Free Shots: il giovane gruppo genovese dal suono vintage che fa ballare.

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I Free Shots in concerto.

Luca Caracciolo detto Kaccio (bassista), Alberto Ansaldo (pianista/violinista), Giuditta Frigerio (cantante), Mattia Ciuffardi (batterista) e Guglielmo Cassinelli (chitarrista) sono i Free Shots, una band modern swing che ha riportato in auge a Genova uno stile che ha fatto la storia della musica. Grazie alle serate Swing Circus, organizzate collaborando con la band italiana The Sweet Life Society (ideatrice dell’evento), hanno portato freschezza e divertimento nella loro città natale per diversi mesi.

Come mai avete deciso di suonare swing?
È stata una scelta che è arrivata poco per volta. Siamo partiti da un progetto acustico, ci siamo spostati sul reggae, sul rock, poi abbiamo iniziato ad ascoltare swing, electro swing e a suonare questo genere. Quando ci siamo accorti che cominciavamo ad aggiungere pezzi swing alla scaletta dei concerti, e a toglierne di altri generi, abbiamo capito che questa fosse la nostra identità. È stato un passaggio naturale.

Che differenza c’è tra swing ed electro swing?
Lo swing è totalmente acustico, mentre l’electro swing ha delle sequenze elettroniche che si fondono con gli strumenti acustici dello swing. Quello che facciamo noi è più “modern swing”, che è un po’ una via di mezzo, non è il classico swing lindy hop e non è electro swing, perché non abbiamo nulla di elettronico tranne ogni tanto un synth per alcuni suoni particolari. In molti dicono che facciamo “electro swing”, perché ci associano ad eventi in cui si suona anche quello, ma il nostro genere è più acustico, al massimo prendiamo alcuni pezzi come quelli di Caro Emerald e li portiamo nel nostro mood.

Come siete nati?
Siamo nati nel 2010 da un’idea di Kaccio (bassista) e del nostro ex chitarrista, poi sono arrivati gli altri nel corso degli anni con alcuni cambi di strumentisti nel mezzo. Con l’“acquisto” di Guglie, oltre ad avere ottenuto un ottimo chitarrista, abbiamo anche qualcuno che ci cura le parti informatiche e grafiche, come ad esempio il sito e le locandine.

Quante band in Italia suonano il vostro genere?
Ce ne sono, non siamo certo gli unici. Noi agli inizi ci siamo ispirati agli Sugar Pie & The Candymen, loro sono famosissimi anche all’estero e in Italia hanno suonato ad importanti festival jazz. Un’altra band che possiamo citare sono ad esempio Le Iene dello Swing (The Club Swing Band). In Italia noi non siamo gli unici, ma a Genova probabilmente si.

Avete avuto un grande successo con gli eventi Swing Circus, portando a Genova un format già proposto a Torino e a Milano dai The Sweet Life Society. Come siete riusciti in questa impresa?
I The Sweet Life Society fanno questo evento a Torino ormai da sei anni. Ci siamo conosciuti dopo una serata a La Claque di Genova l’anno scorso, ci siamo piaciuti a vicenda ed è nata la collaborazione per portare lo Swing Circus nella nostra città. Dopo una data zero a Novembre che ha fatto sold out, abbiamo iniziato una serie di serate mensili da Gennaio a Maggio che sono andate molto bene.

Grazie a questa collaborazione ci sarà la possibilità di estendere Swing Circus anche nella zona Centro-Sud dell’Italia?
L’idea c’è, bisogna vedere che cosa si riuscirà a fare. Per ora prendiamo quello che sta arrivando, se riusciremo ad ampliare le date ne saremo felici.

Tornando a voi, che musica ascoltate?
Oltre allo swing, ognuno di noi ascolta un genere diverso: Alberto è più folk e sente gruppi come i Mumford & Sons, The Lumineers o Alt-J, Mattia predilige il blues, Kaccio viene dal metal e dal rock. I nostri stili così diversi convergono poi nello swing.

L’ultima traccia che avete pubblicato sulla vostra pagina Facebook è una cover modern swing di Parla più piano (tema de Il Padrino) fusa a Sola me ne vo per la città. Il video, realizzato a 360°, ha decine di migliaia di visualizzazioni. Avete un’etichetta o vi auto-producete?
Ancora non siamo legati a nessuna etichetta. Speriamo che arrivi qualche proposta ora che la nostra musica sta girando. Abbiamo iniziato a registrare il nostro disco, composto da cover riarrangiate e pezzi nostri, che dovremmo finire entro l’anno.

