Etichette361: Maciste Dischi e la forza della parola
Una delle etichette indipendenti che ha maggiormente influenzato il panorama italiano negli ultimi tre anni. Da Gazzelle ai Canova, Galeffi e molti altri.
Maciste, icona di forza e bontà, un personaggio che si ispira agli dei dell’Olimpo, alla mitologia greca, ma ha come autore un italiano: Gabriele D’Annunzio. Da un maestro della forza della parola a chi oggi le mette in musica e riempe i concerti. Maciste Dischi, un’etichetta “con il cuore sempre in erezione”. La metafora alza l’asticella, ma, a quattro anni dagli esordi, è stata completamente motivata dai risultati.
Da neonata a punto di riferimento
Era l’8 ottobre 2014 quando nacque la label fondata da Antonio “Gno” Sarubbi, insieme al primo progetto seguito, i Jonny Blitz. È bastato un solo anno di assestamento per entrare nel circuito delle indipendenti da seguire con attenzione. Nel 2015 la label vince il premio “Freak Label” del MEI di Faenza come Miglior etichetta discografica giovane italiana e successivamente, nel 2016, i Siberia e Miele partecipano al Festival di Sanremo, sezione Nuove Proposte. Miele fu vittima, sul palco dell’Ariston, di un errore tecnico nella rilevazione dei voti, motivo per il quale venne preferito a lei (a verdetto favorevole già pronunciato) proprio Francesco Gabbani con “Amen”, futuro vincitore dell’edizione. 2016 e 2017 sono anche sinonimo dell’incoronamento definitivo (e ancora inconsapevole) a realtà di spicco. Anni storici per la musica italiana, che ha visto la nascita di una nuova ondata di artisti di riferimento, tra i quali i Canova e Gazzelle.
Vale la pena spendere due parole su questi progetti, anche se solo due sono semplicemente riduttive. I Canova con “Avete ragione tutti” hanno scritto una pietra miliare, allo stesso identico livello di “Mainstream” di Calcutta, “Completamente Sold Out” dei Thegiornalisti, “Marassi” degli Ex-Otago e “Aurora” de I Cani. Discorso analogo per “Superbattito” di Gazzelle. Questi sono album da conservare sullo scaffale di casa e ascoltare centellinando le riproduzioni come i sorsi al miglior vino. Oltre all’indiscusso successo, ai numeri prodotti, sono il punto chiave di una rivoluzione musicale partita dal basso, esterna ai meccanismi della televisione, delle playlist, delle visualizzazioni dopate. Proprio venerdì 30 novembre uscirà “Punk”, il nuovo disco di Gazzelle, anticipato dai singoli “Sopra” e “Scintille”. C’è una grande aspettativa, alla parti del nuovo lavoro dei Canova, preannunciato da “Groupie” e “Domenicamara”.
Oggi Maciste Dischi, da realtà affermata, è anche patria di Galeffi, Mox, Fulminacci e Diamine. La metafora della forza, nascosta esplicitamente nel nome della label, è diventata reale nel momento in cui l’attenzione artistica posta sul proprio roster ha fatto evincere quanto potenti siano le parole di questi aristi e autori. “In fondo con le mani potevi farci un sacco di cose”, loro hanno deciso di scrivere e suonare con la S maiuscola.
Contatti per emergenti
Sulla pagina Facebook di Maciste Dischi, nella sezione “Informazioni”, è possibile reperire tutti contatti dell’etichetta discografica. Cliccando su questo link sarà possibile accedere direttamente al contatto Messenger della pagina, mentre la mail ufficiale è info@macistedischi.net.
Etichette361: Woodworm e il prossimo festival a Berlino
Motta, Ministri, The Zen Circus, Fast Animals and Slow Kids e tanti altri nel roster dell’etichetta. In programma a dicembre il Woodworm Berlin Festival.
Non serve essere milanesi o romani per diventare un polo di riferimento della propria nazione. Non serve essere una multinazionale per avere un ventaglio artistico di tutto rispetto. Certo, le finanze farebbero comodo, ma la storia di Woodworm, tra l’essere e l’avere, ha scelto la prima strada, fin dalla nascita. Una città umile come Arezzo (Toscana), frutto del destino e il desiderio di fondare un’etichetta che stampasse vinili. Era il 2011, il mercato di oggi non si era nemmeno affacciato alla finestra per vedere come fosse il tempo.
È una storia coraggiosa quella di Marco Gallorini – manager e discografico – e Andrea Marmorini – produttore e musicista. Quando si cerca la qualità arrivano i risultati e soprattutto si costruisce mattone su mattone. Ecco che nel 2014 e nel 2016 la label vince il Premio MEI come miglior etichetta indipendente italiana. Il roster aumenta. Una delle doti più grandi di questo progetto è la caratteristica di saper ascoltare. È un vasta scelta di colori la tavolozza di Woodworm Music. Quando è così, il pittore si diverte davvero: le chitarre potenti dei FASK, la malinconia di Motta, il carisma dei Ministri, il rock degli Zen Circus. E ancora, la penna di Dente, Campos, Dunk, Paletti, Paolo Benvegnù, Edda, La Rappresentante di Lista, Rancore, Mudimbi. Più di 66 release all’attivo e il traguardo raggiunto dell’importante produzione su vinile. Il pregio di un mondo veloce, in rapido contatto etereo, è che Arezzo può essere New York se sai sfruttare le tue opportunità, se vuoi cogliere ogni singola possibilità.
“Andiamo a Berlino” – Woodworm Berlin Festival
Woodworm Festival è l’evento per eccellenza dell’etichetta, che negli anni ha calcato palchi importanti d’Italia. Pensare che quest’anno arrivi all’estero, in una città come Berlino, dove la storia e la cultura si fondono a una profonda tradizione di festival musicali lascia il segno. Un’occasione unica per promuovere all’estero alcune tra le band più apprezzate del panorama musicale italiano, grazie al contributo di Mibac, SIAE e nell’ambito di “Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura”.Nella cornice del Bi Nuu, il prossimo 8 e 9 dicembre si esibirà la seguente line-up:
8 DICEMBRE
Fast Animals and Slow Kids
I Ministri
After party Mùsica Mata
9 DICEMBRE
Campos Band
la Rappresentante di Lista
Motta
La nuova era della musica italiana rompe i confini dello Stivale, come rotte sono ormai le barriere linguistiche o le preferenze di genere. Nulla vieta che la musica di qualità possa essere ascoltata e goduta da chi ha voglia di interessanti novità, quelle che non mancano a Woodworm. L’invito è quello a partecipare, qui il link alle prevendite.
