Il nuovo disco di Post Malone è una nuova bandiera dell’uomo sulla luna. È un nuovo pianeta del sistema solare della musica.

News of the Week: Post Malone - beerbongs & bentleys

È il fenomeno dell’anno: Austin Richard Post, classe 1995, conosciuto nel giro come Post Malone. È lui la vera rivelazione. A dirla tutta, il suo nuovo album “beerbongs & bentleys” (le minuscole sono volute, nda), è la consacrazione dei successi che ha collezionato, come “Rockstar” e “Psycho“. La trap ha invaso il mondo, ma è lui il vero alieno (citando la Dark Polo Gang). Come Skrillex cambiò completamente il punto di vista della musica elettronica, Post Malone non è assolutamente trap. È forte al primo ascolto, attuale con la tendenza al “colpo di fulmine” ereditata dalla società con la nascita dello streaming. Lui stesso dichiara di non voler essere etichettato, fa bene, il suo genere è “Post Malone”, nessuno suona come lui. Se proprio volessimo fare i pignoli, l’unica corrente che unisce l’atmosfera chill all’hip hop è il cloud rap, ma è giusto lasciare libera la creatività di questo artista, lontana dalle gabbie dei generi musicali.

Il disco è a dir poco perfetto. Se qualcuno si fosse innamorato di Post Malone per tracce come quelle già citate, trova in beerbongs & bentleys altrettante perle, degne di qualsiasi rotazione musicale urban. Quando ci si trova di fronte ad opere del genere è difficile commentarle, perché sono pietre miliari che rimarranno come punti di svolta. D’ora in avanti ci sarà sicuramente qualcuno che tenterà di copiare lo stile di Post Malone ed è proprio da queste grandi influenze che la musica prende nuove strade. Il ruolo di artisti come lui è fondamentale per l’evoluzione. Ovunque andrà l’hip hop d’ora in avanti, guardandosi indietro troverà il checkpoint lasciato da Malone, come hanno già fatto altri, il più recente è stato Drake. Non è un caso aver avvicinato a lui la figura di Skrillex, perché da quando il produttore statunitense ha introdotto la dubstep, la ritmica della musica elettronica è stata stravolta. Tagliando corto, nelle varie evoluzioni, la dubstep è stata uno dei fattori che ha permesso la creazione della trap, che successivamente si è diramata anche in chill trap, fino ad arrivare alle grandi idee melodiche di Post Malone. Per tutte queste ragioni beerbongs & bentleys è un disco da avere nella propria libreria. È un punto di arrivo e di ri-partenza. Non ci si stanca mai di ascoltarlo.

All’interno del nuovo album sonorità moderne, che si fondono a tutta l’esperienza della lunga carriera del cantautore ligure.

Vittorio De Scalzi, "L'attesa" è il suo nuovo disco

L’attesa” è il titolo del ritorno discografico di Vittorio De Scalzi, dopo 50 anni di carriera. Un pezzo di storia della musica italiana con i New Trolls, un polistrumentista che ha deciso di creare un disco da solo, con le proprie mani, all’interno del proprio home studio. Nell’album è presente anche una dedica speciale a Pino Daniele.

Un nuovo disco, un nuovo capitolo di una lunga carriera. Cosa si deve aspettare chi si trova ad ascoltare per la prima volta “L’attesa”?

C’è da aspettarsi un sacco di nuova musica. L’anno scorso ho festeggiato 50 anni di carriera, non mi sono mai fermato.

In 50 anni la musica è cambiata radicalmente. In che modo si affronta, dopo tanta esperienza, l’uscita di una nuova opera in una nuova epoca, quella del digitale?