Quest’estate siete in giro a suonare?
Abbiamo ancora qualche data in forse che dobbiamo definire, tra cui una data a Roma e una in Puglia, quindi non c’è ancora un calendario vero e proprio. Saremo molto impegnati nei matrimoni, dobbiamo capire quanto saremo effettivamente liberi per i live. Comunque, per qualsiasi novità, vi rimandiamo al sito www.freeshots.it e soprattutto alla pagina Facebook dei Free Shots, dove potrete trovare tutti i nostri aggiornamenti.

La musica si sta evolvendo e anche il mondo delle royalties partecipa all’innovazione.

Differenza-SIAE-e-Soundreef
Foto © Central Washington University.

Il diritto d’autore è la possibilità di tutelare un patrimonio intellettuale e rappresenta la fortuna più grande di ogni artista. In Europa esistono diverse società di collecting, che svolgono un lavoro di tutela artistica e in parallelo competono con altre società all’interno di ogni Paese.Questo accade in tutto il continente europeo tranne in Italia e in Repubblica Ceca. In questi due casi si può parlare di monopolio: una sola azienda provvede al diritto d’autore e in Italia chi lo fa è la SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori). Di recente si è parlato in politica della liberalizzazione di questo tipo di mercato, opzione che è stata successivamente bocciata dal Governo affievolendo la spinta che ha avuto questo argomento, fin quando, nelle scorse settimane, Fedez ha deciso di togliere i propri diritti dalla SIAE per darli a Soundreef.

Soundreef è una startup londinese creata da un italiano, Davide D’Atri, che ha pensato a un nuovo modo di concepire le royalties e sembra che ci stia riuscendo. Ciò che in molti si sono chiesti è che differenza ci sia tra SIAE e Soundreef. Intanto, In Italia, non essendo ammesse altre collecting societies, SIAE ha un percorso spianato nei confronti del mercato, ma non ha un competitor che stimoli l’evoluzione del diritto d’autore, come avviene negli altri Paesi grazie alla competizione tra società. In questo senso entra in gioco Soundreef, che potendo sostenere qualsiasi artista europeo, quindi anche italiano, ha creato una nuova alternativa per ogni artista.

Alcune delle critiche più frequenti mosse a SIAE sono i ritardi nella remunerazione e la mancata innovazione degli strumenti utilizzati, fattore che comporterebbe imprecisioni e dispendio di denaro. Quando si parla di strumenti si fa riferimento allo storico borderò, lista di canzoni utilizzate durante un evento, compilato a mano su carta e consegnato successivamente alla SIAE. Soundreef è nata cercando di risolvere queste problematiche.

In un’interessante intervista al fondatore su Rockit.it lui stesso dichiara che le differenze tra la sua startup e SIAE iniziano dalla modalità e dalla velocità di pagamento, che avvengono in maniera analitica (e non forfettaria) entro 90 giorni da un concerto, a confronto di una collecting tradizionale che può metterci dai 18 ai 24 mesi. Inoltre, ogni autore può sapere dove è stata suonata una sua traccia e quanto ha guadagnato grazie ai borderò elettronici e ad un sistema di scansione dei media simile a Shazam, il quale permette di avere velocemente una lista specifica dei singoli passaggi giornalieri di ogni pezzo.

Mentre Soundreef è entrata sul mercato portando freschezza e modernizzazione, SIAE ha dalla sua parte l’esperienza di essere leader dal 1941, un fattore importante che, con una modernizzazione dei sistemi, porterebbe ad un’ulteriore conferma sul territorio italiano. Alcuni passi sono già stati mossi, come la quota gratuita per gli under 31, che ha riscontrato un notevole aumento di giovani nuovi iscritti.

