The Jab: il gruppo canavesano che si è esibito sul palco di Ligabue ha talento e originalità.

The JabLa prima volta che ho visto esibirsi i The Jab è stato al Liga Rock Park di Monza. Erano una delle band vincitrici del contest indetto da Regione Lombardia, che permetteva ai quattro vincitori di esibirsi sullo stesso palco di Ligabue, di fronte a migliaia di persone, con annessa cospicua somma di denaro regalata dalla Siae a sostegno della musica. Mica male. Come molte persone quel giorno, mi ero appena alzato dal prato del Pit quando annunciarono la loro esibizione. Stanco e adrenalinico allo stesso tempo, forse più curioso di altri di sentire questa band, ma sicuramente pronto psicologicamente a non ascoltare qualcosa di innovativo.

Pensavo male, la band giovanissima formata da Alessandro De Santis (voce e chitarra), Davide Dezzutti (batterista), Kevin Santoro (chitarrista), Davide Vigna (bassista) e Mario Francese (tastierista) mi ha stupito. Già nel soundcheck antecedente al loro brevissimo concerto avevo notato un uso particolare delle sequenze elettroniche e dei synth, che effettivamente sono stati capaci di coniugare in un modo molto originale, mixando il rock con l’elettronica. U

n’altra peculiarità è stata quella di utilizzare bassline molto profonde, simili all’uso che se ne fa nell’hip hop, ma rimanendo comunque nella branca del rock. Come vi ho detto, mi hanno stupito. Regina, la canzone che ha permesso loro di partecipare e vincere il contest, è una traccia dedicata alla violenza sulle donne. Alessandro De Santis (voce e chitarra), autore del brano, ha dichiarato, in un’intervista al programma radiofonico Retweet su Campuswave Radio, di aver scritto questa canzone dopo aver sentito la notizia di un femminicidio al telegiornale. La sua volontà è di esortare le donne a riprendersi la vita in mano dopo essere state maltrattate.

Il vero colpo da biliardo, secondo me, è stata Luna, una traccia che non è ancora disponibile online, ma sono certo che farà strada, perché ha coinvolto molti ragazzi del palco di Monza (oltre al sottoscritto), sicuramente un pubblico non facile vista l’attesa per tanto tempo su un prato.

Sentiremo ancora parlare dei The Jab, nel frattempo la loro prossima esibizione è al “Maker Faire” di Roma, il 14 Ottobre. Tutte le informazioni le trovate sulla pagina social: www.facebook.com/thejabofficial

Vicissitudini al “Liga Rock Park” di Monza nella giornata di domenica 25 settembre.

Liga Rock Park di Monza, Luciano Ligabue
Un momento del Liga Rock Park a Monza.

È domenica, sveglia alle otto e mezza. Non è la solita sveglia però, c’è qualcosa di diverso. Intanto non bisogna andare a lavorare, grande cosa, e poi difficilmente capita di svegliarsi a casa di un amico (Andre) con qualcuno che ti aspetta sotto il portone a motore acceso. Giusto il tempo di prepararsi, un saluto dalla finestra, che scorgo Lucio e Cri giocare a pallone su un marciapiede di Cimiano (MI), con tanto di birra calda in mano, rigorosamente di una sottomarca sconosciuta.

Siamo caldi?” – mi chiede Lucio – “Caldissimi!” – rispondo io. Parole d’ordine esatte e quindi partenza all’istante per Monza su una Peugeot 206 grigia, direzione Liga Rock Park. Durante il viaggio accadono le classiche peripezie di quando quattro amici si trovano in macchina: sbagliare strada dall’entusiasmo, inveire contro il navigatore e successivamente contro la signorina elettronica del casello, pacche sulle spalle, discorsi di sport, discorsi sulle donne da veri uomini virili e subito dopo discorsi sulle sofferenze da veri polli. Ma non c’è tempo di trovare un argomento decente che già siamo a Monza, un vigile ci dirotta su un’altra strada e le forze dell’ordine ci fermano per un controllo: “State andando al concerto?” – “Si!” – rispondiamo all’unisono, tutti con la stessa voce, solo e soltanto perché in divisa ci spaventerebbero anche le nostre mamme, pur sapendo di aver comprato la macchina ieri.

Scendiamo dall’auto non avendo la più pallida idea di dove sia l’ingresso di Porta Vedano, ma a naso siamo vicini. Comprati i panini districandosi tra i venditori abusivi di sciarpette, acquistiamo le maglie dal merchandising originale (che per un genovese è sempre un colpo al cuore) e ci dirigiamo verso il Pit BarMario. Sapevo che saremmo arrivati vicini al palco, ma così vicini non potevo immaginarlo: a soli dieci passi dalle transenne, sulla sinistra del palco! Finalmente sarei riuscito a scorgere qualche espressione dal viso di Ligabue nonostante la mia bassa statura.

Mi giro dai ragazzi e subito Lucio e Cri, il gatto e la volpe di questa storia, mi istruiscono sul come marcare a zona la postazione ottenuta nel Pit, prima che qualche bellimbusto ci superi senza averne il diritto (come se noi ne avessimo qualcuno, peraltro). Trascorriamo le sei ore sotto l’ultimo sole di settembre distesi l’uno sulle giacche dell’altro (perché senza asciugamani), a fare i turni per dormire (io e Andre) o a seguire la Serie A (Lucio e Cri), ed è già sera. Il tramonto avanza sulle migliaia di ragazzi nel parco di Monza e ad aprire il concerto ci sono due band delle quattro vincitrici al “Liga Rock Park Contest”: I “Dei degli Olimpo” e i “The Jab”.

Scaldiamo le mani con i primi applausi e il palco inizia ad accendersi. Sono già le 20.30, l’attesa è finita. In cinquantamila a fissare il palco, tutti in maniche corte, sembra che il tempo atmosferico non esista nemmeno. Escono Michael Urbano (il batterista), Federico Poggipollini (il Capitano), Max Cottafavi (storico chitarrista dei Clan Destino), Luciano Luisi (alle tastiere) e Davide Pezzin (al basso).  Aspettiamo solo lui, le luci sono ancora spente, c’è quel silenzio rumoroso dell’attesa. Eccolo, Luciano Ligabue, capello grigio, giubbotto di pelle e Telecaster da urlo: si avvicina all’asta e parte Urlando contro il cielo. Una bomba. Una canzone dopo l’altra, senza fermarsi, tanto che con Andre guardavamo l’orologio per vedere che ora fosse, non ci stavamo annoiando, semplicemente non volevamo che finisse mai.