Basta non essere nostaglici e aver continuato a fare musica seguendo la sua evoluzione. C’è stato davvero un cambiamento radicale, e adesso si ritorna al vinile. Stiamo a guardare verso il passato proiettandoci verso il futuro. È necessario tutto questo, bisogna comuque guardarsi sempre indietro e indietro ci sono tutti gli insegnamenti per poter andare avanti. Questo nuovo album è molto speciale, ho raccolto ciò che avevo messo da parte da circa 10 anni, il tempo in cui sono mancato dalla discografia, pur avendo continuato a fare concerti sia con i New Trolls che in solitaria. In questi 10 anni ho messo via delle “pietrine” che avevo nel cassetto. Quando ho deciso di fare questo disco, che si chiama “L’attesa” proprio perché legato al tempo passato ad aspettare, ho trovato interessanti molte cose che avevo messo da parte. Queste sono riuscite a non passare nonostate il logorio del tempo. Naturalmente i suoni sono attuali, il disco l’ho fatto quest’anno e ho scoperto che certi modi di scrivere non sono mai passati di moda.

Parliamo dei testi. In 10 anni si cambia tanto affrontando le diverse peripezie della vita. In che modo ci si approccia a testi datati dieci anni? È molto difficile?

Intanto non tutti hanno dieci anni, ce ne sono alcuni di quest’anno, altri di due o cinque anni fa. “Ordinary Pain”, ad esempio, ha una decina d’anni, questo blues che ha come ospite Paolo Bonfanti, grande bluesman.

Invece sui suoni c’è stata una ricerca aderente al contesto contemporaneo. In che modo è stato lavorato questo disco dal punto di vista delle sonorità?

A parte il brano “L’attesa”, che è stato prodotto dal mio amico Zibba, e “Ordinary Pain”, il disco l’ho fatto tutto da solo. Io sono polistrumentista e ho suonato tutti gli strumenti nel mio home studio. Ho scelto le sonorità senza cercare di farmi influenzare da nessuno. Continuo ad ascoltare tanta musica, non solo quella del passato. Sono “onnivoro”, sono aperto a tutto quando la musica è fatta bene. Oggi è facile realizzare qualcosa che hai in testa grazie agli home studio, il problema è quando qualcuno vuole farlo senza avere le basi.

Una traccia molto importante del disco è “Pino”, la dedica a Pino Daniele, un blues malinconico. 

Pino Daniele l’ho conosciuto all’inizio della sua carriera, quando un nostro amico in comune, che era il suo manager di allora, mi disse: “Vieni che ti faccio sentire un ragazzo che fa il blues in napoletano”. Siamo andati in questo locale, Pino era un capellone, con la giacca di pelle con le frange lunghissime e mi colpì moltissimo. In quel momento ho conosciuto un personaggio che con la sua musica ha cambiato anche il mio modo di vedere le cose, per esempio non è detto che in futuro io non mi cimenti in un blues in genovese (ride). Quando mi sono trovato a suonare la canzone che gli ho dedicato, ho scelto i due strumenti tipici di Pino Daniele, che sono la chitarra classica e la chitarra elettrica. Il brano è una specie di dialogo continuo tra le due chitarre.

Tornando sul disco, come verrà portato live? 

In questo momento sono molto combattuto perché ho molti concerti con i New Trolls e vorrei portare in giro anche questo album. Farò quindi alcune date da solo e poi mi piacerebbe portare “L’attesta” nei teatri, con un quartetto. Il teatro è un posto dove la gente ti viene ad ascoltare più che a vedere.

 

 

Senza volere, eMule è stato uno dei più grandi vettori del cambiamento tecnologico ed economico di tutto il mercato musicale mondiale.

MusicAmarcord: eMule e l’esplosione della musica liquida

Ancor prima dell’arrivo di iTunes e di iPod nel 2003, una community di utenti che utilizzava un software di condivisione di file (modello peer to peer) chiamato eDonkey si ritrovò scontenta per il malfunzionamento della piattaforma. Così, tale Merkur, nickname del programmatore tedesco Hendrik Breitkeuz, decise di radunare alcuni programmatori per creare un nuovo software basato su eDonkey, che avesse molte più funzioni. Nasce in questo modo il progetto eMule, il 13 maggio del 2002, reso disponibile gratuitamente su SoundForge, solo per sistemi Windows, dal 7 luglio dello stesso anno. Nessuno avrebbe mai pensato che questa idea potesse cambiare per sempre il valore della musica.