Insomma, è difficile definire cosa sia meglio o cosa sia peggio, l’importante è che l’artista ad oggi sappia che ha l’opportunità di scegliere e non è relegato ad un monopolio. Come già ribadito, la competizione tra aziende, se fatta con saggezza, può portare innovazione in un campo rimasto statico per troppo tempo in Italia. Ci sarà anche da riscontrare, nel corso del prossimo anno, se Fedez avrà vinto la sua scommessa affidandosi a Soundreef e se SIAE diverrà più smart per cercare di velocizzare i suoi servizi. Sarà di sicuro una bella sfida, chissà che qualche nuova startup inaspettata non cambi di nuovo le carte in tavola.

Il cantautore livornese, con il suo nuovo singolo, si candida tra i tormentoni italiani della prossima estate.

Enrico-Nigiotti-Il-ritmo-dell-amoreÈ passato un anno e qualche mese da quando Enrico Nigiotti è arrivato terzo al Festival di Sanremo nella sezione Nuove Proposte, una posizione che storicamente porta bene agli artisti in gara. Infatti, appena sceso dal palco dell’Ariston, ha aperto sia i concerti dello scorso tour di Gianna Nannini, sia i Simply Red in Italia.

Ci sentiamo per telefono. Enrico, il Niggio, è carico di energia come suo solito, mi racconta di essere felice per l’uscita del suo nuovo pezzo e di averlo già sentito su Radio Italia.

Il ritmo dell’amore è una canzone fresca, semplice e molto trasparente, ci stai invitando a vivere le relazioni con semplicità?
Secondo me le relazioni sono incontri che lasciano un affetto, una crescita, una stima, al di là del sentimento che si prova e della voglia di stare insieme. Il ritmo dell’amore parla di un ragazzo che decide di chiudersi in una stanza insieme ad una persona a cui vuol bene, che può essere una fidanzata o una ragazza conosciuta una sera. L’intento è quello di scoprirsi a vicenda, godendosi il momento. In un periodo storico in cui la gente preferisce uscire a farsi i selfie al mare oppure lascia freddare una zuppa al ristorante per fotografarla, è molto meglio stare chiusi in una stanza e viversi reciprocamente.

Il tuo nuovo singolo anticipa l’uscita del nuovo album, che anticipazioni puoi darci?
Per adesso abbiamo registrato alcuni pezzi che saranno dei singoli all’interno dell’album, Il ritmo dell’amore e altre due canzoni. Vediamo cosa viene fuori da altre registrazioni, ho molto materiale e dobbiamo ancora scegliere cosa incidere. Ovviamente il disco sarà composto da brani che parlano totalmente di me, come è stato Qualcosa da decidere (il suo disco precedente, nda). L’album che uscirà lo trovo più maturo, perché giorno dopo giorno ognuno di noi migliora e cambia la propria prospettiva.

Quanto sei cambiato come artista dal Festival di Sanremo ad oggi, soprattutto dopo le tue esperienze nazionali e “internazionali” da support act?
Sono più cosciente di ciò che faccio e soprattutto di cosa mi sta intorno. Quando entri nello show business capisci che la musica non è più soltanto uno sfogo in cameretta, ma diventa un lavoro, allora inizi ad ascoltare altri artisti dai quali pensi di poter imparare qualcosa, anche solo per affinare la tecnica o per ricercare nuove sonorità.

Ad esempio chi hai ascoltato?
A me piace molto Zibba, sia come cantante che come autore, avevo già iniziato ad ascoltarlo e nell’ultimo periodo ho avuto occasione di approfondire il suo repertorio. Poi un altro che ha fatto un bel boom è stato Calcutta e anche lui l’ho ascoltato molto. Un cantante che seguo da sempre è Vasco Rossi, sono cresciuto con lui. Infine, cerco sempre di ricondurre il tutto al vecchio blues, ai chitarristi, essendo un musicista mi diletto spesso in quello.

Una piccola curiosità, nel video de Il ritmo dell’amore hai un adesivo tratto dal nuovo album di Jake La Furia sulla tua chitarra, sei un suo fan o ce l’hanno appiccicato per sbaglio?
(ride) Ora ti spiego, è andata così. Premetto che i Club Dogo li conoscevo prima che avessero successo, quando iniziavano ad emergere nell’hinterland milanese. Ovviamente è un genere diverso dal mio, anche se quando ero piccolo ascoltavo i dischi di Fabri Fibra, quelli del primo-Fibra, tipo Turbe Giovanili. Per me è il numero uno. Anche Jake La Furia è un grandissimo rapper, lo stimo e penso sia molto simpatico. Il giorno prima di registrare il video de Il ritmo dell’amore sono andato in Universal e c’erano i suoi adesivi, avevano dei colori perfetti per la mia chitarra e così ne ho appiccicato uno.