Liga-Rock-Park-Ligabue

È sempre difficile descrivere la chimica dei concerti, c’è chi ci prova con i video ma non rende mai davvero. Gli sguardi delle persone, gli abbracci tra gli amici, tutti insieme a saltare e a cantare quei versi che tanto ci hanno colpito e che fino a ieri ascoltavamo in un CD messo in macchina, mentre ora siamo di fronte a Ligabue e li stiamo intonando insieme. Lui ha una presenza scenica pazzesca, guarda i fan negli occhi mentre tira fuori la poesia da quelle parole, che senza la sua voce resterebbero incomplete. Quando è passata un’ora e mezza, Liga e i musicisti ci sorprendono, arriva il momento acustico, cambiano gli strumenti ed inizia una nuova parte del concerto comandata da Metti in circolo il tuo amore e accompagnata dalla tromba e il flicorno di Massimo Greco, il sax baritono di Corrado Terzi, il sax tenore e sax soprano di Emiliano Vernizzi. Dopo qualche traccia si torna al rock, poi il bis. Le canzoni più belle le ha cantate praticamente tutte, e quel “praticamente” è solo un cavillo dettato dal tempo. Tre ore non sono bastate per una discografia veramente ampia, lo si può giustificare. I pezzi del nuovo album Made in Italy descrivono un Liga in continua evoluzione, sia soul che rock anni ’70, mentre l’annuncio del nuovo tour è una garanzia che ci saranno altri articoli a descrivere altri concerti. Urlando contro il cielo risuonata da solo con una Martin chiude il bis e a noi non resta che tramutare tutto in un bel ricordo, in qualcosa che abbiamo vissuto con la pelle d’oca e che racconteremo ancora per tanto tempo.

Il parco di Monza (ripulito alla perfezione dagli addetti in 10 ore dalla fine del concerto) lo lasciamo alle nostre spalle, riprendiamo la Peugeot di Cri e ripartiamo, domani Lucio lavora e saprà solo lui quante occhiaie avrà. Arrivati a casa di Andre spaghettata obbligatoria, con annesso peperoncino che non guasta, anche in una piena notte milanese, intanto quel che c’era da vivere l’abbiamo vissuto. Ormai per gli orologi è lunedì, ma per noi resta sempre domenica, ancora davanti al palco a cantare. Certe luci non puoi spegnerle. Grazie Liga.

Estro e genialità di un artista poliedrico della musica italiana.

Dargen D’Amico e la filosofia della parola
Dargen D’Amico.

“Quando ti fanno una domanda se non rispondi ti chiedono perché? Ma perché? Ma perché? e via dicendo, se nessuno avesse inventato il punto interrogativo a questo mondo si starebbe tutti meglio.”  Anche questo è Jacopo D’Amico, meglio conosciuto come Dargen D’Amico, un rapper italiano estremamente diverso da tutti quelli presenti attualmente nel nostro panorama musicale. Si può parlare di vero e proprio “cantautorap”, come lui stesso definì il suo stile tempo addietro, visto che questo artista coniuga il cantautorato al flow, avvicinando il suo genere più alla poesia che alla canzone.

Non è sempre stata così aulica la strada di Dargen (ex Corvo D’argento), il quale ha iniziato a muovere i suoi primi passi nel gruppo “Sacre Scuole”, insieme a Guè Pequeno e Jake La Furia. Nonostante il distacco che separò i tre, dividendo anche le loro strade artistiche, la loro unione è rimasta incisa nel primo disco storico dei Dogo Mi Fist, in particolare nella traccia Tana 2000, un vero e proprio esercizio di stile.

Dargen non è un artista facile da comprendere, forse è anche questa la sua forza, poiché è proprio nella sua complessità che arriva d’impatto la sua genialità. L’argomento principale delle sue canzoni non è il classico materialismo ormai “obbligatorio” nel rap, non è l’avere, ma l’essere, in senso particolarmente “frommiano”.  Per capire il suo estro, pensate alla difficoltà di comunicare il senso di un pezzo in 18 minuti di rap senza ritornello, Nostalgia istantanea, traccia che Dargen ha scritto “nei momenti che seguono e precedono di poco il sonno, usando quel lessico da narcolettico, quel narcolessico” (cit.). Oppure Malpensandoti, ode di un uomo in viaggio verso Malpensa e delle sue peripezie mentre attende la sua dama, rimasta per mesi lontana, tornare in aeroporto. Ce ne sarebbero davvero tante da citare (Arrivi stai scomodo e te ne vai, Briciole colorate, VV, Siamo tutti uguali, Il presidente, Odio volare, Bere una cosa, Ma dove vai (Veronica), Con te) che hanno portato Dargen a scrivere l’ultimo album D’iO, probabilmente il più alto dal punto formale, nel quale ci sono davvero delle perle come Essere non è da me, Modigliani, L’universo non muore mai, Io, quello che credo.

Recentemente Dargen D’Amico ha deciso di creare una boutique creativa chiamata Gradisca22 in cui sviluppare la genialità musicale, filmica, fotografica, informatica, comunicativa, mediatica di chi deciderà di aderire a questo progetto, che verrà portato avanti in parallelo alla sua etichetta discografica Giada Mesi. Inoltre, tra i fan, è in corso la Dargen World Cup sul gruppo Facebook “D’amici’s Forum” per decidere quale canzone, tra l’intera discografia, sia la più bella. Sono già state stilate le 32 migliori.

Dargen-D-Amico

Per essere artisti, in tutto e per tutto, deve emergere il vero talento, la scintilla da proteggere e da far brillare. Ascoltando Dargen si capisce quanto le parole siano per lui un dono prezioso da condividere con il prossimo, in metrica con la musica e con la filosofia.

Tante visualizzazioni o tanto talento? Le major sperano sicuramente in un ampio guadagno.

Youtuber-musicali-WebstarYoutube venne fondata nel 2005 come piattaforma video. Certamente, ben undici anni fa, non si poteva minimamente pensare che avrebbe avuto un successo di scala mondiale tanto da rivoluzionare qualsiasi campo mediatico.

Arrivano le grandi visualizzazioni, le aziende iniziano ad investire in pubblicità, product placement e nascono i primi leader d’opinione della piattaforma, gli youtuber, detti anche webstar. Questo passaggio è fondamentale, perché se prima a diventare celebre era il video di qualche gattino o la gaffe alla Paperissima, successivamente proprio delle persone in carne ed ossa sono state messe sotto i riflettori, spesso d’età compresa tra i 16 e i 30 anni. Qui c’è la vera rivoluzione.

La televisione, in netta perdita qualitativa, è stata sopraffatta da format online virali molto semplici come blog di varietà, video musicali, web serie, che, con il passare del tempo, hanno dato un’accezione commerciale e generalista anche a Youtube. Non a caso i puristi della piattaforma, i primi ad aver avuto “successo”, hanno criticato il cambiamento dei contenuti dei video. Oggi molti giovani non è detto che vogliano diventare in primo luogo youtuber, ma ci provano, tanto non costa nulla, per questo motivo i video sono cresciuti esponenzialmente tanto quanto la scelta di cosa vedere. Persino show televisivi da anni replicano i pezzi migliori o le intere puntate su Youtube, molte aziende lo utilizzano per campagne di viral marketing e anche la radio è stata intaccata dai fenomeni del web.

Parlo di radiofonia non a caso, visto che è il primo media ad essere maggiormente a contatto con la musica. In Italia un pioniere è stato Willwoosh (Guglielmo Scilla), che approdò a Radio Deejay uscendo dal 15 pollici, e a ruota molti altri. Questo perché, come già detto, le webstars sono leader d’opinione e come tali possiedono un grande capitale sociale, ovvero tante persone fidelizzate al prodotto che si portano dietro ovunque e qualsiasi cosa facciano. Probabilmente il primo youtuber musicale a sfondare il muro delle major è stato Fedez, ma di lui parleremo più avanti.