Se prima soltanto i veri nerd si approcciavano allo scambio di dati via rete, con l’introduzione e la promozione di un servizio come iTunes il popolo accede alla consapevolezza di poter usufruire di internet per avere dei grandi benefici, ad esempio scaricare musica ad un costo minore. Il CD perde quota, l’iPod è la nuova mecca ed eMule coglie “involontariamente” questa opportunità. Si diffondono i lettori mp3, non tutti potevano permettersi il prodotto Apple, e la loro più grande forza era di funzionare esattamente come una chiavetta USB. È qui che l’utente capisce di non avere più bisogno di comprare la musica. Non c’è un filtro che fermi lo scambio tra persone di una proprietà immateriale come una manciata di dati. La musica, i film, i documenti, i software, insomma tutto ciò che è riconducibile a dei numeri perde valore. Tutto è reperibile, tutto può comunicare senza la necessità di spendere soldi all’infuori di una connessione internet. È un paradiso anarchico e fiscale, è la morte del capitalismo, ma anche del valore economico dell’arte.

Il 2000 è stato per molti versi l’inizio della rivoluzione tecnologica. Il popolo associò questa data alla venuta dell’Apocalisse, gli esperti di computer sapevano, invece, di essere nel posto giusto al momento giusto, di aver trovato il tesoro dei pirati. Allo stesso tempo abbiamo sacrificato molto, ci sono voluti più di 16 anni per avere servizi come Spotify e Netflix, che tutelino chi fa dell’arte un lavoro non facile da remunerare. Poi chi ha un grande successo avrà sempre un ritorno economico, esistono gli sponsor, ma quei 16 anni di mezzo hanno tolto la possibilità a tantissimi emergenti di raggiungere la cima. La crisi nera è finita da qualche anno, oggi si contano i successi d’oro e platino senza farsi bastare due mani, sembra dimenticato un periodo che ha fatto chiudere milioni di negozi di dischi. Ma anche questa è storia e va raccontata: un software, un mucchio di dati con alcune funzioni, ha distrutto il mercato musicale. E in risposta, un altro mucchio di dati ha generato lo streaming. Godiamoci cosa abbiamo ora, perché non sappiamo in che modo cambierà, ma sappiamo di aver sudato per averlo.

È uscito a fine aprile “Speak Your Mind”, il primo disco di Anne Marie. La cantante di Rockabye si conferma una vera popstar.

News of the Week: Anne Marie - Speak Your Mind

Il nome Anne Marie non è popolare a tutti, soprattutto in Italia, eppure lei è stata la protagonista dell’estate 2017. La hit “Rockabye” ha confermato il grande successo dei Clean Bandit e ha fatto conoscere al grande pubblico la cantante britannica, classe 1991, nata a Stanford-le-Hope (Essex). A fine aprile è uscito il suo disco, contenente questo successo e molti altri, come gli ultimi singoli “Friends” (ft. Marshmellow) e “2002”.

Speak Your Mind” non è altro che una versione estesa di tutti i singoli usciti dal 2016 a oggi, insieme ad alcune tracce inedite. Era necessario in questo momento della carriera Anne Marie, poichè le darà la spinta giusta per arrivare allo stesso livello delle colleghe Ariana Grande e Taylor Swift. La grande forza di questa cantante è di avere uno stile davvero originale, che non fa parte del canonico pop, tocca i ritmi latini senza entrarci direttamente. Il disco dà allegria, ti immerge nella sua realtà solare, esattamente come il modo di fare di Anne Marie. Persino in tracce introspettive come “Perfect” c’è sempre il lato positivo. Questo disco è per il bicchiere mezzo pieno.

