della musica italiana?
Sarebbe trionfale se accadesse non solo per il Festival di Sanremo. Per quanto mi riguarda penso di essere un super privilegiato, perché Tiziano cita sempre il mio nome dappertutto. Questa è una cosa più unica che rara e non voglio che passi come dovuta, perché non è così. È un gesto molto umile.

Che rapporto hai con Tiziano?
Posso dire che siamo amici, l’ha detto anche lui. Ci conosciamo da vent’anni. Avevamo fatto l’Accademia della canzone di Sanremo nel 1998, arrivammo praticamente infondo, ma non sul palco dell’Ariston. In quell’occasione, Alberto Salerno, un autore bravissimo e importantissimo che ha scritto Terra Promessa, Io Vagabondo e molte altre, ci mise sotto contratto. Io venivo dal rock, lui dal R&B bianco, poi lui è diventato una stella da milioni di dischi e io ho fatto una lunga gavetta “nei peggiori bar di Caracas” (ride). Il suo talento non mente, si è meritato ogni successo. Mi fa piacere che lui si sia ricordato di me: l’ho rincontrato in finale ad XFactor nel 2008, lui aveva scritto con Roberto Casalino “Non ti scordar mai di me” per Giusy Ferreri, mi fece i complimenti per il brano e mi disse che mi avrebbe tenuto d’occhio. All’inizio pensavo fosse una di quelle cose che si dicono, invece si dimostrò umano e leale, cinque anni dopo ricevetti la chiamata per lavorare con lui come autore e tutto cambiò.

Quali sono le prossime tappe della tua carriera da solita?
Per quanto riguarda il 2017 ci sono i tre brani che ho scritto per lui, che spero vedano un po’ di mood radiofonico. Ho intenzione di lavorare sul mio nuovo disco, ricreando le atmosfere folk irlandesi in acustico, nonostante la mia predilezione rock. Vorrei realizzare qualcosa che non abbia la fretta di uscire, senza la necessità di essere in classifica. Visto che la carriera autoriale mi sta portando tranquillità e sicurezza, vorrei avere la libertà di esprimermi. L’album avrà uno stile alla Damien Rice, un po’ più moderno.

Citi spesso la Liguria, cosa ti è rimasto più impresso della tua terra nel corso degli anni, anche artisticamente?
Sono nato in provincia di Genova, a Campomorone, il primo paese fuori dalla giurisdizione genovese. Sono cresciuto in campagna e sono fiero di venire da un paesino, il quale, con i suoi pro e i suoi contro, ha formato la mia mentalità: essere riservato, un po’ schivo, avere un’attenzione alla tradizione e ai buoni valori. Non mi ritengo assolutamente il rocker selvaggio, ritengo che questo genere lo si possa fare anche con gentilezza e dolcezza. Guardavo Genova voltata, sempre da lontano, da qui il titolo del mio libro “Genova di spalle”. Adesso mi fa molto piacere quando mi associano alla “nuova scuola genovese” dei cantautori (l’intervista peraltro è stata condotta il giorno in cui è scomparso Fabrizio De André, esponente storico della scuola genovese).

Dal punto di vista artistico, oltre a Tiziano Ferro, chi ascolti al momento?
Seguo da sempre Niccolò Fabi, che reputo una delle penne migliori in Italia. Come influenze, invece, sono uno “springsteeniano” totale, mi piace il rock americano, amo la musica irlandese e di recente mi sono fatto una cultura personale su John Mitchell, Tom Waits e Ryan Adams.

La cover di Wonderwall che ha fatto Ryan Adams è un pezzo pazzesco.
Lo stesso Noel Gallagher ha detto che avrebbe voluto farla così (ride). Un complimento migliore non poteva esserci.

La digitalizzazione musicale ha portato maggior fruizione del prodotto, ma ricavi differenti. A causa del value gap pare che molte canzoni non beneficino dei propri diritti.

Value gap: monetizzazione insufficiente dei contenuti musicaliDa quando il digital è entrato a far parte dell’industria musicale, i ricavi sono cambiati notevolmente. Il primo rovescio della medaglia della digitalizzazione è stata la pirateria informatica, la quale ha iniziato un percorso parallelo alla canonica fruizione del prodotto discografico.