L’estate 2016 è stata sicuramente contaminata da Andiamo a comandare di Fabio Rovazzi, disco d’oro per lo streaming. Rovazzi non è il primo youtuber ad essere entrato nelle grazie della musica italiana, ma nel suo caso c’è una grande differenza che lo rende un artista a dir poco geniale. Rovazzi non si è mai dichiarato cantante, anzi tutt’altro, e con questa canzone ha generato un vero e proprio movimento intorno al video che è diventato virale in pochissimo. Come ha fatto? Intanto, grazie ai rapporti con Merk e Kremont (dj italiani di fama internazionale) che hanno prodotto una base pazzesca, poi mettendo nel video tutte le persone più influenti dello Youtube-system. Come può un video con così tanti leader d’opinione non diventare virale in tempo zero?

Torniamo alla musica. Si stava parlando appunto di Fedez come il primo youtuber musicale ad entrare in major. Per “youtuber musicale” si intende uno youtuber che non ha mai fatto varietà o altri tipi di format nel proprio canale, ma solo e soltanto musica. È davvero meritocratico, quindi, che un ragazzo che si è costruito la “fama” con le proprie canzoni visualizzate da milioni di utenti riceva un contratto discografico, nulla da dire, chapeau. Di casi come quello di Fedez ce ne sono altri nel mondo e in Italia. Quello che però mi stuzzica la curiosità sono alcuni contratti recenti che vedono la produzione di un solo singolo da parte di una grossa casa discografica a youtuber che hanno sempre fatto del varietà.

Si sta cercando di seguire la traccia lasciata ingenuamente da Rovazzi? Ma soprattutto, è sempre solo necessario esporsi sul web per farsi notare da qualche major oppure ha ancora senso partecipare a concorsi per band, cantautori o interpreti?

Il web è sicuramente più meritocratico di tante altre forme di esibizione, ma forse limitare il talent scouting a youtube.com risulta restrittivo. E poi c’è sempre l’incognita del: “L’avranno preso per i numeri sul canale o per il talento?”. Stiamo entrando in un’altra era che può farci avere presto delle risposte: tutti questi youtuber faranno la storia o saranno meteore in puro stile Las Ketchup?

In ascesa verso i piani alti della musica elettronica, insieme a Riccardo Patruno il loro duo Maximals ha appena firmato per la Protocol Recordings di Nicky Romero.

Incontro Davide Alpino per l’intervista nella sua Savona e, come sempre, noto fin da subito l’umiltà di questo ragazzo, la consapevolezza di aver fatto bene finora, ma anche di dover fare ancora molta strada, nonostante alcune delle sue tracce siano state suonate da dj importanti e ascoltate davvero da tante persone.

Sei di Savona, non di una metropoli italiana come Milano, Torino o Roma. Quanto ha influito questo fattore nel costruirti una carriera?
Sicuramente più difficoltà che successi all’interno della città, perché non ci sono molti posti in cui puoi essere valorizzato ed è più tortuoso entrare nel giro. Si fa fatica a iniziare, non basta la passione: io ho iniziato con le feste private, ho suonato in qualche locale ed è andata bene, poi ho perso un po’ il giro per altri fattori. Non è stato facile emergere.

Davide-AlpinoIn Liguria, la tua città natale può essere considerata un polo della musica elettronica visti tutti i nomi che ha partorito negli ultimi anni?
Soprattutto per quanto riguarda la produzione sono emerse diverse realtà. Quando ho iniziato a produrre nel 2011, invece, era molto in voga fare i DJ, poiché era più difficile avere a disposizione una buona tecnologia per le produzioni.

È per le difficoltà savonesi di cui hai parlato che hai deciso di intraprendere una carriera da produttore?
Ho sempre saputo che mi sarebbe piaciuto produrre, perciò mi sono buttato, un tempo usavo FL Studio (ndr software per le produzioni, ad oggi Davide Alpino utilizza Ableton Live). Appena ho aperto quel programma ho capito che quella sarebbe stata la mia strada. Prima ancora di produrre, comunque, ho iniziato facendo il DJ, perché saper mettere i dischi è importante e mi piace ancora molto andare a suonare nei locali. Ad oggi sembra essersi invertita la tendenza, le nuove leve partono dalla produzione e poi si mettono a fare i DJ, quindi un ragazzo giovane e molto bravo nelle produzioni non è detto che sia molto abile dietro la console.

La tua prima popolarità è nata suSoundcloud, tanto che, questo sito, ti ha portato alle etichette discografiche estere. Secondo te il web è il tempio meritocratico della musica?
Il web a volte valorizza i tuoi meriti. Parlando del mio caso, mi sono guadagnato la mia credibilità utilizzando Soundcloud e soprattutto i social, che ormai sono diventati fondamentali per chi fa il nostro lavoro. Su queste piattaforme è necessario costruirsi un’immagine, le persone devono riconosce quello che sei, non basta soltanto fare musica, cosa che invece interesserebbe maggiormente a noi produttori. Il rovescio della medaglia del web è quando alcuni personaggi appaiono come star quando la realtà è un’altra. Vengono dati meriti, quindi, anche a chi non li ha, ma questo succede in tutti i campi. Il web non è esente dalle ingiustizie. Se vuoi guadagnarti il rispetto del tuo pubblico in maniera pulita ce la puoi fare impegnandoti, per quanto mi riguarda ci ho messo sei anni a farmi un nome, mentre ci sono persone che magari vedono i palchi del Tomorrowland (ndrFestival di musica elettronica), hanno qualche soldo da investire, comprano un produttore che gli fa una traccia studiata e ci mettono sicuramente meno di me.

Però quando arrivi a livelli alti se non sei capace non so quanto si possa stare a galla.
Infatti penso che tutte le persone che siano ad altissimi livelli abbiano l’esperienza che gli ha permesso di arrivare in alto, anche perché prima o poi i nodi vengono al pettine, chi ha scelto la strada più facile sicuramente crollerà. È un po’ come quando un ragazzo vince un reality in televisione, quanto può durare? Uno o due anni, poi se non sei capace a reinventarti, se non sai dimostrare quello che vali, finisce li.

Hai sempre avuto contratti con etichette discografiche estere, pensi che l’Italia creda poco nel proprio patrimonio elettronico?
Penso che manchi la voglia di investire sull’artista. All’Italia appartengono dei pezzi di storia della musica elettronica, ma ad oggi le etichette storiche di un tempo non ti garantiscono più la stessa disponibilità e promozione. Il mercato italiano è stato sorpassato dal mercato olandese, che è molto più aperto. Ci sarebbe da rifondare la cultura del talent scout in casa propria.

Sei passato da un genere come il “melbourne-bounce”, con una bassline molto presente, a delle tracce più studiate ed eleganti che riprendono il funky. Raccontaci la tua evoluzione.
Un buon produttore deve essere capace a fare tutti i generi. Poniamo il caso di entrare nel giro delle ghost produzioni e ti viene richiesta una traccia diversa dal solito, devi saperla fare. Bisogna saper esplorare. Quando ero in fase di sperimentazione ho cercato di avvicinarmi a tutta la Big Room, grazie al mio amico MorganJ, considerato un pioniere in Italia della bounce, ho prodotto tante tracce di quel genere. L’attuale cambiamento è dovuto al fatto di aver deciso di fare musica che, oltre a far ballare in maniera sconsiderata chiunque, debba piacermi anche con le cuffiette. Magari qualcosa di più pesante non è sempre ascoltabile.