Contatti per gli emergenti
La storia della label è un modello per gli artisti emergenti. In fin dei conti emergenti lo erano anche Marco e Andrea prima di imbattersi nella loro avventura. Basta allargare le spalle, prendere coraggio e inviare le demo a woodwormusic@gmail.com. Come riportato su sito ufficiale, nella sezione “Contatti”, vengono preferiti link in streaming alle canzoni e: “Un consiglio: ascolta quello che abbiamo già pubblicato prima di spedirci una proposta, non perdi tempo tu, non ne perdiamo noi e possiamo concentrarci maggiormente sull’ascolto di proposte realmente vicine alla nostra linea editoriale. Ascoltiamo ogni proposta che ci viene inviata, ogni singola proposta, davvero, te lo giuriamo.”
Etichette361: Cello Label e gli artisti italiani all’estero
C’è tutto un panorama in continua evoluzione: la musica italiana all’estero. Ecco un’etichetta che produce dal Belgio in Italia e in tutto il mondo.
Il viaggio di Etichette361 ha deciso, questa settimana, di prendere una strada secondaria e finire all’estero, in particolare in Belgio, patria di Cello Label, un’etichetta creata da italiani, un polo della musica indipendente nostrana all’estero, con un’occhio di riguardo anche verso lo Stivale. Per non perdere l’occasione di capire come può insediarsi un artista italiano in questi mercati (cantando in inglese o nella propria lingua), ci siamo fatti raccontare l’etichetta dal co-founder Alessandro Cirone.
Come nasce Cello Label?
Faccio il musicista da quando avevo 16 anni, ora ne ho 43. Ho iniziato a suonare professionalmente insieme a Garbo, un cantante degli anni ’80 che andava forte. Mi sono trasferito all’estero per ragioni di cuore, mia moglie fa l’economista e siamo arrivati a Bruxelles (Belgio), dove ho deciso, quest’anno, di creare un’etichetta insieme a un mio amico, Marcello Mereu, in arte March. La label non ha sede in Italia, ma lavoriamo tantissimo con artisti italiani, infatti stiamo pensando di aprire una filiale nel nostro paese. L’idea era quella di avere un’etichetta che connettesse l’Italia al mercato estero, siccome organizziamo concerti ed eventi con le radio belga e olandesi.
Infatti ho visto che il vostro roster ha diversi artisti italiani che cantano sia nella propria lingua, che in inglese.
Si, spesso produciamo cantautori italiani, che scrivono nella lingua madre oppure in inglese, in base ai mercati in cui vogliono essere protagonisti. A dicembre siamo in uscita con March, di recente abbiamo prodotto il nuovo lavoro di Giacomo Lariccia, che va molto forte qui in Belgio, in Francia, in Germania e che è arrivato in finale più volte al Premio Tenco.
Non abbiamo una linea artistica, navighiamo a vista. Pian piano stiamo prendendo una direzione sul pop italiano in stile Jurigami, altro nostro artista.
Come si riesce ad essere forti all’estero pur scrivendo in italiano?
C’è tanta curiosità. Tutto quello che è italiano è ben considerato quindi gli si dà un’attenzione particolare. Ci sono due aspetti da tenere in considerazione: l’opinione delle persone del posto, ad esempio in Olanda un cantante molto celebre è Marco Borsato, che ha anche tradotto tante canzoni di Zucchero o Cocciante, e la folta comunità italiana all’estero, basti pensare che in Belgio si è mossa una grande parte della popolazione dopo la guerra, a lavorare nelle miniere. Sono nate nuove generazioni da queste migrazioni, solo a Bruxelles sono circa 35.000 gli italiani. Quando vengono Elisa o Max Gazzè in concerto fanno il pienone. Oggi tutto il nuovo mondo indie cerca di approdare a questi mercati. Di recente, per Radio Pizza, la web radio in cui lavoro, ho intervistato dal vivo Colapesce, Maldestro e molti altri venuti per concerti e promozione.
Una costante di Etichette361 è il rapporto tra le etichette e la musica digitale. C’è meritocrazia nel modello attuale?
È un discorso complesso. Il digitale è una finestra sulla musica globale, dall’altra parte, in negativo, chi produce vede arrivare nelle proprie tasche decimi di centesimo per ogni ascolto. Quindi, dal punto di vista economico questo sistema è insostenibile, per ritornare nell’investimento l’etichetta e l’artista puntano sul live. In più, la meritocrazia è in bilico, perché c’è tanta musica, Spotify permetterà di pubblicare le canzoni senza passare dagli aggregatori, quindi emergere sarà ancora più difficile. Aggiungo che ormai si parla solo di playlist ed è sempre più difficile raggiungere chi le cura. Non è facile emergere. I numeri sui social sono falsati, non si capisce più quali sono quelli comprati e quelli reali.
Manca una regolamentazione. MIA, Musica Indipendente Associata, intervistata da noi settimana scorsa, potrebbe avere una soluzione in tasca. Tornando a Cello Label esistono molti emergenti che decidono di cantare in inglese. Quanto è difficile per un italiano che canta in un’altra lingua insediarsi in un mercato estero?
Dire mercato estero è molto generico. In Inghilterra, America e in Australia se non sei madrelingua sei penalizzato. Ci sono dei paesi come la Germania, il Belgio o l’Olanda dove invece è possibile muoversi.
Se un artista volesse entrare nel vostro roster?
Sul sito c’è una sezione dedicata all’invio di nuovo materiale da ascoltare. Noi prendiamo sempre visione di ciò che ci arriva e rispondiamo a tutti. Adesso siamo impegnati con Simone Tomassini, che uscirà a marzo con un nuovo album. Avendo alle spalle 15 anni di carriera, un Festival di Sanremo, Festivalbar e le esperienze con Vasco, è il nostro artista più importante per ora.
Etichette361: MIA, la rivoluzione discografica è possibile
Si chiama MIA – Musica Indipendente Associata – la nuova associazione di categoria a tutela di etichette, produttori e distributori musicali, che punta a una rivoluzione del mercato nella tutela dei diritti e della trasparenza.
La digitalizzazione ha coinvolto tutti i settori, in particolar modo il mercato musicale. Tutto ridotto a numeri e a connessioni veloci, un continuo scambio di flussi di dati. È difficile seguire il cambiamento di un mondo che viaggia a questa velocità, per questo motivo servono organi che si occupino di informare, formare e agire a favore della tutela dell’arte.