Nel concetto di pirateria è implicita la domanda: “Perché devo pagare se posso averlo gratuitamente?”, l’unica risposta plausibile la si può trovare nell’etica. Come non è eticamente corretto evitare di pagare un muratore che ha costruito una casa, allo stesso modo non è giusto snobbare il lavoro di un artista e di tutti i suoi collaboratori.

In tutto questo, c’è da dire che la pirateria è sempre stata vista come un gesto consapevole dell’utente, che decideva di scaricare una traccia senza passare da iTunes. Poi è nato Youtube e il mercato è cambiato ancora di più. Le vendite dei CD si sono abbassate, ma l’ascolto della musica è paradossalmente aumentato. Questo perché Youtube ha dato vita ai “Creator”, i creatori di contenuti, utenti che possono intrattenerne altri gratuitamente e in qualsiasi modo. A tal proposito, tra video di gattini e cover musicali, hanno preso vita i “Lyrics Video”, canzoni con il proprio testo riproposto in formato video, in puro stile karaoke. Questa è stata la vera rivoluzione, perché, rispetto alla pirateria, tutto questo era legale (e lo è ancora).

Arriviamo ad oggi, 2017, epoca in cui si ascolta musica in ogni modo e maniera, tanto che dal 2015 i ricavi della musica digitale hanno superato quelli del mercato fisico. Tra streaming e video si è sollevata una questione molto delicata in materia di business musicale: il value gap. In breve, il mercato discografico trova sconveniente che alcuni utenti, su piattaforme come Youtube, abbiano caricato canzoni da cui non arrivano introiti, mentre alla piattaforma proprietaria arrivano eccome. Quindi, secondo l’industria, Youtube incasserebbe tramite la pubblicità e le visualizzazioni, destinando un somma di denaro inferiore (o nulla) a chi detiene i diritti del creato.

Per combattere questa “discriminazione remunerativa” molti artisti hanno firmato e inviato una lettera alla Commissione UE, tra questi vi sono i Coldplay, gli Abba, Lady Gaga, Duran Duran, Ed Sheeran, i Maroon 5, Bruno Mars, Christina Aguilera e tanti artisti italiani tra cui Zucchero, J-Ax, Annalisa, Biagio Antonacci, Daniele Silvestri, Fedez, Federico Zampaglione, Fiorella Mannoia, Gigi D’Alessio, Elisa, Eros Ramazzotti, Laura Pausini, Enrico Ruggeri, Francesco De Gregori, Tiziano Ferro, Subsonica, Il Volo, Piero Pelù, Emma Marrone, Samuele Bersani e molti altri (Fonte: Repubblica).

Youtube si è difesa spiegando che la maggioranza delle etichette e degli editori ha accordi di licenza in essere con il sito e che nel 95% dei casi sceglie di lasciare i video caricati dai fan sulla piattaforma per trarre guadagni da essi. L’opinione dei musicisti è molto diversa, al punto da mettere sotto accusa il Content ID, sistema che consentirebbe a Youtube di identificare i contenuti protetti caricati in modo da offrirne la monetizzazione agli artisti.

Viste le problematiche legate a questo sistema e al suo relativo algoritmo, il quale sembra non riuscire ad identificare tutti i caricamenti da monetizzare, gli artisti sarebbero costretti a segnalare i contenuti da monitorare “manualmente”, qualcosa di impossibile considerando l’immensità del web e di questi servizi. La tutela di queste piattaforme è dovuta al Safe Harbour, una normativa introdotta nel 2000 che permette l’utilizzo online di opere protette da copyright per fornire un servizio ai consumatori. Per il mondo della discografia il Safe Harbour non permette di garantire i giusti compensi al mercato musicale.

La questione è scottante e non sappiamo ancora in che modo si risolverà. Nonostante la musica sia in un periodo ascendente, ogni singolo ascolto in un servizio di streaming/video favorisce la fruizione, ma diminuisce le probabilità di vendita. Ormai accade di rado di comprare un disco senza averlo prima ascoltato in streaming. Se un tempo un album poteva costare mediamente intorno ai 15 euro, oggi con iTunes si trova a 9,99 euro e se lo ascoltiamo tutto in streaming il valore per ogni visualizzazione si abbasserà ancora di netto. Se foste un artista che ha speso 10.000 euro per la produzione di un disco, cosa pensereste vedendo il vostro lavoro valutato dagli 0.006 agli 0.0080 euro per ascolto?

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