Allora ci aspettiamo che Jake La Furia metta un adesivo di Enrico Nigiotti in un suo video, così siete pari.
(ride) Perchè no, non sarebbe male. Spero che gli piaccia il video e che nel caso lo condivida.

Ti capiterà di suonare in giro quest’estate? Quando ti troviamo in concerto?
Non lo so ancora, per ora c’è la promozione del singolo che è uscito da pochissimo. Non ti nascondo niente, è che sono proprio all’oscuro di tutto. Inoltre, uscirà il film di Paolo Virzì il 17 Maggio, La Pazza Gioia, in cui lui mi ha fatto recitare una piccola parte ed ha inserito due pezzi del mio vecchio album, Gli ultimi sopravvissuti e Nel mio silenzio. Lo ringrazio molto. Appena avrò nuove notizie sulle date dei concerti ve le farò sapere.

I talent show sono utili alla musica? Una lente di ingrandimento sul genere televisivo degli ultimi anni.

Talent-show-musicaLa fusione tra musica e televisione ha portato alla creazione dei Talent Show, un tipo di spettacolo che ha cambiato notevolmente il mondo della discografia. Ci sono state così tante edizioni dei diversi format nazionali ed internazionali che quasi si fatica a ricordare tutti coloro i quali hanno beneficiato della popolarità da talent.

Di questo poco ci importa, sarebbe inutile fare l’elenco dei vincitori. Ma se si pone la lente di ingrandimento sulla storia recente della discografia, possiamo notare come siano diventati una specie rara gli artisti emergenti o i cantautori, dissolvendo allo stesso tempo il ruolo del talent scout e la famosa sezione A&R (Artist & Repetoir) che esisteva in ogni etichetta.

Riflettendoci, la musica da talent è un prodotto da vendere, esattamente come uno spot pubblicitario, con delle peculiarità da rispettare per essere accattivante e acquistabile. In questo senso entra in gioco la tv, grazie ai numeri importanti dello share e grazie soprattutto all’ “emotainment”, come direbbe Carlo Freccero. L’intrattenimento emotivo è il succo della televisione del XXI secolo e con i talent show anche la musica è stata travolta da un’ondata di emozioni gratuite. Chi vince porta in alto la bandiera dell’amore e della pedagogia, generalmente.

Prendendo il caso di “Amici di Maria De Filippi”, un piccolo “C’è posta per te” per giovani amanti delle arti sceniche, il pubblico entra a contatto con i ballerini e i cantanti grazie alle loro storie personali, meccanismo che condiziona radicalmente il modo di concepire il singolo artista. Un tempo, nel pub sfigato in cui prendevi una birra per caso e ascoltavi un ragazzo esibirsi in una cover, poco importava se si fosse rotto una mano e per un anno non fosse più riuscito a suonare la chitarra, se in quel momento ti faceva venire i brividi allora c’era del puro talento. Tu chiamale, se vuoi, emozioni (cit.).

Ad oggi i cantanti che escono dai talent sono dipendenti da un’immagine costruita da un programma televisivo e da una major che ha deciso di investire sul target di quello show. L’artista resta solo un prodotto, un numero assegnato prima di un’audizione, una canzone virale che deve vendere per una stagione, che deve fare il disco d’oro, come una concessionaria automobilistica che deve raggiungere l’obiettivo di vendita annuale.

La domanda sorge spontanea: questo tipo di linguaggio può essere considerato artistico? Non è un caso che un personaggio storico del mondo della musica come Red Ronnie (http://youmedia.fanpage.it/video/ag/VkPpUOSwfhQdYu8g) abbia criticato aspramente il mondo dei talent, perché chi ha veramente a cuore l’identità musicale non può ritrovarsi a sfidare vicendevolmente un altro artista su canzoni scritte da terzi. Proprio il concetto di sfida è completamente opposto a quello dell’arte, intesa come condivisione e avvicinamento, ma rappresentata in tv come una lotta, uno schieramento, una divisione.