Questo è uno dei punti cardine della neonata MIA – Musica Indipendente Associata, che porta con sé un’aria rivoluzionaria. Tra i grandi temi trattati la rendicontazione analitica delle riproduzioni dei brani (a discapito della forfettaria), l’inserimento di tutti i servizi digitali nelle classifiche ufficiali e la richiesta di spazi ben definiti per gli indipendenti su media (e nuovi media) di rilievo nazionale. Maggiore trasparenza e meritocrazia. Ne abbiamo parlato con il presidente Federico Montesanto.
Come e perché è nato il MIA?
MIA nasce dall’esigenza di tutelare e rappresentare gli interessi dei produttori fonografici, etichette discografiche e distributori musicali, sempre più specifici in questo attuale contesto di mercato. All’inizio eravamo un piccolo gruppo di aziende, che hanno sin da subito deciso di non definirsi fondatori, anche a livello statutario, e questo proprio per dare un segnale molto chiaro in termini di uguaglianza di diritti e di rappresentanza tra associati. La sfida che vogliamo cogliere, nell’interesse dei nostri associati, si inserisce nel mercato attuale, sempre e più inesorabilmente caratterizzato dallo streaming. Credo che quello che stiamo affrontando, sia un vero e proprio momento epocale di passaggio, molto diverso da quelli precedenti, che hanno visto al più un cambio di supporto, mentre oggi è in discussione l’intero modello di business. Se ci si pensa, sin dalla sua nascita la discografia ha sempre e solo fatto la stessa cosa, vendere i dischi, mentre oggi il modello di business si sta spostando sempre di più verso la fruizione della musica e quindi anche verso forme di retribuzione alternative alla vendita e caratterizzate semmai da logiche di gestione del data flow (flusso di dati, nda) e di creazione del valore derivante proprio da questa gestione. In questo scenario attuale, abbiamo ad esempio riscontrato una serie di criticità che stanno interessando il nostro settore, in particolare quello degli indipendenti, e crediamo che sia sempre di più necessario, nell’interesse del settore, informare e favorire il dialogo.
Hai citato un importante cambiamento del mercato, conseguenza del processo di digitalizzazione dell’industria. Qual è il ruolo di MIA in tutto ciò?
Innanzitutto favorire il confronto costruttivo nel settore e con le istituzioni, anche al fine di sviluppare quegli strumenti normativi dei quali avremmo necessità per poter affrontare, con successo, l’attuale scenario di mercato. Detto questo è importante chiarire che sebbene il mercato sia già oggi principalmente caratterizzato dallo streaming ed in generale dal digitale, MIA si interessa attivamente anche degli interessi di tutta quella consistente fetta di aziende che ancora sviluppano un business legato al supporto fisico e quindi, anche a tutto ciò che da questo ne consegue in termini di criteri di ripartizione dei diritti. MIA inoltre si fonda su un concetto molto semplice, che è quello del dialogo costruttivo senza pregiudizio ed in tal senso il suo interesse è quello di favorire con la propria attività, l’incontro fra quelle parti trasversali che magari a volte in passato si sono scontrate, ma che oggi hanno necessariamente esigenza di incontrarsi e dialogare se vogliono arrivare a delle soluzioni condivise.
Restando in tema digitalizzazione, in un mercato così veloce sembra ancora difficile monitorare i reali passaggi delle canzoni sulle diverse piattaforme e media. Anche questo è un punto sul quale lavorerà MIA?
Il problema non si presenta quasi mai, se non nei limiti statisticamente tollerabili di pochissimi falsi positivi, nelle rendicontazioni dei DSP (Digital Service Provider), mentre invece è un annoso problema se rapportato alle utilizzazioni musicali. Un problema però che oggi, nel 2018, può e deve essere affrontato e risolto.
L’agenda di MIA non a caso, comprende tra i suoi obiettivi il riconoscimento del dovuto per ciascun titolare, attraverso la massima diffusione della rendicontazione analitica delle utilizzazioni musicali, grazie alla diffusione di sistemi di riconoscimento automatico basate su tecnologie di audio-fingerprinting, che devono tuttavia essere opportunamente supportate da competenze professionali specifiche, per poter fornire rendicontazioni davvero precise e complete. Il tema è molto complesso ma la sua buona prassi è indispensabile per la prosperità della categoria.
Questo rivoluzionerebbe davvero il mercato.
Più che una rivoluzione, sarebbe un adeguarsi a quegli standard internazionali oramai applicati in molti altri paesi. Oggi sono troppi i milioni di euro che ogni anno vengono ripartiti in maniera forfettaria o peggio con criteri opinabili, e chiaramente questo scenario rischia spesso di favorire i più forti.
Quindi sottolineiamo che MIA ha già il modello pronto.
L’infrastruttura già c’è, da tempo. MIA ha deciso di produrre un apposito studio che fornisca un quadro esauriente delle reali possibilità di produrre rendiconti affidabili, attraverso la standardizzazione dei modelli di interscambio delle informazioni tra Utilizzatori e Società di Collecting. In tal senso la nostra associazione, assistita da LA COSA S.r.l., società che da quasi 25 anni opera nel settore della rendicontazione dei diritti musicali, ha già da qualche mese intrapreso l’iniziativa volta a dotare il mercato di questi standard, a partire dal settore Broadcast ed ha già invitato i principali soggetti che operano in questo comparto, a fornire le informazioni necessarie per definire il tracciato standard ottimale per la rendicontazione dei diritti connessi fonografici e condividerlo con tutti gli attori, partendo proprio dalle Società di Collecting.
Quali sono gli altri punti che porterà avanti l’associazione?
Una maggiore trasparenza nei criteri di rilevazione dei dati ufficiali del consumo di musica in Italia e nell’attribuzione del market share degli indipendenti e l’introduzione di una classifica musicale “a valore” che includa tutti i principali servizi digitali capaci di generare ricavi.
Oggi sicuramente lo streaming ha un ruolo fondamentale nell’indicizzazione degli ascolti agli ascoltatori. In particolare chi popola determinate playlist è “automaticamente” sulla cresta dell’onda. Anche in questo sarebbe necessaria più trasparenza, a meno che non ci sia un criterio meritocratico di ingresso nelle playlist.