Arriviamo all’attualità, adesso hai iniziato con il tuo collega Riccardo Patruno il progetto Maximals, che sta riscuotendo tanto successo. Come è nata la vostra collaborazione, diventata ora un duo?
Abbiamo iniziato a collaborare nel 2012 e poco dopo ho firmato il mio primo disco insieme a lui. Essendo la prima traccia l’abbiamo intitolata First One. Sul discorso dei titoli si potrebbe dire molto visto che dare un nome alle tracce è sempre un dilemma. Successivamente abbiamo continuato su binari paralleli, da solisti ogni tanto collaboravamo. Nel 2015 abbiamo fatto una nuova traccia insieme che è andata molto bene, veniva suonata tanto e abbiamo deciso di imbastire seriamente un progetto in duo. Il disco con Blasterz uscito a Febbraio 2016 ha dato il via ufficiale alle nostre produzioni.

Avete ufficialmente firmato un contratto con la Protocol Recordings, etichetta discografica di Nicky Romero. Cosa dobbiamo aspettarci da questo contratto? C’è già qualche traccia pronta?
Verso settembre potrebbe muoversi qualcosa, ma non c’è ancora nulla di ufficiale. Quello che possiamo dire è che uscirà una traccia in collaborazione con Dumbers. Avevo iniziato questa collaborazione quando ancora non era completamente in piedi il duo Maximals, poi Riccardo si è aggiunto in corsa e adesso c’è questo accordo con Protocol che ci rende molto orgogliosi. La traccia è incentrata maggiormente sulle sonorità che stavo sviluppando da solista, quindi con un ritorno della chitarra funky. Il prossimo step è produrre un pezzo che permetta a Protocol di pubblicare una traccia dei Maximals in solitaria.

Aspettiamo quindi questa ID (ndrtraccia senza nome). È possibile che qualcuno la stia già suonando in qualche set?
È difficile perché è veramente un’anteprima, solo alcuni Top DJ la stanno suonando live, tra cui Nicky Romero che l’ha già suonata in diversi festival e al Sensationall’Amsterdam Arena ha aperto il suo set proprio con quella.

Quest’estate i Maximals suoneranno da qualche parte?
Stiamo chiudendo accordi per le nuove date, ma per tutte le informazioni vi rimandiamo alle nostre pagine social.

A proposito di social, voi avete un hashtag ricorrente che è #TeamOk. Cosa c’è dietro?
#TeamOk è nato quando Nicky Romero ha suonato la nostra ID al Nameless Festival. Sinceramente come stato di Facebook non sapevo cosa scrivere, perciò ho scritto “Ok”. Da questo è nato il nostro hashtag, che ha avuto molto seguito dopo il grande successo all’Holi Fusion di Torino insieme ad EttaMatters. Ormai tutti sanno che dietro il nostro “ok” c’è il riconoscimento del nostro lavoro.

Saliamo sulla macchina del tempo e andiamo a riscoprire quelle che furono le nostre hit estive.

Tormentoni-estivi-italianiQuando arriva l’estate non si può non parlare di tormentoni, tutti abbiamo avuto almeno una colonna sonora durante la stagione estiva. Torniamo indietro al 2000 e scopriamo quante canzoni italiane ci hanno conquistato negli ultimi quindici anni.

Non era facile vivere nel nuovo millennio, si millantava la fine del mondo, mentre invece ci fu soltanto la fine di alcuni computer che non resistettero al “Millenium Bug”. Lire in tasca, walkman e soprattutto VHS nel registratore, per poter immortalare quel che fu il Festivalbar, un evento musicale che molti di noi rimpiangono e rivorrebbero, per quanto fosse il manifesto della tv generalista e commerciale.

Era solo ed esclusivamente il Festivalbar che sanciva l’inizio indiscutibile dell’estate e proprio nel 2000 venivano premiati, durante l’ultima puntata di quell’edizione, due tormentoni storici: “Vamos a bailar” di Paola e Chiara, e “Qualcosa di grande” dei Lunapop. Nello stesso anno, gli Jarabedepalo portarono in Italia “Depende” (riscritta insieme Jovanotti). Indimenticabile, invece, “Ti prendo e ti porto via” di Vasco, che insieme ad “Infinito” di Raf,  “Tre parole” di Valeria Rossi, “La mia signorina” di Neffa, “Boy Band” dei Velvet e “www.mipiacitu” dei Gazosa furono la ricetta perfetta dell’estate 2001.

Non sapevamo ancora che saremmo stati eliminati malamente dai Mondiali di Calcio, ma intanto, nel 2002, Ligabue raccontava come “Tutti vogliono viaggiare in prima”, Brusco cantava “Sotto questo sole”, Cesare Cremonini ammaliava con “Latin Lover”, mentre “Rosso relativo” spianava la strada ad un giovane Tiziano Ferro, che forse non immaginava ancora di poter scrivere alcune delle canzoni d’amore più celebri della musica in Italia. Il vero successo, però, lo fecero gli Articolo 31 con “Domani smetto”, che può essere considerata un’apoteosi considerando che, nello stesso album di quella canzone, erano presenti “Gente che spera” e “Spirale Ovale”.

È la stessa annata del successo planetario delle Las Ketchup con “Asereje”, che, pur non essendo italiane, devono essere obbligatoriamente citate per la rapida e fortunatissima carriera, alla pari di quella che ebbero i Santa Esmeralda con “Don’t Let Me Be Misunderstood” e di quella che avrà, nell’anno successivo, Dj Bobo con “Chihuahua”.

Si sentiva aria di cambiamento, arrivò l’euro, la nostra vecchia lira era stata ormai abbandonata con l’ultima banconota cambiata in banca. Gli iPod iniziavano a circolare nel mondo e a rivoluzionare la musica. Nel 2003 ci sono stati due grandi tormentoni che hanno diviso le diverse generazioni: Eros Ramazzotti conquistò l’estate con “Un’emozione per sempre”, canzone che verrà poi abusata nei karaoke o in qualsiasi video di fotografie dedicato alla famiglia o agli amici (classico epilogo da tormentone), mentre DJ Francesco esordì con La canzone del capitano, estremamente criticata dai puristi della musica quanto cantata da tantissimi giovani, tanto da vendere 1.600.000 copie ed essere il brano più venduto in Italia nel XXI secolo. Altre perle del 2003 furono “Prima di andare via” di Neffa, “In una notte d’estate” de Le Vibrazioni e la doppietta “Tu Corri!” e “Mary” dei Gemelli DiVersi.

2004, Zucchero con “Il Grande Baboomba”, “Come stai” di Vasco e “Convivendo” di Biagio Antonacci scalarono le classifiche, ma a rapire il ritmo dei più giovani furono gli Articolo 31 con “L’italiano medio” e “Calma e sangue freddo” di Luca Dirisio, una meteora di cui si aspetta ancora il ritorno.

La storia dei tormentoni dal 2000 al 2007 fu davvero in ascesa e con il 2005 entriamo in un’annata che sarebbe pregiatissima se le canzoni fossero vino.