A questo punto è difficile sapere se chi partecipa ai provini sappia davvero a cosa andrà incontro, nessuno qui vuole distruggere dei sogni, ma se si vuole davvero vivere di musica c’è da chiedersi veramente se sia meglio farlo con una propria identità o con un’immagine costruita. Sicuramente con la seconda strada proposta si fa prima e si guadagna di più, soltanto se vinci e se vendi, ma se perdi che fine fai? Il gioco sembra non valere la candela.

A mio parere, riprendendo le parole di Red Ronnie, se Battisti e Mogol, Guccini, De Gregori, De Andrè o Dalla, avessero avuto un’audizione ad XFactor, oggi sarebbero dei cognomi comuni, perché a loro modo non erano pop, non piacevano a tutti per forza, bisognava ascoltarli per capire cosa volessero dire. Proprio così, perché la musica, prima di tutto, andrebbe ascoltata.

Come stanno mutando le radio italiane e come interagiscono con il mercato discografico? Qualche considerazione sul tema!

La-radiofonia-italiana-schiava-della-discografiaLa musica sta tornando nel suo periodo d’oro, è evidente. Non solo i vinili hanno di nuovo un posto prezioso nel mercato discografico, rinato grazie ai servizi di streaming, ma anche la televisione e il cinema sono ormai immersi in argomenti musicali, lo si nota da biopic su personaggi storici come Kurt Kobain, Janis Joplin ed Amy Winehouse o da serie televisive come Vinyl (se non l’hai vista, corri a vederla, nda). In questa ascesa verso l’apice, la radiofonia si può considerare una costante che continua ad evolversi in ogni periodo storico, adattandosi ad ogni nuovo media del momento.

In Italia, le radio nazionali stanno mutando in maniera estrema, poiché rispetto agli ultimi dieci anni non ci sono più delle nette divisioni tra i gruppi editoriali, tanto che Mediaset, già proprietaria di R101, ha appena acquisito le radio del Gruppo Finelco (Radio 105, Radio MonteCarlo e Virgin Radio).

Oltre alle proprietà Rai, per riassumere il panorama nazionale restano solo da citare quelle del Gruppo Espresso (Radio Deejay, M2o, Radio Capital), Radio KissKiss, Radio 24, RTL 102.5, RDS e Radio Italia. Queste ultime tre radio sono accomunate dall’etichetta discografica Ultrasuoni di Lorenzo Suraci, la quale ha prodotto artisti come i Modà o Luca Dirisio.

Di recente, come riportato su Radiospeaker.it, il frontman dei Modà si sarebbe lamentato della condotta di RDS e Radio Italia, le quali secondo lui non avrebbero sostenuto mediaticamente la band. La questione fa riflettere sul “potere” della discografia all’interno delle radio, come se questo storico media non fosse più uno strumento di condivisone della miglior musica in circolazione, ma solo un supporto per gli affiliati.

Inoltre, i cantanti stanno sostituendo gli speaker in alcuni programmi, cambiando notevolmente la qualità della conduzione radiofonica: Marco Mengoni e Giovanni Caccamo hanno presentato dei format su Radio 2 e sia RadioNorba che RTL 102.5 danno spazio direttamente ai cantanti in studio. L’unica scelta “giustificata” è stata quella di Radio Deejay nella nuova formula di ‘One Two One Two’, condotta da rapper celebri essendo un programma dedicato principalmente alla cultura hip hop.

Quindi, sebbene si sia sempre vociferato sul coinvolgimento passivo della discografia nella programmazione musicale dei network nazionali, ad oggi si può dire che il mercato discografico sia attivamente coinvolto in questo media, sovvertendo il modello classico della rotazione musicale scelta per la buona qualità del singolo o la classica ospitata promozionale in uscita del disco.

C’è da chiedersi allora cosa resta della radio adesso che i conduttori radiofonici sono in buona parte presentatori televisivi, scrittori e cantanti. Non lasciare libertà di espressione alla vera radiofonia e alla musica rischia di allontanare gli ascoltatori dai network nazionali, favorendo di fatto le radio locali, le giovani web radio o il semplice streaming. Attenzione, siamo ad un passo dall’avere internet nelle nostre auto e questo cambierà notevolmente tutto il mondo radiofonico, comprese le scelte dell’audience.

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