In termini di indicizzazione va detto che l’algoritmo che propone le novità all’ascoltatore, in base alle sue preferenze singole, è molto migliorato e continuerà a svilupparsi. E questo è molto positivo. Sulle playlist però il discorso è molto più complesso ed articolato, sebbene fondamentale visto quanto sono determinanti nel far performare determinati brani al posto di altri. L’inserimento nelle playlist più importanti è sicuramente caratterizzato da diversi fattori, alcuni anche meritocratici poiché basati su specifici criteri di rilevazione degli streaming o anche della viralità, in altri casi però è ancora troppo spesso vincolato a scelte “editoriali” che di editoriale hanno poco. In tal senso riteniamo abbastanza pacifico che, se ad esempio per essere inserito in una delle playlist importanti, ci si debba rivolgere ad una multinazionale o a quelle poche altre società, quasi sempre le stesse ed in alcuni casi da queste possedute, allora forse un problema esiste e se ne dovrebbe discutere serenamente. Perché gli indipendenti, che pure generano insieme dei numeri estremamente significativi, si ritrovano poi ad essere cosi sotto esposti? Noi crediamo che la creazione del valore non possa partire dalla distruzione del valore di un altro, ma dalla creazione di un ecosistema che garantisca parità di accesso al mercato ed agli spazi in ragione di criteri meritocratici, perché no? Magari anche basati sulla market share reale.
Quali sono i prossimi appuntamenti dell’associazione?
Il 23 novembre alle 14.30, presso la Palazzina Liberty di Milano, ci sarà il nostro primo evento ad invito: La musica è di tutti, la musica è MIA che vedrà coinvolte diverse personalità del nostro settore e delle istituzioni e che, grazie al Comune di Milano, ha avuto l’onore di essere inserito nella prestigiosa cornice della Milano Music Week.
In conclusione, come è possibile iscriversi all’associazione?
È molto semplice. Come Associati Effettivi possono iscriversi produttori fonografici, etichette discografiche e distributori musicali. Come Associati Aggregati, anche enti, associazioni o società di collecting, che condividono i nostri obiettivi. Sul sito del MIA è possibile prendere visione dello Statuto e dei Regolamenti ed è possibile scaricare la domanda di iscrizione, che andrà compilata ed inviata al Consiglio Direttivo all’indirizzo del direttivo direttivo@musicaindipendenteassociata.org.
Etichette361: Futura Dischi, una realtà vincente
I Segreti e i Costiera sono gli artisti di Futura Dischi. Pochi, ma buoni, sintomo dell’intuito visionario dell’etichetta.
Non è detto che un’etichetta debba avere un folto roster. Futura Dischi, ad esempio, ha solo due band che stanno tracciando un percorso importante. I Segreti, usciti di recente con l’album “Qualunque cosa sia”, sono stati più volte protagonisti della playlist Indie Italia di Spotify, tanto da finire in copertina. I Costiera possiedono una costante di quasi 50 mila streaming mensili. Quale sarà la formula per ottenere tutti questi ascolti? Lo abbiamo chiesto direttamente all’etichetta.
Come nasce Futura Dischi?
Nasce una sera di dicembre più o meno un anno fa, a Milano, davanti a un cappuccino.
Qual è la linea artistica dell’etichetta?
Canzoni italiane, da cantare a squarciagola.
Al momento pochi artisti nel roster, ma di grande qualità, visti i risultati in streaming. Come avete scoperto i Costiera e I Segreti e qual è il vostro criterio di talent scouting?
I Segreti li abbiamo ascoltati per la prima volta quando Simone Sproccati (produttore che aveva iniziato a lavorare con loro su quello che sarebbe diventato il primo disco), ci ha chiesto un parere. La sincerità e il coraggio di quei ragazzi e di quelle canzoni ci ha sorpreso. È partito tutto da li.
Anche per i Costiera, poi, nasce tutto in un bar, ma di Piazza Bellini (Napoli): un disco da ascoltare e un cappuccino. Viviamo di canzoni da sempre, avevamo questo desiderio dell’etichetta e queste canzoni ci hanno aiutato a farlo. Un talent scouting vero e proprio non lo facciamo, ma prendiamo molti cappuccini al bar.
Riuscire a raggiungere la copertina di Indie Italia è un grande risultato per qualsiasi emergente. Come viene assegnato questo “riconoscimento”? È Spotify a decidere su una decisione qualitativa o avviene in automatico dopo un exploit di stream?
Ah boh, noi con i nostri artisti facciamo canzoni, il resto viene da sé.
Quali sono i punti fondamentali per attirare gli ascoltatori a muoversi sullo streaming? Oggi il mercato è cambiato molto, anche i profani conoscono le sponsorizzazioni via social, ma per fare promozione mirata su Spotify serve tecnica.
Quello che serve è un team. Oggi la musica è anche comunicazione e project management. Per raggiungere determinati obiettivi occorre che la band sappia cosa deve fare ed abbia totale fiducia nel team che si occupa di gestirla/promuoverla/supportarla.
In che modo gli artisti possono contattarvi per inviare nuove demo?
Facile. Basta scriverci una mail a futuradischi@gmail.com. Negli ultimi 6 mesi abbiamo ricevuto un quantitativo enorme di proposte. È difficile starci dietro, ma ascoltiamo tutto o quasi. Quello che non riusciamo a fare sempre è dare dei feedback a tutti, anche negativi e ci dispiace molto.
Quali sono le prospettive future che potete rivelare?
La nostra priorità è seguire al meglio i dischi d’esordio di I Segreti e Costiera, poi chissà cosa capiterà davanti quel cappuccino.
Etichette361: RECmedia e la promozione discografica
Come viene comunicato un progetto discografico? Filippo Broglia, amministratore di RECmedia, ci ha guidato all’interno del mondo della promozione discografica.
Dopo aver lasciato la direzione generale di Radio Italia Solo Musica Italiana nel 2001, Filippo Broglia ha deciso di dedicarsi a RECmedia, occupandosi di promozione radiofonica e collaborando con i maggiori uffici stampa italiani. Il lavoro dell’agenzia è quello di andare a proporre progetti di grandi artisti e di nuovi emergenti a differenti media.
Oltre alla realizzazione di un disco, un artista deve mettere nel budget un investimento per la promozione. Dalla tua esperienza possiamo capire il modo in cui viene progettata la comunicazione di un progetto discografico. Qual è il percorso che viene disegnato?