Da “Rockabye”, appunto, è iniziato il percorso mainstream di Anne Marie, anticipato dall’uscita del singolo “Alarm” e succeduto da “Ciao Adios”, due canzoni fondamentali nel percorso di quest’artista. Un altro grande passo è stato diventare opening act ufficiale di tutto il “Divide tour” di Ed Sheeran, tanto da essere sul palco anche i prossimi 14-15-16-17 giugno alle quattro date del Wembley Stadium. E non sarà un caso che proprio l’artista che ha supportato Ed Sheeran si ritrova un disco perfetto tra le mani, lei è una voce precisa, dalle molteplici sfumature, il suo amico è il Re Mida del mercato musicale. Dietro questo progetto c’è anche molta sana strategia di marketing musicale: con la consapevolezza di avere in mano diverse possibili hit radiofoniche, prima di far uscire l’album è stata creata attesa rilasciando tante tracce come singoli. Scelta premiata guardando i numeri. Una volta creatasi una solida fan base è uscito “Speak Your Mind”, a sugellare due anni di lavoro e di crescita esponenziale.

Avvertenze: non ascoltare più di due volte al giorno, può seriamente compromettere qualsiasi altro interesse giornaliero.

Parachutes è il primo album dei Coldplay, che diede loro la possibilità di essere conosciuti in tutto il mondo grazie al singolo “Yellow”.

Revival Album: Coldplay - Parachutes

Siamo nel 2000. Un gruppo britannico dal nome Colplay ha rilasciato due EP, “Safety E.P.” e “The Blue Room”, con scarso successo. Ma nella musica basta un album per cambiarti la vita e scoprire la carte in tavola. Questo è il ruolo di “Parachutes” in questa storia.

Il 10 luglio del 2000 viene rilasciato il primo album dei Coldplay, che li incorona primi in classifica in Inghilterra. Da qui inizierà il successo mondiale della band inglese. Il britpop aveva spopolato (il nome Oasis vi dice qualcosa?), ma Parachutes non c’entrava nulla con tutto quello. Una voce acuta, quella di Chris Martin, squarciava le melodie acustiche con una morbida genilezza. Nessuna violenza nelle dinamiche degli arrangiamenti, anzi note molto lunghe e avvolgenti, a ricreare un ambiente sonoro ad alto contenuto emozionale. La dimensione acustica di Parachutes è distante dal pop odierno e dalla scelta che hanno fatto i Coldplay negli ultimi anni. Questo resta a tutti gli effetti un disco “suonato”, senza la grande componente di automazione elettronica che fa parte dei giorni nostri.

Perla rara di questo capolavoro è “Yellow”, insieme a canzoni come “Don’t Panic” o “Trouble”. “Yellow” fu la canzone che lanciò definitivamente il gruppo a livello mondiale . L’album restò per 13 settimane nella top ten inglese, dopo aver raggiunto la prima posizione. Oggi un disco come “Parachutes” rappresenta un periodo storico, fa sentire la marcata differenza rispetto alla quotidianità. Questo album fa parte ancora di quell’epoca in cui non c’era l’esigenza di avere una compilation di hit come LP. Quando una nuova opera usciva aveva una continuità globale e le tracce che non venivano selezionate come singoli avevano comunque il loro perché. Per questo, oltre ad essere una pietra milare, un disco del genere è senza tempo.

Ancora oggi una delle tracce più richieste ai Coldplay dai fan è “Yellow”. Facendo due rapidi conti, sono passati quasi 18 anni da quel lontano luglio 2000. Quando un album diventa maggiorenne, rimanendo così importante, non si può fare a meno che riascoltarlo in silenzio. Poi, applaudire con un sorriso, come giusto che sia. Questa è musica.

 

Dai primi anni ’60 all’inizio del 2000, le musicassette hanno permesso di ascoltare la musica ovunque nel mondo. Sono un pilastro nella storia della musica.

Music Amarcord: le musicassette a nastro
Photo by Simone Acquaroli on Unsplash

Le musicassette sono comparse nel 1963 e hanno continuato a vivere fino agli anni 2000, resistendo fino all’ultimo al progresso tecnologico. Il CD le ha leggermente scalfite, ma la musica liquida ne ha scritto la fine. Questi quarant’anni di musica veicolata attraverso un nastro fanno di loro un importante pezzo di storia.