Lascia che io sia” di Nek ed “Estate” dei Negramaro monopolizzarono le radio e i lettori mp3 da 512 MB, mentre i Gemelli DiVersi lasciarono il segno con “Fotoricordo”. Persino il re del tormentone, Max Pezzali, nello stesso anno fece uscire l’album “Tutto Max”, sintomo di 365 giorni di hit.

Arriviamo al 2006 ed è obbligatorio citare, in primis, il remix che fece Alex Farolfi di “Seven Nation Army” dei The White Stripes con i commenti dei Mondiali in Germania di Caressa e Bergomi (“Andiamo a Berlino Beppe!” Cit.). Sempre a tema Mondiali, Checco Zalone scrisse una hit estiva che accompagnò le partite e la vittoria dell’Italia, “Siamo una squadra fortissimi”, la quale si espanse a macchia d’olio per la penisola, testimone la pubblicità delle suonerie del cellulare che martellava il cervello in quel periodo. In secondo luogo, ma non meno importanti, i Finley con l’album “Tutto è possibile”, “Sei parte di me” degli Zero Assoluto ed “Happy Hour” di Ligabue, che, ancora oggi, qualcuno scambia erroneamente con “Sweet Child O’ Mine” dei Guns ‘n Roses. Il 2006 è stato anche un anno di svolta per il rap, che tornò nelle scene mainstream grazie ad “Applausi per Fibra” di Fabri Fibra.

I Negramaro ci presero gusto dopo il 2005, per questo nel 2007 furono loro ad accompagnarci con “Parlami d’amore”, mentre Irene Grandi cantava “Bruci la città” a tutto volume. Nel corso di quest’anno uscì un film manifesto per molti giovani adolescenti,“Notte Prima degli Esami – Oggi” di Fausto Brizzi, che servì ad amplificare il successo di “Malinconia” di Luca Carboni. Restò comunque un’estate difficile per i cantanti italiani, a causa della concorrenza con Mika, che ci stregò con “Relax, Take it Easy”, e anche con “Umbrella” di Rihanna e “Candyman” di Christina Aguilera, entrambe sostenute molto da MTV.

Con la fine del Festivalbar, oltre al colpo al cuore, sono cambiati i meccanismi del tormentone, infatti negli ultimi otto anni si è sentita tanto la presenza delle canzoni straniere. Ad aiutare la provenienza estera sono stati sicuramente i social, che hanno amplificato le mode del momento unificando il tormentone a canzone mondiale. Per questo motivo è stato più difficoltoso trovare hit italiane che abbiano lasciato davvero il segno, ma continuando il viaggio a ritroso nel tempo si può riuscire ad avere lo stesso buoni risultati.

Nel 2008, popolato esclusivamente da Jason Mraz e di Katy Perry, Cesare Cremonini riportò l’attenzione sulla canzone nostrana con “Dicono di me”. Allo stesso modo, la neonata Giusy Ferreri sbancò tutto con “Non ti scordar mai di me”,  Marracash irruppe nella discografia italiana con “Badabum Cha Cha” e continuò la costanza di Fabri Fibra con “In Italia”, cantata insieme a Gianna Nannini. Anche il 2009 accusò la presenza di artisti stranieri come Bob Sinclair, David Guetta, Lady Gaga e in particolar modo dei Black Eyed Peas, che con “I gotta feeling” monopolizzarono la scena musicale.

Nonostante questo, i talent cominciarono a macinare contenuti e Noemi con “Briciole” iniziò a farsi conoscere ampiamente in tutta Italia. È anche l’estate del ritorno degli Zero Assoluto con “Per dimenticare” e di J-Ax con “Deca-Dance”, mentre un’altra nuova comparsa tra le parti alte della classifica furono i Club Dogo con “Sgrilla”. Nel 2009 divenne celebre l’impegno degli artisti per il terremoto in Abruzzo e infatti “Domani – 21/04/2009” fu un inno di quell’estate. In un 2010 con “solo” “Quando canterai la tua canzone” di Ligabue e “Ganja Chanel” di Entics, il vero primato estivo andò ancora a Fabri Fibra con “Vip in trip”, primo singolo dell’album “Controcultura” che continuerà l’ascesa di Fibra iniziata con “Tradimento” e “Bugiardo”.

In questi anni Pitbull consolidò il suo potere nel tormentone, le canzoni latine rientrarono nei must da danza estiva e, nonostante il suo mood poco felice, la malinconia Adele riuscì lo stesso a lasciare il segno d’estate.

Siamo arrivati nel 2011, il quale vide protagonisti Jovanotti con “Il più grande spettacolo dopo il Big Bang” e Fabri Fibra con “Tranne te”.  Anche il 2012 fu un anno in salita nella sfida tra tormentone italiano e mondiale, Giorgia con “Tu mi porti su” e “Non vivo più senza te” di Biagio Antonacci si affiancarono a “Call Me Maybe” di Carly Rae Japsen, imbattibile quell’estate, e ad altri come DJ Antoine, Gustavo Lima e i Maroon 5. Per i più romantici, i Modà avevano rilasciato “Come un pittore” ed Emma MarroneCercavo amore”, mentre gli amanti del rap ricorderanno non solo l’album “Noi siamo il Club” dei Club Dogo, da cui sono state estratte nel periodo estivo “PES”, “Noi siamo il Club” e “Chissenefrega”, ma anche “Rapstar” di Fibra e Clementino, un disco di vera qualità. Tra l’altro, sempre Fibra, in collaborazione con i Crookers, rilasciò un singolo molto fortunato: “L’italiano balla”.

Pochi anni ci dividono dai giorni nostri e con molta probabilità alcune delle prossime canzoni citate sono ancora parte integrante delle nostre estati, scelte magari nel cd o nella chiavetta da portare in macchina quando si va al mare o in vacanza.

I tormentoni del 2013 sono stati tanti, sintomo di un ritorno positivo della canzone italiana nelle classifiche. Alcune delle canzoni più apprezzate sono state:  “Estate” di Jovanotti, “Levante” di Alfonso, “Bocciofili” di Dargen D’Amico insieme a Fedez, “O’Vient” di Clementino, “Panico” di Fabri Fibra, “Baciami e portami a ballare” di Alex Britti, “Tornare indietro” di Guè Pequeno e Arlissa, “Dimentico tutto” di Emma Marrone e “Congiunzione Astrale” di Nek. Nel 2014, altrettanto, ci sono parecchi titoli da citare, ma alcune canzoni sono state marcatamente più presenti di altre. Nell’anno in cui persino Michael Jackson riuscì a sbaragliare la concorrenza insieme a Justin Timberlake con “Love never felt so good”, in Italia “Logico #1” di Cesare Cremonini veniva trasmesso ovunque: in radio, in tv, in posta, nei bagni dell’autogrill, sul cucuzzolo di una montagna sperduta nel nulla. Nonostante fosse difficile eguagliare Cremonini, ci furono dei grandi risultati per “Maracanã” di Emis Killa, “Ti penso raramente” di Biagio Antonacci, “Il Muro del Suono” di Ligabue, “ Un amore così grande” dei Negramaro, “Domani è un altro film” dei Dear Jack, “Vieni con me” di Rocco Hunt, “Adesso sono qui” di Ghemon, “Fragili” e “Weekend” dei Club Dogo.