Il problema principale di diversi artisti è quello di investire tanto nella realizzazione del disco, senza considerare un costo per i professionisti della promozione. Uno dei consigli che do sempre, in fase pre-progettuale, è quello di tenere ben conto di tutte le voci e i costi, compresi quelli per la promozione. Questa a volte viene considerata come “mandare il disco alle radio”. Non funziona così. C’è un lavoro di pre-ascolto, di incontri, di ricerca di spazi dove andare a contestualizzare un progetto. Non si può mandare un brano a chiunque. Le radio, tendenzialmente, non sono aperte alla nuova musica, anche quella dei grandi artisti, perché prima vogliono vedere che cosa succede. Una volta, la radio programmava, lanciava, un progetto e il web accoglieva il successo tratto dai network. Oggi sono le radio che consacrano un successo che arriva dal web. Per questo è cambiato il modo di fare promozione: il big capisce quali siano le esigenze e le difficoltà, il giovane vorrebbe andare ovunque, ha fretta e non capisce che prima di tutto bisogna costruirsi una credibilità. Sono padre di tre figli di 25, 22 e 20 anni, so che il giovane medio è cinico, perché si trova di fronte a una realtà difficile in cui si fatica a trovare lavoro.
Con RECmedia si decide un piano di attività, un piano di costi e poi si inizia a lavorare a un progetto. Difficilmente lavoro con persone che non conosco. Voglio incontrare l’artista, passarci delle ore, vivere la persona. Mi è capitato di lavorare con qualcuno che non conoscevo qualche anno fa, poi purtroppo ha lasciato questa terra. L’artista in questione è Prince, che ho rappresentato sul territorio italiano per gli utlimi due progetti. Quando, successivamente, l’ho incontrato, mi ha fatto i complimenti per il lavoro che la mia struttura aveva fatto, con una grande serietà. C’è anche da dire che lavorare con un nome della sua statura artistica è nettamente più facile.
Oggi si pone molta attenzione ai numeri, ai dati, alle visualizzazioni. È questa la formula per il successo?
In qualsiasi campo contano i numeri, ma secondo me bisognerebbe rendere più umano il nostro lavoro. È logico che le rilevazioni siano fondamentali, ma è arrivato il momento di smettere di dopare i numeri. Comprare (visualizzazioni, nda) non serve a niente, perché la verità prima o poi viene a galla.
I social media hanno un forte impatto sul mercato. Come li utilizzate per promuovere gli artisti?
Noi chiediamo di essere presenti su Facebook, Instagram e Twitter. Forse Facebook ha perso terreno su un target più giovane, ma resta comunque una buona base. Su quel tipo di contesto funziona molto il gossip, la foto rubata dal fan, però tutto questo non serve a far vendere un disco in più. RECmedia vuole comunicare la creatività artistica dei propri progetti. Le opinioni personali le destiniamo ai profili privati.
Quali progetti sta trattando RECmedia?
In questo periodo sto lavorando con Amedeo Minghi, che è uscito con un doppio album live (il cofanetto “Tutto il tempo”) e con un omonimo inedito di un’attualità pazzesca. Mi piace lavorare a progetti come il suo perché è molto più attuale di tanti progetti che ci sono ora sul mercato. Consapevole delle difficoltà che ci sono oggi per il suo modo di fare musica.
Allo stesso modo Gatto Panceri, uscito con un disco di 19 pezzi (“Pelle d’oca e lividi”), cosa che non fa più nessuno. Ha impiegato quattro anni a realizzarlo, un lavoro pazzesco. Può piacere o non piacere, l’ho accompagnato a fare live in tutta Italia e mi sono trovato di fronte davvero tante persone che lo amano e lo stimano. Un altro progetto molto interessante è quello di Luigi “Grechi” De Gregori, fratello di Francesco, che ha deciso di fare un’operazione molto particolare. Si chiama “Un disco al mese”, ogni 21 del mese pubblicherà sul suo sito un brano inedito a sorpresa. Noi inviamo la traccia alle radio e dopo un mese quella canzone sparisce da ogni piattaforma. Resterà solo alle radio nei loro archivi.
Etichette361: A.MA Records e la nuova vita del jazz
Tradizione e innovazione, passato e futuro del jazz. A.MA Records vuole disegnare un percorso dalle radici del genere alle sonorità per le nuove generazioni.
Il jazz rappresenta la radice musicale di tutti i generi odierni. Spesso viene associato a una difficoltà di comprensione dal grande pubblico, per i suoi ritmi sincopati e i suoi schemi particolari. Ma il jazz non si è fermato alla tradizione, negli anni è evoluto e ha trovato artisti che hanno cercato di fonderlo con altri generi, differenziando le sfaccettature e aprendo nuovi mondi agli ascoltatori.
L’obiettivo di A.MA Records è proprio questo, fondere la tradizione afroamericana a nuove sonorità, creando qualcosa di nuovo, stimolante, proiettato verso il futuro e verso le nuove generazioni. Il produttore Antonio Martino, fondatore dell’etichetta, ha raccontato a Musica361 la missione di A.MA Records e il momento storico attuale del jazz.
Iniziamo dalla scena jazz italiana. Che rilevanza ha a livello nazionale e internazionale?
La scena jazz ha un mercato di nicchia. La musica digitale domina il business, i ritorni delle vendite sono risicati, ma grazie ad internet hai la possibilità di affacciarti a un mercato globale. A.MA vende in tutto il mondo, proprio la scorsa settimana eravamo nella top 20 di iTunes in Germania.
Posto il grande rispetto che è giusto dare alla tradizione del jazz, qual è il lavoro di innovazione che sta svolgendo A.MA Records?
Il jazz è un linguaggio che si basa sulla tradizione afroamericana. Negli ultimi 50-60 anni ci sono state alcune evoluzioni. In particolare il jazz europeo è diverso dalla radice nativa. In A.MA Records cerchiamo, invece, di rimanere legati al suono afroamericano. Sono un produttore a cui piace la commistione di generi, come quella tra hip hop/R’nB e jazz, il soul jazz o il funky jazz, dove si ha più ampio respiro. Di recente ho prodotto un disco che fonde la tradizione jazzistica ai suoni elettronici, si chiama “Subconscious Jazz” di Foglianese, l’abbiamo presentato al World Photo Press Exhibition 2018 di Torino il 12 ottobre.