Immesse nel mercato nel ’63, appunto, da Philips, le musicassette non sono altro che degli involucri di plastica contenti una quantità di nastro magnetico. Grazie ai primi modelli monofonici è stato possibile scrivere il lato A e il lato B, riproducibili capovolgendo la cassetta nel lettore. Il mercato musicale accedette a questa tecnologia nel ’65, quando iniziò la produzione di massa e le case discografiche iniziarono a distrubire i propri prodotti sia su vinile che su musicassetta. Grazie a strumenti come il Walkman di Sony , i lettori portatili e le autoradio, le audiocassette diventarono il primo motivo per il quale le persone decidettero di portarsi la musica per la strada. Ecco che la musica, dopo migliaia di anni, smise di avere una ritualità da concerto o da salotto e iniziò a diffondersi per le vie delle città. Basti pensare, ad esempio, alla cultura hip hop e ai b-boy che si incontravano nelle piazze per ballare a ritmo di musica.

La musicassetta, grazie a una tecnologia più semplice da sfruttare rispetto a quella del vinile, poteva essere incisa da tutti. Il fai-da-te è un altro dei vettori di esplosione di questo prodotto. Nascono le compilation regalate alle fidanzate, le canzoni estrapolate dalle radio. Si poteva registrare qualcosa e riascoltarlo. Il solito rovescio della medaglia porta ai primi passi della pirateria, ma soprattutto alla classica frase: “Se posso avere qualcosa gratis, perché devo pagarla?”, in linea con i recenti avvenimenti legati a Spotify. Musicassetta significava anche colori, personalizzazioni, feticcio del prodotto. Nasce un design della musicassetta e del lettore/registratore, che doveva rispettare almeno alcuni canoni estetici, se non avere la presunzione di essere avanguardista. La bobina di destra era dedicata al riavvolgimento del nastro, mentre quella di sinistra conteneva il nastro da svolgere. Una volta inserita la musicassetta in un lettore, la testina riceveva il segnale magnetico del nastro e traduceva il segnale elettrico in suono.

Non è un caso che la scomparsa di questa tecnologia sia dovuta all’ascesa della musica liquida, quella on-line. Oggi abbiamo a disposizione un’infinità di brani in un pochi istanti, è il paradiso. Quello che manca è il contatto con qualcosa, perché alla fine siamo umani e il tatto fa parte dei cinque sensi. Non possiamo più riavvolgere la nostra canzone preferita utilizzando la matita con la quale stiamo scrivendo. Chi l’ha vissuto, almeno, non lo dimentichi. Lo tenga negli amarcord.

 

Revamp & Resortation sono gli ultimi pezzi che comporranno la straordinaria discografia di Sir. Elton John, ormai all’ultimo tour in carriera.

News of the Week: Elton John - Revamp

Sembra impossibile, ma Sir. Elton John è al suo ultimo tour. Lui che ha fatto la storia del pop, delle canzoni d’amore. Lui che ha venduto più di 400 milioni di dischi, ha vinto sei Grammy Awards e un premio Oscar. Per questo Universal ha convocato alcuni dei migliori interpreti della scena per dare una nuova vita alle sue greatest hits. Tiny dancer, Can you feel the love tonight, Sorry seems to be the hardest world, Your song, e molte altre perle dell’artista britannico, cantate da celebri performer come i Coldplay, Ed Sheeran, Florence + The Machine, Lady Gaga, The Killers, Sam Smith e molti altri.

Si chiama Revamp il progetto di nuova “vestizione” dei successi di Elton John, un’operazione già apprezzata in tutto il mondo. Il cuore si basa sulle canzoni scritte in coppia con Bernie Taupin. Il loro sodalizio, coniugato ai nuovi stili musicali, propone interessanti punti di vista. Uscirà anche prossimamente una seconda versione country, chiamata Resortation.

Qualsiasi successo è un’opera d’arte come una scultura: bisogna stare attenti a replicare o a modificare, basta poco per sfociare nel banale o nell’esagerazione. Eppure la forza di Revamp sta proprio nello spaziare con nuove sonorità, inedite per l’epoca in cui sono state incise le canzoni che sono passate alla storia. Mentre molti artisti si sono limitati a raccolte rimasterizzate, quale migliore iniziativa per ricordare Elton John se non andando controcorrente, come il suo personaggio, icona del mondo gay, che ha dovuto resistere ai pregiudizi in un periodo storico sfavorevole per la comunità omosessuale.