Siamo arrivati all’ultima tappa, quindici anni dopo l’inizio del nostro viaggio nel tempo, il 2015, che vide ancora una volta protagonisti Cesare Cremonini e Jovanotti, rispettivamente con “Buon Viaggio (Share the love)” e “L’estate addosso”. La differenza, rispetto l’annata precedente, è stata la mancanza di un tormentone leader in Italia, bensì tante canzoni che sono state dei successi in parallelo: “Roma Bangkok” di Baby K e Giusy Ferreri, “Maria Salvador” di J-Ax (“Canna!” Cit.) ed “Everytime” dei The Kolors. Leggermente più indietro in classifica “Luca lo stesso” di Luca Carboni e “#Fuori c’è il sole” di Lorenzo Fragola.

La storia dei tormentoni è infinita e quella appena raccontata è solo una parte delle grandi canzoni che hanno scritto le nostre estati. C’è da notare quanto l’influenza estera abbia cambiato il modo di concepire le hit, basti pensare che quest’anno molte canzoni ricordano i Major Lazer e i Jack Ü. A proposito, secondo voi quali sono i  tormentoni questa estate? Io un’idea me la sono già fatta tra le varie “Vorrei ma non posto” di Fedez e J-ax, “Ragazza magica” di Jovanotti, “L’alba” di Salmo, “Il ritmo dell’amore” di Enrico Nigiotti e “Universo” di Zibba, ma potrei aggiungere sicuramente qualche titolo alla lista.

Diciottenne talentuosa, Celeste ha già alle spalle una serie di concerti all’estero e palchi importanti.

Celeste
Celeste (Foto © Uff. stampa).

La maggior parte delle volte, a diciotto anni, non si sa nemmeno come organizzare la giornata, mentre Celeste sembra avere già degli obiettivi importanti. La cantante siciliana dalla pronuncia inglese ha colto l’occasione, da più piccolina, di partecipare al format “Io Canto” e, ad oggi, progetta la sua carriera con un’esperienza maggiore rispetto ad una classica cantante emergente.

Dopo aver scambiato quattro chiacchiere sul suo esame di maturità attualmente in corso, le faccio notare quanto sia particolare trovare una cantante così giovane da intervistare, soprattutto in Italia. Capisco subito che è davvero motivata e che crede molto nel suo progetto, per cui le domande si fanno professionali ed interessanti.

Cosa comporta vivere la musica ed essere inseriti nel mercato discografico già da adolescenti?
Mi sento un artista emergente, provo tante emozioni nuove in questo momento, per me è sia un punto di partenza che un punto di arrivo, perché è sempre una soddisfazione. Mi sento all’inizio, mi aspetto tante cose nuove. Spero di poter vivere di musica.

A che età hai partecipato ad “Io Canto”?
Avevo 13 anni

Quanto ti è servita questa esperienza?
Mi è servita per capire cosa c’era fuori dal mio mondo. Sono venuta a contatto con una realtà diversa, dovevo affrontare un grande pubblico, una grande orchestra, insomma anche la responsabilità era grande, nonostante tutto sono riuscita a viverla in maniera positiva, con gli occhi di una ragazzina.

Secondo te quindi è giusto che i bambini e i ragazzini talentuosi possano esprimere le loro potenzialità in televisione, di fronte a milioni di persone?
Io penso che sia importante come vivono questa esperienza, io l’ho vissuta in maniera leggera, divertente, ho scoperto tante cose nuove. È importante il punto di vista del ragazzo.

A questo punto viene naturale chiederti cosa ne pensi dei talent, per quanto sia sempre una domanda da prendere con le pinze.
Domanda tosta. Penso che il mondo della discografia italiana debba concentrarsi sulla natura di un cantante, sul suo stile, anche se, molto spesso, chi va a fare un talent non viene valorizzato quanto dovrebbe.

Tornando a te, Once a day è il tuo nuovo singolo, fresco, giovane ed estivo. Cosa ci stai raccontando tra le note?
Il brano è fresco e allegro, è vero, ma c’è anche un sottile filo di malinconia. Vorrei comunicare di cogliere l’attimo, perché sembra non esserci la possibilità di vivere la gioia pura senza sacrificarsi, quindi è giusto godersi i momenti. Nella canzone parlo di due amanti che hanno due stili di vita diversi e per questo non percorreranno sempre la stessa strada, ma si troveranno talvolta su binari opposti.

Come mai hai scelto di cantare in inglese?
Ho sempre trovato molta facilità con questa lingua, ascolto tanta musica in inglese, mi sono voluta cimentare in questo. Non penso che sia un limite, anzi potrebbe essere utile al mercato discografico italiano poter comunicare anche all’esterno. Un mio obiettivo importante è raggiungere più persone con la mia musica e grazie alla lingua inglese ho questa opportunità. Chissà che questa canzone non possa arrivare anche fuori dall’Italia. Io sono all’inizio, ho tanta strada da fare, spero di realizzare i sogni in cui credo.

Celeste-Once-a-dayDici di essere all’inizio, ma hai già fatto una serie di concerti in Brasile nel 2015 e le tue canzoni sono state tradotte in diverse lingue. Come hai vissuto questa internazionalizzazione?
È stata un’esperienza che auguro a qualsiasi musicista. Venire a contatto con altre culture mi ha sempre affascinato, ho cantato in portoghese di fronte ad un folto pubblico che ascoltava le mie parole, mi sono allenata tanto per questo. Mi piacerebbe rifare un’esperienza del genere. I concerti sono andati veramente molto bene in Brasile, molte persone tornavano durante le altre date, mi hanno seguito tutti calorosamente, li ho sentiti vicini.

Molti cantanti dicono di essersi avvicinati alla chitarra o al pianoforte in giovane età. Tu invece hai preferito il flauto traverso. Cosa ti ha fatto innamorare di questo strumento?
A me la musica è sempre piaciuta. I miei genitori hanno colto da subito questo mio grande interesse, hanno iniziato a regalarmi un mangianastri e altri oggetti a tema. Poi, una sera, c’è stato un concerto di flautisti nel mio paese e i miei mi proposero di andare a imparare il flauto con un maestro che conoscevano. Io rimasi stupita da questo strumento, tanto che decisi di prendere lezioni. Ricordo la prima volta a lezione in cui mi dissero che non potevo suonare perché ero ancora troppo piccola e il flauto era troppo lungo (ride). Così mi sono presentata alcuni mesi dopo e ho iniziato. Crescendo sono passata al pianoforte per la teoria musicale.

Sei molto decisa, vuoi fare della musica il tuo mestiere, cosa ti aspetti dal tuo percorso? Quali saranno i tuoi prossimi obiettivi?
Il mio prossimo step è costruire, mattone dopo mattone, un pubblico tutto mio, che apprezzi la mia musica e che sia disposto a seguire i miei cambiamenti. La musica è sempre stata la mia compagna, io sogno la musica e vorrei vivere di questo, ecco il mio obiettivo.

Il cantante romano ha rilanciato il 10 Giugno, in versione rimasterizzata, il disco omonimo Fabrizio Moro.