Ogni etichetta sceglie la sua caratura stilistica. C’è chi punta molto sul mainstream. Personalmente sono rimasto affascintato da ciò che è successo in America negli ultimi 10-15 anni, in cui l’unione del mondo del jazz ad altre realtà vuole avvicinare le nuove generazioni, togliendo al genere un velo di polvere, l’etichetta di essere vecchio. Ci sono tantissimi artisti hip hop in cui si può sentire la vena della musica nera e la tradizione jazzistica, come ad esempio Kendric Lamar, D’Angelo, Erykah Badu, Marcus Strickland. Il jazz è di principio un genere musicale che ha inglobato la tradizione africana e quella europea. Se vogliamo avere una speranza di sopravvivenza nel mercato odierno, dove lo streaming è l’unica via e i ritorni sono pochi, è necessario rinnovarsi.
L’artista, quindi, guadagna prettamente dal live anche nel jazz?
Esattamente. Poi sulla diffusione. Il mio lavoro è anche quello di far arrivare la musica più lontano possibile. Il disco di Foglianese è già andato su sei radio europee e andrà su Rai Radio3 nei prossimi giorni. Questo sistema permette un ritorno economico in termini di diritto d’autore.
La promozione digitale procede come nel pop, ovvero con l’uscita di un singolo su piattaforme digitali e streaming, più video annesso, oppure è tutto diverso nel mercato jazz?
Nel caso di A.MA Records facciamo uscire subito il disco fisico (CD o Vinile), successivamente procediamo su iTunes e Amazon per il download digitale, e poi, a distanza di mesi, pubblichiamo sui canali streaming come Spotify e Deezer. Una volta in streaming finiscono le vendite di dischi, continuano in parte quelle del vinile per via della passione del collezionismo e tramite il merchandising. Questa è una mia politica, molti colleghi non la vedono così. I video dipendono dal budget di ogni progetto, però ovviamente se compresi vengono annessi all’uscita discografica.
Come potete essere contattati per l’invio di nuove demo?
Riceviamo dischi ogni giorno, sia sul territorio nazionale, che internazionale. Proprio qualche settimana fa ho prodotto un disco con alcuni artisti francesi e tedeschi che uscirà nelle prossime otto settimane. Potete contattarci via mail su info@amaedizioni.it, sui nostri social network e sul sito di A.MA Edizioni.
Etichette361: New Music International e la disco dance in Italia
La storia della disco dance italiana, un patrimonio artistico che ha influenzato il mondo, è iniziata da New Music Internazional di Pippo Landro. Una pietra miliare.
Era il 1986 quando venne fondata New Music International da Pippo Landro, un vero esperto della disco dance, il quale, grazie alla sua passione, ha iniziato prima a importare i dischi dall’estero e poi a produrre successi che hanno fatto il giro del pianeta, influenzando generazioni di musicisti e ascoltatori. Una delle hit più comprate e ballate in pista è stata Can’t Take My Eyes Off You di Gloria Gaynor, della quale Pippo ha voluto raccontarci un aneddoto singolare nel corso del viaggio alla scoperta della sua etichetta. Dalle sue parole traspare l’amore per la copia fisica, dovuto all’esperienza diretta durante il boom della discografia. C’è una nostalgia romantica dell’ascolto tramite puntina e hi-fi, sul divano di casa con gli amici o nella pista da ballo il sabato pomeriggio. New Music International è una storia che merita di essere raccontata.
Come nasce New Music International?
Tutto è iniziato dallo storico Bazaar di Pippo, negozio di dischi di Viale Tunisia a Milano, nel quale veniva importata musica dall’estero. Nel 1986 siamo diventati distributori ed etichetta discografica. Facevamo dei veri successi con l’importazione, uno tra tanti Born To Be Alive di Patrick Hernandez, che importammo dalla Francia o Bamboleo dei Gipsy King. Tutti i giorni arrivavano novità dall’Europa, dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti.
Come riuscivate a scovarli?
Avevamo informazioni dirette dall’estero, a volte ascoltavamo i dischi anche per telefono. Poi guardavamo le classifiche.
Quanto ha influito New Music International nella creazione dell’italo disco, esportata in tutto il mondo da personaggi come Giorgio Moroder?
È proprio dai successi importati dai noi, girati alle radio (105, Radio Milano International e altre), che nacque il boom della dance in Italia, diretto alle classifiche di tutto il mondo. Questo durò fino al 2005, quando le radio smisero di passare i pezzi dance italiani, a favore di quelli esteri.
Oggi, quindi, qual è la linea artistica dell’etichetta?
Noi continuiamo a produrre made in Italy, non ci occupiamo più prettamente di dance, ma anche di pop italiano. I Modà sono stati il nostro primo prodotto in veste pop. Successivamente Paolo Belli, gli Studio Tre e tantissimi altri.
Ci sarà sicuramente almeno un aneddo storico da ricordare.
Mi viene in mente Gloria Gaynor. L’abbiamo contattata e incontrata a Parigi per remixare i suoi successi negli anni ’90. Dovevamo fare un disco, Can’t Take My Eyes Off You, era della Boys Town Gang. Le dissi: “Gloria, devi farlo tu, sarà un successo mondiale”, lei non voleva categoricamente e io insistetti, doveva farlo per forza. Così si mise a piangere e litigammo. In albergo si fece convincere a cantare questo pezzo e da quel momento il ritornello: “I love you, baby” divenne uno dei suoi più grandi successi nel mondo. 11 milioni di copie vendute.
Come lei anche How Gee dei Black Machine, 8 milioni di copie in tutto il mondo.
Dischi fisici che venivano fatturati, passati sullo scanner e dichiarati come venduti. Per quello esisteva una “classifica dei dischi più venduti”, non dei dischi più ascoltati come accade oggi.
In altre interviste della rubrica Etichette361 è emerso che una colpa del cambiamento del mercato è da attribuire ai media, in concreto alle radio, che a un certo punto hanno smesso di fare scelte qualitative, a favore degli interessi privati. Sei d’accordo?
Si, è stata una battaglia che ho portato avanti per tanti anni, quando ho visto che le radio stavano entrando nel business come editori. Lì ho pensato fosse la fine. Le radio, avendo diversi interessi, avrebbero passato maggiormente i loro pezzi o quelli inerenti al loro circuito. Invece un tempo i deejay passavano ciò che reputavano giusto ascoltare. Oggi il marketing, la programmazione musicale, non permette più di scegliere un disco qualunque. Un dj annuncia il disco che trova in scaletta, indipendentemente dalla qualità del prodotto.
Abbiamo parlato di vendite di dischi, oggi il formato CD è alla fine della sua era e il mercato gira intorno agli ascolti in streaming. È una situazione positiva?