Revamp racchiude tutto questo: pezzi di storia, diritti e amore, con un pizzico di nostalgia, quella che accompagnerà la fine del suo tour e della sua carriera.

Primo disco dei Maroon 5, dal quale vennero selezionati alcuni dei singoli più celebri: This Love, She Will Be Loved e Sunday Morning.

Revival Album: Maroon 5 - Songs About Jane

In mano il telecomando. Nello zapping compare su Top of the Pops un gruppo capitanato da un giovane Adam Levine. Siamo nel 2002, la band in questione ha il nome di Maroon 5. Viene annunciato il secondo singolo estratto dal loro primo album “Songs About Jane”: This Love. Intro con diversi stacchi di pianoforte in terzine. È già orecchiabile. Parte la prima strofa: la voce di questo ragazzo non è nulla di canonico, più acuta del normale, quasi nasale. È speciale. Nell’alzarsi di tono utilizza il falsetto come se fosse qualcosa di comune, rendendo il tutto ancor più particolare. Al primo ascolto hanno già fatto centro. This Love diventa il singolo di quel periodo. Su Mtv impazza il video ufficiale con la band che suona mentre Levine limona senza freni. Le donne impazziscono per lui, gli uomini sognano il suo posto. Ma dopo questo successo i Maroon 5 sarebbero stati capaci di replicare tale fortuna? Erano solo una meteora di passaggio?

Secondo singolo: She Will Be Loved. Ballata, ma anche in questo caso non delle più classiche. Emerge ancora la particolarità vocale di Adam Levine. L’unione tra il malinconico e la hit sforna un altro successo mondiale. Potevano fermarsi qui? Certo che no. Terzo singolo: Sunday Morning. A quel punto non hai la strada spianata, sei di un’altra categoria, ti sei creato un mondo a parte da quanto sei stato forte. E lì inizia il percorso di una delle band più influenti nel pop contemporaneo.

Songs About Jane” non è soltanto un disco da consumare, bensì è da vivere con la consapevolezza di ascoltare l’opera d’arte che ha dato il via a un fenomeno. Come dargli torto di fronte a tre capolavori del genere e a tutte le altre perle che compongono il disco. Per il decimo anniversario, i Maroon 5 hanno fatto uscire una Anniversary Edition con dentro le prime demo delle canzoni, alcune delle quali molto diverse dalle finali. L’impressione di essere in saletta con loro è da provare sulla pelle. Basti pensare che quando quelle demo non erano ancora nelle mani giuste, questo gruppo avrà forse pensato: “Ma sono canzoni forti perché sono le nostre o piaceranno anche ad altri?”. Il resto è storia e che storia.

Nato per la riproduzione portatile delle cassette, ha reso portable anche i CD, cambiando gli usi e i costumi degli ascoltatori.

MusicAmarcord: il Walkman prodotto da Sony

Ci sono alcune parole che hanno iniziato a far parte del nostro vocabolario, ma derivano da alcuni marchi registrati. Autogrill è sia un’azienda che la denominazione comune delle aree di sosta. Allo stesso modo, Walkman, il prodotto di Sony, insediatosi nel mercato dall’1 luglio 1979, ha contraddistinto uno stile di vita. Si chiamava TPS-L2 , di colore blu-argento, il primo modello di Walkman lanciato prima in Giappone nel ’79 (visibile in copertina), poi nel Regno Unito e negli Stati Uniti nel 1980 a 200 dollari.

Il Walkman ha permesso di portare in giro la propria musica preferita, le compilation e gli album in formato musicassetta. Bisogna provare a sforzarsi di capire cosa fosse ascoltare la musica soltanto a casa, nella propria cameretta, quando oggi, invece, non vivamo senza, tra quella che ascoltiamo volontariamente e involontariamente (radio, tv, centri commerciali, ecc). Con il passaggio ai CD, negli anni ’90, la Sony non ha voluto essere da meno e ha commercializzato un Walkman che fosse al passo con i tempi, che leggesse il formato CD. Un’invenzione storica, che però favorì un rovescio della medaglia, l’inizio inesorabile dell’estinzione del CD stesso (che continua ancora oggi).