Fabrizio-Moro
Fabrizio Moro

Come la prima volta. In questo modo Fabrizio Moro ha deciso di ripercorrere il suo percorso dall’inizio. Una scelta apprezzabile quella di rimasterizzare il suo primo album, segno che, a volte, è proprio agli inizi che si compone qualcosa di raro, quando ancora la mancanza di popolarità non permette ad un disco l’attenzione che merita, relegandolo successivamente in cantina.

Che Fabrizio fosse un artista a tutto tondo lo si è sempre capito ascoltando i testi delle sue canzoni, ma analizzando la sua storia appare limpido quanto abbia avuto da subito una visione descrittiva e poetica della vita.

Fabrizio Moro ritorna alle origini Studia in adolescenza all’Istituto per la cinematografia e la televisione “Roberto Rossellini” di Roma, sintomo che il sangue della creatività scorreva già nelle sue vene. In parallelo si avvicina alla musica, impara a suonare la chitarra, poi approda al pianoforte e al basso da autodidatta, e inizia a scrivere i suoi primi pezzi, le prime parole su un foglio di carta che lo porterà, più tardi, a calcare palchi importanti della musica italiana. Il clima della borgata non lo frena, la visione del cantautore, un dono di Dio, gli permette di cogliere le sfumature della realtà che ha attorno per poterle raccontare a modo suo, descrivendo le sfaccettature e i punti di vista della sua realtà personale. Sono queste le esperienze che gli hanno fatto scrivere Fabrizio Moro, il suo primo lavoro. Il primo disco è un tassello che può essere ritenuto fondamentale per qualsiasi artista, ma per lui, in particolare, è un passo in più verso il 2007, anno in cui si presenta al Festival di Sanremo con un nuovo brano, Pensa, dedicato alle vittime della mafia, che gli farà vincere la categoria Giovani e il Premio della critica “Mia Martini”.

È Pensa che dona un tono a questo ragazzo romano, facendolo diventare il poeta che racconta la disgrazia, un’icona della lotta, ma anche del sentimento e della passione, uno scrittore che descrive un panorama d’immagini mentali, come quando, da più piccolo, osservava con una penna le particolarità del suo quartiere.

Gli anni lo hanno fatto diventare un cantautore riconosciuto da tutta la musica italiana ed ora che finalmente i suoi testi hanno un valore, anche quelle canzoni, lasciate in cantina, possono riprendere vita, facendo sì che si possa tornare nuovamente ad assaporarne il gusto, come la prima volta.

Street Clerks, la band di “E poi c’è Cattelan” racconta la propria storia.

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Quando l’America arriva in Italia in genere porta alcuni format che devono essere limati per piacere al nostro pubblico. Sembra non essere successa la stessa con per “E poi c’è Cattelan”, in onda su Sky da tre stagioni, che vede protagonista Alessandro Cattelan insieme agli Street Clerks, band del programma. La formula del Late Show ha sempre impresso nella storia i musicisti che hanno accompagnato i conduttori, non a caso la giovane band fiorentina, composta daFrancesco (batteria e voce), Valerio (chitarra e voce), Cosimo (contrabbasso e voce) e Alexander  (chitarra elettrica e voce), è molto stimata e seguita.

Interrompo gli Street Clerks con una telefonata mentre sono in saletta a provare i concerti. Giovani, energici e molto simpatici, ci scambiamo due parole e capisco subito che sarà un’intervista molto ricca di argomenti.

Iniziamo dalla vostra genesi.
Noi siamo nati nel 2007, è da circa dieci anni che suoniamo insieme. Siamo partiti come cover band e abbiamo fatto tante esperienze su diversi generi. Quando abbiamo iniziato a scrivere pezzi nostri abbiamo intrapreso un percorso più serio che ci ha portato ad alcuni risultati. Con XFactor è arrivata un po’ più di popolarità, che poi con “E Poi C’è Cattelan” si è consolidata.

Siete una band particolare sia per il vostro stile musicale, che per la vostra immagine (il loro batterista suona in piedi, nda). Avete un suono indie e talvolta pop, in che modo vi si può inquadrare?
Noi veniamo dal rock e dal rock ‘n roll, ma quando scrivi un pezzo in italiano la lingua ti porta automaticamente ad uno stile pop, quindi siamo una via di mezzo. Dal vivo rockeggiamo, mentre i pezzi registrati escono più vicini al pop.

Ci mettete anche un po’ di folk.
Nello scorso disco, che si chiama Fuori,ci sono tracce quasi totalmente folk. Quella è stata una parentesi, perché, avendo gli strumenti semiacustici e cantando in quattro, il folk ci è venuto abbastanza naturale. Ci siamo accorti che ci mancasse il suono della chitarra elettrica che fa parte delle nostre radici e adesso stiamo cercando di miscelare tutti gli elementi per non farci mancare nulla.

L’esperienza a EPCC come è stata?
Innanzitutto il rapporto con Ale è cresciuto, siamo più amici e ci sentiamo sempre più a nostro agio, ci sentiamo a casa e quindi il cazzeggio viene naturale. Siamo più sicuri rispetto al primo anno, in cui ci è successo tutto molto più velocemente: eravamo appena usciti da X Factor, non avevamo ancora capito come muoverci e poi appena usciti da un talent non si sa mai quanta strada si farà. Questo non dipende dal programma televisivo, ma dalle scelte degli artisti. Dopo il primo anno di trasmissione, non avevamo ancoracapito ciò che ci stava succedendo, ma con la conferma negli anni successivi ci siamo sentiti davvero parte integrante del progetto di Ale Cattelan.

Verrete confermati anche per la quarta volta?
Mettiamola così, se faranno il programma penso di si. Diciamo che non lo sappiamo, ma anche se lo sapessimonon potremmo dirlo. (Ridono).

Street-ClerksParliamo di talent: molte band potrebbero scegliere di seguire l’esempio degli Street Clerks oppure di seguire un percorso da emergenti. In base a ciò che avete vissuto, come reputate la scelta di partecipare a questo ai talent?
La prima cosa da togliersi dalla mente è che l’unica via sia fare un talent. Assunto questo, potresti fare un talent e scomparire nel nulla oppure restare nel mercato, come si possono fare delle strade parallele ed emergereallo stesso modo. Dipende dalle scelte personali. Un’idea sbagliata e fastidiosa è pensare che se non fai un talent non sarai mai nessuno. Prendendo il nostro caso, quando siamo usciti a XFactor non abbiamo più avuto contatti con la produzione del format, avevamo conosciuto Sony, che però non ci aveva fatto un contratto perché eravamo usciti a metà percorso. Abbiamo scritto un album, ci siamo riproposti a Sony e successivamente ci hanno fatto firmare le carte. Dipende sempre dalla forza e dalla voglia che ci mette ogni artista.

Siete riusciti ad entrare in contatto con Alessandro Cattelan e Sky quando siete rientrati in Sony oppure è successo tutto prima?
Il rapporto con Ale è nato ad X Factor, quindi prima di entrare in Sony. Dopo la finale ci ha visto suonare live all’afterparty dello show e ha deciso che potevamo fare al caso suo. Con Sony è stato tutto differente, la nostra manager ha proposto il disco alla casa discografica, a cui è piaciuto il progetto. Ora siamo slegati da Sony, stiamo facendo il nuovo album che riproporremo alle case discografiche e vedremo cosa accadrà.