Sono felice di aver vissuto il boom discografico, abbiamo visto le vere vendite dei dischi, l’avvento del digitale e di internet. Adesso i CD non si stampano quasi più. Lo streaming è il male, non capirò mai come si fa a considerare un disco, che viene solo ascoltato (marca questa parola con la voce, nda), il più venduto. È sbagliato. È anche vero che oggi è possibile comprare dischi da tutto il mondo, un tempo bisognava necessariamente spedirli.
In conclusione, un’informazione per gli artisti che vorrebbero contattare New Music International. Qual è la modalità attraverso la quale ricevete nuove demo?
Gli artisti possono inviarci le loro demo a mp3@newmusic.it. Rispondiamo quando capiamo di essere interessati. Oggi il mercato è cambiato molto. I costi di promozione sono minori rispetto a quelli di un tempo, mentre quelli di produzione sono rimasti pressoché simili. Per avere un prodotto di qualità è necessario investire, anche se oggi molti artisti, possedendo meno budget, cercano di risparmiare. Un tempo era necessario pagare più strumentisti per realizzare un disco, il chè alzava i prezzi. Ora posso utilizzare il computer per risparmiare sul budget, ma non è la stessa cosa. Inviateci le vostre demo, noi ascoltiamo tutto e valutiamo ogni prodotto.
Lodo Guenzi a XFactor, le competizioni non sono più per cavalli
Il componente più eccentrico de Lo Stato Sociale giudice nel talent di Sky. Ma a Sanremo la pensava diversamente.
“Competitions are for horses, not for artists” commentava Lodo Guenzi in sala stampa a Sanremo dopo una domanda sulla possibile partecipazione all’Eurovision Song Contest. Sembra essere cambiata la sua idea dopo la conferma della sostituzione di Asia Argento al tavolo dei giudici di XFactor.
Una postazione che ha portato particolarmente fortuna a Fedez e Manuel Agnelli, i quali hanno visto migliorare nettamente la loro visibilità pubblica. Chi non ne ebbe un grande ritorno fu Levante o Alvaro Soler. Non si discute la scelta, quanto l’apparente incoerenza. Lunge da Musica361 affermare che chi provenga da un contesto indipendente non abbia il diritto di approdare al mercato commerciale, anzi è necessario, proprio per non rimanere nell’underground. Lo Stato Sociale ha sdoganato la propria natura mainstream con il Festival, mantenendo però quella controtendenza “indie”, un’atteggiamento volto alla novità che li ha premiati. “Una vita in vacanza” è nata con il presupposto di essere una canzone leggera, ma con un impegno importante sul sociale, un messaggio sul lavoro (come dimostrato dall’esibizione di Sanremo). Poco importa se poi l’esplosione mediatica l’abbia resa, a volte, un canzone da dj set da matrimonio, cantata da cinquantenni che interpretano il messaggio con superficialità. Non è colpa de Lo Stato Sociale, quando canti una canzone il pubblico se ne appropria, si perde il controllo di dove possa andare (come accadde con “Vieni a ballare in Puglia” di Caparezza, usata anch’essa nelle feste di matrimonio).
Era proprio quell’accezione a una musica pura, vecchio stile, senza competizioni e giudizi, che ha fatto brillare gli occhi del pubblico verso Lo Stato Sociale. La stessa musica promossa con orgoglio al Concerto del Primo Maggio a Roma, dove Lodo Guenzi è stato protagonista sul palco. Ora la sterzata improvvisa, si fa fatica a distogliere il pensiero dagli interessi in ballo. Il talent non è il male, non è quello il punto, ma è sicuramente un contesto in cui la musica vive di competizione. Se: “Competitions are for horses, not for artists” sarà curioso capire cosa ne pensano gli altri membri de Lo Stato Sociale di questa scelta e i fan storici. L’importante è che a guadagnarci sia sempre la musica e l’arte, prima del portafoglio.
Etichette361: Music Ahead e Giuliano Boursier
L’esperienza maturata dai successi ha portato il produttore Giuliano Boursier ad avere un’etichetta di produzione come Music Ahead, dove la musica è davvero al centro di tutto.
Sembra scontata la frase “mettere la musica al centro” quando si parla di etichette. Eppure gli interessi in ballo sono molteplici in questo business e talvolta, in alcuni progetti, è facile notare quanto vengano prima gli introiti, le visualizzazioni, rispetto all’arte e alla qualità. È impossibile non rimanere affascinati dalla passione per la musica di Giuliano Boursier, produttore che ha vissuto grandi successi come quelli di Luca Dirisio con Calma e sangue freddo e Se provi a volare (Breaking Free di High School Musical), la carriera di Daniele Stefani, Roberto Angelini con Gatto Matto, e molti altri. Dalle parole di Giuliano si capisce l’attenzione al prodotto di alta qualità, la cura al dettaglio e la voglia di un mercato musicale che vada oltre alle scelte mediatiche. Music Ahead, realtà discografica (e non solo) di cui cura la direzione artistica, è la protagonista della settimana dell’approfondimento di Musica361 sulle etichette.
Come nasce Music Ahead?
Tutto ha preso forma dalla mia esperienza da produttore, iniziata intorno al 1999. Prima seguivo gli artisti tramite etichette che mi contattavano. Mi occupavo della produzione artistica. Successivamente ho fondato un’etichetta, poiché il panorama musicale era cambiato. La mia missione è sempre stata quella di trovare artisti che fossero talentuosi. Dirigere un’etichetta oggi non vuol dire occuparsi soltanto del lato musicale, delle produzioni, ma anche di tutto ciò che gira attorno alla musica, dal marketing al management, sapendosi affidare a collaboratori e freelance.
Grazie alla tua esperienza possiamo parlare della figura del produttore, che vive a servizio dell’arte e ha un’importanza fondamentale. La scelta di un determinato produttore quanto è influente nella realizzazione di un progetto musicale?
Ciò che dico spesso agli emergenti è che un artista non può fare il proprio percorso da solo. Se anche i big, dopo un’esperienza pluridecennale, continuano ad affidarsi ai produttori è per avere una giusta direzione sulla propria musica. Il produttore artistico sceglie le canzoni, mette mano agli arrangiamenti, sceglie il tipo di mastering e molto altro. Gli artisti non possono fare tutto da soli. Ci sono alcune rare eccezioni, Lenny Kravitz per esempio, però nel 99% dei casi un cantante arriva con un dipinto in costruzione, con un diamante grezzo che va raffinato. Il produttore fa la differenza. Quando mi arriva il materiale mi accorgo subito se dietro c’è una produzione artistica o no. Anche se si è emergenti al primo singolo, su questa parte non si può risparmiare. Non ha senso dire: “Mi faccio una produzione cheap, in casa, poi faccio un bel video” oppure si prende un buon ufficio di promozione (ride). Come fai a gareggiare in formula uno se ti presenti con una 500?