La decadenza del CD

Qualitativamente la cassetta non era paragonabile al vinile, perciò chi voleva optare per la scelta hi-fi doveva possedere in casa un impianto adeguato. La cassetta era l’icona della musica portatile e il Walkman ha assecondato questa esigenza. Il CD, invece, prometteva di eguagliare, se non superare, tecnologicamente il vinile, diventando la novità, il nuovo mercato. La cassetta andò man mano a dissolversi e il vinile perse di credibilità. Quando il CD rimase l’unica risorsa interessante, il Walkman gli diede l’inizio del colpo finale. A volte dalle grandi idee ne consegue la rivoluzione, in questo caso da competitor, come Apple, che percependo l’esigenza dell’utente di portarsi in giro qualcosa di meno ingombrante, ha puntato sulla musica liquida invece che quella fisica. Mentre Sony, nel 2004, ha investito sui MiniDisc, invenduti.

Ma tralasciando gli investimenti sbagliati, un’epoca e diverse generazioni sono state influenzate da questo strumento. Il Walkman ha iniziato quell’usanza che tutt’ora va di moda, senza esserne più protagonista e partecipe: mettersi le cuffie e immergersi nella propria musica. Nell’ipotetica crescita simil-darwiniana dell’uomo con le cuffiette, il primo passo è stato fatto grazie al Walkman di Sony. Uno strumento a dir poco leggendario.

Il cantautore ligure, celebre autore di alcuni successi di Tiziano Ferro, torna in Liguria, a LaClaque di Genova, con un concerto dedicato ai 10 anni dal suo primo EP “Ci troveranno qui”.

Emanuele Dabbono - La Claque Genova

A distanza di 6 mesi dall’uscita dell’ultimo album “Totem”,  Emanuele Dabbono si esibirà sabato 21 aprile 2018 a La Claque di Genova, ore 21.30, per un concerto in una speciale dimensione live. In occasione dei 10 anni dal suo primo EP “Ci troveranno qui”, pubblicato nel corso della sua esperienza ad XFactor 2008, il concerto sarà interamente registrato al fine di realizzare un album in versione live di prossima uscita. Con lui sul palco una band composta da Michele Aloisi, Fabrizio Barale (Ivano Fossati), Fabio Biale, Marco Cravero (Francesco De Gregori), Giuseppe Galgani, Matteo Garbarini eGianka Gilardi.

Sabato torni in Liguria, suoni in uno dei club più importanti di Genova, La Claque. Cosa c’è da aspettarsi da questo concerto, che, oltre a riproporre il tuo primo album “Ci troveranno qui”, verrà anche registrato live?

Vorrei dire alle persone che non sanno se venire che stiamo sfiorando il sold out ed è una cosa bellissima. Non è mai scontato portare a casa il risultato. Come tu hai detto verrà registrato un album live e forse anche un DVD. Abbiamo deciso di cambiare veste a “Ci troveranno qui”. Dopo che proponi le canzoni in un concerto, nelle scalette, queste prendono pieghe diverse. Anche solo cambiando musicisti la canzone sembra un’altra. Per questo ho deciso di dare vita nuova a queste canzoni. Dentro “Ci troveranno qui” c’è una traccia che si chiama “Mio padre”. Nel corso degli anni ho pensato che, quando l’ho registrata, non avevo avuto l’intenzione giusta. La riproporremo e registreremo nel concerto in chiave acustica, come se fosse una lettera a una persona che, ahimè, non è più vicina a me, ma che sento sempre accanto.

Il tuo rapporto con il pubblico che importanza ha? Cosa ti porta ad amare maggiormente suonare live rispetto a suonare in un disco?