E’ difficile il rapporto con una major?
Per ora il rapporto non è stato assolutamente difficile, poiché abbiamo prodotto prima i nostri pezzi e poi abbiamo incaricato la nostra manager di mediare con le etichette per presentare il nostro lavoro. Di questi tempi ci sembrava la soluzione migliore. Ovviamente questo ha i suoi pro e i suoi contro. Una volta l’etichetta ti prendeva e ti faceva crescere, c’era un investimento sul talento, cosa che adesso non c’è più. Può capitare anche di firmare un contratto senza aver proposto un progetto, ma a quel punto è l’etichetta a darti un taglio musicale.

Anche se quest’estate sarete impegnati nella scrittura del disco, sono certo che farete anche delle date in giro per l’Italia, giusto?
(Ridono) Queste sono le domande da non fare agli Street Clerks. Sicuramente vi rimandiamo alle nostre pagine socialdove potrete trovare tutto il calendario. Una data importante sarà il 5 Agosto, alla Darsena di Milano, poi andremo anche a suonare per Radio Deejay e molto altro.

Il nuovo pezzo La Vitamina come sta andando? Cosa volete comunicare con questa canzone?
Il pezzo sta piacendo e di questo siamo molto contenti. Noi siamo un gruppo nato e cresciuto a Firenze, un posto calmo dove la gente la sera si siede su un prato e si beve tranquillamente una birra in compagnia. Invece, la nostra nuova vita a Milano ci ha messo in contatto con una realtà diversa: facendo un programma televisivo siamo stati introdotti in ambienti “esclusivi” ed è capitato di trovarci in situazioni in cui le persone avessero bisogno dell’aiutino per divertirsi. Questo è l’argomento della canzone, noi volevamo presentare questo problema, che può diventare molto pesante. Il nostro intento è quello di far riflettere.

VIDEO DE ‘LA VITAMINA’:

 

Intervista a Zibba. Il cantante varazzino, autore di successo, analizza le diverse prospettive della vita.

Zibba-Universo
Zibba (Foto © www.zibba.it).

Zibba è un cantante giovane con una carriera da big. Oltre ad aver scritto canzoni che possono essere prese come modello nel panorama del cantautorato italiano, da quando è diventato autore per Warner Chappell ha prodotto testi per Eugenio Finardi, Cristiano De Andrè, Patty Pravo, Emma, Max Pezzali e ha collaborato con Jack Savoretti, Tiziano Ferro, Alex Britti, Jovanotti e molti altri.

Ci sentiamo per telefono il giorno dopo la sua apertura del concerto dei Negramaro all’Arena di Verona.

Con Universo ci inviti a guardare tutto da un’altra prospettiva?
Universo è una canzone che è nata in tour da una serie di riflessioni. Per me è stato un periodo particolare e ho capito che è necessario trovare un punto di vista diverso per non perdersi, per capire meglio le cose, quindi ho deciso che tutto il prossimo album, non solo questa canzone, avrà a che fare con questo argomento, con i punti di vista. Universo è il nome del primo pezzo di questo lavoro che sto iniziando a scrivere a quattro mani con Andro, il tastierista dei Negramaro. Lavorare con lui è stata una bella scoperta per me, mi piace molto il suo stile.

Provando a vedere tutto quanto da un punto lontano (cit.), che cosa mi dici del nuovo album?
Sicuramente avrà una forte influenza elettronica, perché sia la collaborazione con Andro che le mie ultime produzioni casalinghe vertono verso quella direzione. La parte più rock è legata alla band, al sound che ci portiamo dietro da tanti anni, che cambia con noi ma in qualche modo mantiene sempre le sue radici.

Sembra esserci, infatti, una continuità tra l’elettronica di Muoviti Svelto ( il suo album precedente, nda)  e Universo. Nel tuo stile ci sono sempre stati anche il reggae ed i controtempi, stai cercando di fondere i due mondi?
Le influenze che ho avuto negli anni vanno dal jazz al reggae passando per la musica folk, c’è sempre stato un po’ di tutto dentro e il bello è poter utilizzare l’elettronica come strumento anche su generi musicali che non sono vicini direttamente.  Grazie all’elettronica ad oggi è possibile fare tanto e il mio intento è una sperimentazione continua.

In questo periodo stai ascoltando qualche artista in particolare?
Sto buttando l’occhio su alcuni artisti indipendenti, quello che mi piacerebbe è dare una mano ai giovani che stanno iniziando. Mi sto godendo la mia carriera, mi reputo fortunato e collaboro con tante persone, quindi sto cercando di capire se intorno a me c’è qualcuno che possa aver bisogno di qualche mio consiglio o qualche aiuto. Ultimamente ho scoperto due ragazzi molto bravi: Diego Esposito, che mi ha colpito per come scrive, e Luca Tudisca, che invece ho incontrato a Musicultura (Festival per la Canzone Popolare e d’Autore, nda) ed è una buona penna. Loro due sono da tenere d’occhio.

Parlando invece del tuo ruolo di autore, stai continuando a scrivere per tanti nomi del panorama musicale italiano. Cosa ti sta trasmettendo questa esperienza?
Sicuramente mi sta insegnando tanto per il mio mestiere di cantautore, perché comunque mi mette sempre alla prova, è un valvola di sfogo differente. Mi sta dando tante soddisfazioni e spero che questa mia fase della carriera vada avanti, è davvero bella, un’esperienza che mi piace molto.

Puoi anticiparci qualche futura collaborazione o è ancora tutto segretissimo?
Tutto super segretissimo, ma ti posso dire è che ho iniziato a scrivere un pezzo con Marco Masini. Non so se finirà nel suo disco o se andrà a qualcun altro. Ho provato un piacere enorme a lavorare con lui e sono davvero contento di averlo conosciuto.

L’Universo di ZibbaAnche nel tuo prossimo disco collaborerai con altri artisti come hai già fatto in passato?
Continuerò a collaborare, perché trovo nella collaborazione il vero spirito di quello che faccio. Ho iniziato a fare musica credendo nel lavoro di squadra, nell’essere insieme a fare le cose e da questo punto di vista collaborare secondo me è molto bello, perché scrivendo e interpretando insieme una canzone a volte le si dà molta più forza.

Quest’estate sei in tour?
Certo. Anche se in questo periodo sono impegnato a scrivere l’album, partirà ‘Universo Tour’ da Milano il 15 Giugno e si concluderà il 27 Agosto a Varazze. Faremo un po’ di date per l’Italia per presentare questa nuova canzone e una nuova formazione live in terzetto, composta da me, il Bale (storico batterista degli Almalibre, nda) e Stefano Riggi (Sax, Almalibre). Ovviamente avremo anche un forte supplemento elettronico grazie alla collaborazione con Andro.

Ultima domanda, visto che Enrico Nigiotti di recente su Musica361 ha speso delle belle parole su di te, cosa ne pensi di lui? Promettiamo di fargli da tramite e di riportargli le tue parole.
(Ride) Io lo stimo molto, è uno degli artisti che negli ultimi anni ho apprezzato tanto, ha una matrice più blues, più rock, che amo. Spero gli vada tutto alla grandissima e comunque visto che ha speso delle belle parole nei miei confronti mi auguro prima o poi di collaborarci.

VIDEO DI UNIVERSO:

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