Quanti anni ci vogliono per raggiungere il professionismo nelle produzioni? Quando hai riconosciuto a te stesso di essere diventato un produttore?
Ho iniziato a suonare il pianoforte a quattro anni, quando non sapevo né leggere né scrivere. Sono entrato al conservatorio a dieci anni e mi sono fatto una base musicale. Da piccolo non dici: “Voglio fare il produttore”, anche io sono passato negli anni dell’adolescenza in cui sei egocentrico, vuoi fare il cantante, vuoi emergere. Maturata la consapevolezza di non poter essere io l’artista, ma di poter essere d’aiuto, ho iniziato un percorso da arrangiatore e produttore tra gli emergenti. Questo è accaduto perché mi sono avvicinato subito all’ambito del management musicale. Mi sono accorto di essere diventato produttore quando Daniele Stefani, che aveva un contratto in Sony, ha deciso di affidarsi a me. Io gli dissi subito che lo vedevo artisticamente diverso da ciò che stava facendo. Sono sempre stato un produttore esterofilo, con un’attenzione a quel tipo di suono. Al mio primo prodotto con Daniele, “Un giorno d’amore”, quando la Sony mi affidò un suo artista mi sono sentito davvero un produttore.
Da lì non mi sono mai più fermato. Ciò che a volte non si capisce è che il produttore artistico non è un fonico, non per forza ha uno studio di registrazione, ha una preparazione più completa.
Infatti si dice che la fase di pre-produzione sia ancora più importante della produzione stessa.
Esatto. La gente talvolta non sa il significato di pre-produzione. In questa fase lavoro a quattro mani con gli artisti, a cui devo spiegare questo processo: la scrittura e la stesura del brano, il cambiamento di una frase, di un testo, di una strofa, di un ritornello, della struttura di una canzone. Oggi, anche con i big, c’è poca pre-produzione. Bisogna fare il disco per l’artista mainstream? Arrivano duecento canzoni, vengono scelte e via, anche se qualcuna avrebbe bisogno di una produzione artistica per modificarne delle parti. Io sono conosciuto come uno che mette le mani anche nella pre-produzione. Le stesse multinazionali mi hanno commissionato spesso lavori in cui avevo il talento grezzo da raffinare.
Gli strumenti tecnologici per le produzioni sono sempre più accessibili e continuano a nascere scuole di produzione, legate in particolar modo a concetti di fonia. Anche in questo contesto sembra essere bypassata la pre-produzione, l’attenzione all’arrangiamento. Alla base di qualsiasi progetto quanto è importante la conoscenza teorica della musica?
La preparazione ci vuole. Il produttore è un talentuoso e non è semplicemente una persona che ha imparato da un corso. Non è necessario essere per forza maestri di conservatorio. I grandi produttori di musica elettronica, ad esempio, campionano per strutturare i loro brani e, senza saper suonare, fanno prodotti commerciali di largo consumo. Se il produttore artistico è anche arrangiatore è logico che abbia una marcia in più.
Continuando il percorso alla scoperta di Music Ahead, il ritorno “a casa” di Luca Dirisio è stata una notizia. Che novità dobbiamo aspettarci?
Luca è tornato da me perché tra di noi c’è sempre stato un rapporto di amore/odio. Abbiamo due caratteri molto forti e ci vogliamo un bene dell’anima. Tutti i suoi successi li ho seguiti direttamente. Lui aveva perso un mentore, una persona in studio che gli dicesse come interpretare qualcosa. Non è facile trovare qualcuno che ti dica: “Questa strofa è bella, questo ritornello è brutto”. Magari nessuno si permetteva di dirglielo. Io, con la confidenza che c’è, non ho problemi a dirgli di cambiare una frase. Da quando è tornato stiamo facendo pre-produzione, abbiamo iniziato dagli ascolti di nuove canzoni. Non aspettatevi Dirisio primo in classifica con un pezzo commerciale, Luca è un grande cantautore, uno dei pochissimi che abbiamo in Italia. Vorrei riuscire a valorizzare questa sua vena da scrittore. Non sto costruendo niente, è giusto che lui si mostri per come è davvero.
In Italia si sente tanto l’esigenza di un mercato cantautorale che vada oltre al pop o al cosiddetto indie.
Penso che la cultura italiana fosse fatta di cantautori, oggi non c’è più nulla per colpa dei media. Per far sì che molti artisti emergano bisognerebbe scovarli e suonarli nelle radio, mentre oggi tutti suonano quello che riproducono gli altri, senza fare una selezione di gradimento.
Come è possibile contattare Music Ahead per inviare delle demo e come lavorate sul talent scouting?
La mail alla quale è possibile inviare le tracce è demo@musicahead.it. Io preferisco le canzoni chitarra e voce tendenzialmente. Non siamo quell’etichetta che prende un prodotto finito da terzi e lo mette in commercio. Il nostro modo di lavorare è diverso essendo un’etichetta di produzione. Vado a cercare artisti che hanno bisogno di fare un lavoro concreto o, raramente, chi ha un prodotto talmente forte da dover essere soltanto venduto. Un nuovo progetto in un anno fa pre-produzione, produzione ed esce. I nostri artisti emergenti sono contenti di come lavoriamo. Cerchiamo di trovare loro uno spazio, una collocazione anche con le multinazionali, non dobbiamo per forza essere noi l’etichetta discografica. La costruzione insieme all’artista è il lavoro più grande e più bello. Poi una volta fuori sappiamo quanto possa essere difficile. Un emergente può decidere di prendere la strada del talent e durare un’edizione, se lo vince, perché se no è bruciato per sempre. Oppure può scegliere la strada più lunga, con più insidie, quella della discografia. Un singolo non basta, serve la progettualità. Deve uscire discograficamente entro alcune tempistiche, per aumentare il seguito e con una produzione di alto livello. Anche i grandissimi talenti non possono fare tutto da soli, mi ripeto, la metafora è sempre la stessa, in formula uno non corri con la cinquecento.
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