Da quando ho memoria, amici e critici dicono sempre che riesco molto di più dal vivo che in uno studio. Proprio per questo motivo il disco precedente, “Totem”, l’abbiamo registrato dal vivo in una chiesa sconsacrata, per catturare quell’urgenza che viene cancellata dalle sovraincisioni chirurgiche sistemate in studio. Insieme al pubblico la magia è sempre stata la condivisione del palco. Spero che chi ci stia sotto non debba subire le canzoni, ma ne voglia far parte, non solo perchè ha pagato un biglietto. Vorrei che il pubblico fosse protagonista tanto quanto le persone che stanno suonando quelle canzoni.

Negli ultimi anni alcuni tuoi colleghi hanno improntato il live sulle sequenze, rendendo quantizzato anche il concerto dal vivo. Pensi sia “l’imprecisione” a dare vita alla musica?

Si. Non voglio criticare chi usa le sequenze. È più un discorso di estrazione: io vengo dalla musica suonata, mi viene più naturale pensare che se voglio suonare una canzone la riarrangio anche. Quello che fanno Springsteen, Dylan e molti altri. A volte fai fatica a riconoscere alcune canzoni ad un concerto, perché sono suonate in modi diversi. Per ascoltare il pezzo tale e quale al disco c’è già il disco stesso.

L’ultima volta in cui sei stato intervistato su Musica361 era in occasione delle tracce per “Il mestiere della vita” di Tiziano Ferro, di cui tu sei autore. Ad oggi Emanuele Dabbono, dopo aver registrato “Totem” e aver suonato sabato a LaClaque di Genova, che nuovi obiettivi e direzioni ha? 

La mia prossima mossa è la felicità (sorride). Da autore non ti posso dire molto, stiamo lavorando a tante belle cose, penso che il 2019 sarà un anno bello, forse anche il 2018. Non mi voglio dimenticare di scrivere canzoni senza l’assillo o la pressione di scrivere una hit a tutti i costi. Mi godo il mio percorso da cantautore, fatto per essere libero dai dettami della moda.

A proposito di “dover scrivere delle hit”. Quanto può essere complesso e, talvolta, frustrante? Quali sono le difficoltà più grandi e in che modo ti approcci a questa richiesta? 

La fortuna di lavorare con un editore, che è un tuo amico e una superstar, come Tiziano Ferro non mi genera alcuna pressione del tipo: “Dobbiamo fare la hit”. Non è il suo linguaggio. Mi dice: “Facciamo qualcosa che resti”. Cerchiamo di fare qualcosa che ci commuova. Se ci scatta la lacrima facile mentre scriviamo, per sentimento di riconoscimento succederà anche a chi ascolterà la canzone. Penso che non ci sia la ricetta per la hit, c’è un concentrato di emozioni, una spremuta di cuore. Nel caso di “Lento/Veloce” il tutto è nato come uno scherzo e ha fatto due dischi di platino. Giuro che non l’avrei mai immaginato. Uguale per “Il conforto”, io pensavo fosse un brano da album. Quando mi hanno detto che sarebbe stato un singolo non ci volevo credere, anzi avevo anche un po’ paura, perchè a livello musicale non è una canzone semplice, ha bisogno di due o tre ascolti. So che sono le major a chiedere agli autori: “Adesso è il momento di sfornare una hit”. Quel tipo di pressione lì ti schiaccia e ti annienta, in più ognuno di noi è autocritico, quindi ti viene da pensare se la canzone che stai scrivendo è più forte delle altre che hanno funzionato. Compiacersi, poi, impedisce di migliorarsi. Io questa pressione da Tiziano non la ho, me la metto da solo (ride).

In vista de La Claque è appena uscito il tuo nuovo singolo, “Parole al vento”. Che significato c’è dietro il video ufficiale?

L’intenzione delle riprese era quella di fotografare la Bretagna con il mio profilo migliore, ovvero quello di mia moglie. Quindi le ho chiesto di partecipare con il suo volto e credo sia il video in cui sono venuto meglio, perchè di me c’è soltanto la voce e la musica. È stato bello fare questo viaggio insieme alle due mie bambine, come se fosse il filmino delle vacanze, ma disponibile per tutti.

Top