Locali361 vi porta questa settimana alla scoperta di uno dei locali milanesi cult degli anni ‘90: i Magazzini Generali, da due anni rilanciati grazie ad un nuovo team coordinato dal direttore Adriana Onorato

Locali361: la rinascita dei Magazzini Generali
Adriana Onorato, direttrice dei Magazzini Generali (Foto © Rita Cigolini).

In via Pietrasanta, dalle vecchie strutture di alcuni magazzini risalenti agli inizi del secolo scorso adibiti ad attività artigianali e a deposito merci per la vicina ferrovia, sono nati nell’autunno del 1995 i Magazzini Generali, da subito affermatisi come uno dei locali più importanti di Milano per live, dj set e music club.

Magazzini Generali è diventato un marchio registrato dal primo proprietario e portato avanti dalle varie società che l’hanno rilevato. Nel corso degli anni 2000 si sono tenuti i concerti in diretta di Radio 2 Rai e nel 2005 il locale si è aggiudicato l’MTV Clubbing, Best Club diventando un vero riferimento per numerosi artisti internazionali di musica elettronica, da David Guetta a Ricardo Villalobos a Dj Ralf Svenbat.

Tradizione che, dopo un periodo di declino, sembra essere stata ripresa da una nuova era nella quale vengono nuovamente riproposti eventi e ‘one night’ di musica elettronica come quella dello scorso venerdì 17 novembre con Laurent Garnier: «Abbiamo aperto la Music Week riportando in Italia dopo quasi sei anni questo maestro della musica elettronica. Una data molto soddisfacente sulla quale abbiamo lavorato mesi», afferma Adriana Onorato, direttore generale. «Mediamente è necessario un lavoro di quattro mesi intensi in cui la comunicazione deve essere estemporanea e martellante e la coordinazione con ogni responsabile fondamentale: d’altra parte ci sono a monte investimenti importanti e non si può fallire».

Adriana si occupa della gestione generale del personale del locale: «I Magazzini hanno alle spalle tante figure, siamo praticamente aperti notte e giorno. Anche se molto impegnativo ho un amore profondo per il mio lavoro, fin da quando ho cominciato a 17 anni vivendo le realtà notturne della Milano da bere anni Ottanta e le sue rivoluzioni tra club, discoteche e sale da concerto».

Adriana lavora da tre anni ai Magazzini Generali, contribuendo a rilanciare l’immagine del locale insieme all’aiuto di una valida squadra nata dal fiuto del giovane proprietario di origini egiziane Jimmy – conosciuto in città come uno dei proprietari di locali più giovani di Milano: «Prima della nostra gestione il locale ha avuto un orientamento monotematico e da due anni circa stiamo offrendo un nuovo tipo di format adattabile ad eventi aziendali, convention, conferenze, live e dj set. Prima il locale veniva aperto solo il sabato o la domenica, adesso siamo aperti in media dai 4 ai 5 giorni a settimana con serate di ogni tipo. Non abbiamo un giorno di chiusura, ci basiamo sulle prenotazioni».

Tanti sono gli appuntamenti e i sopralluoghi con i clienti, da aziende interessate a proposte commerciali a produzioni di medio e grande livello in cerca di location: «Purtroppo il locale per tanti anni non è stato più visitato e molti hanno avuto necessità di rivederlo adesso che è stato ristrutturato, soprattutto i promoter: i Magazzini non erano più un luogo appetibile per fare concerti, noi abbiamo rinnovato impianto audio e luci per rilanciare i live. Oggi anzi molti artisti frequentano i Magazzini Generali anche come clienti e poi ci chiedono di suonare: ad esempio è successo con Le Vibrazioni».

Magazzini Generali Milano: la rinascita dello storico locale
Magazzini Generali, Milano.

Architettonicamente è rimasto un locale molto underground, apparentemente quasi uno scantinato che riecheggia la sua vocazione storica ma in realtà curato nei dettagli a cominciare dal dominante colore nero: «Abbiamo mantenuto la struttura originaria con gli arredi in ferro, molto urban style: il locale ha una capienza di 1000 persone ma si possono creare anche serate club da massimo 600 persone. La caratteristica che lo contraddistingue è proprio l’essere modulabile, un locale alternativo pensato però per una clientela non standardizzata: abbiamo volutamente abbattuto la barriera della settorialità. Calzante l’esempio della serata dello scorso venerdì dedicata a Garnier quando abbiamo allestito il suo dj set da mezzanotte mentre dalle 19 alle 23 avevamo un live di un altro artista. Oggi le produzioni ti chiedono le serate con anticipi quasi annuali ma dobbiamo essere pratici se vogliamo lavorare bene».

Due responsabili della direzione artistica del locale si occupano di live e dj set, seguendo le tendenze nel panorama internazionale e occupandosi dei rapporti col management degli artisti migliori per i Magazzini: «Non c’è in realtà una linea precisa, si va dall’hard rock all’hip hop e non escludiamo neppure il jazz, anche se a Milano esistono già locali specializzati in questo tipo di serate. Abbiamo fatto anche spettacoli di burlesque». Tra gli eventi più accattivanti, probabilmente riproposto anche quest’anno, il Flower Power: «Durante la settimana del mobile abbiamo proposto un format anni Settanta importato dalla discoteca Pacha di Ibiza, con dress code a tema hippie chic. Sicuramente un evento interessante da riproporre ma per la primavera comunque è prevista un’altra novità, vedrete».

Nell’offerta anche grande attenzione per il beverage: «Manteniamo una qualità alta sulle bevande, importante quanto l’offerta artistica: abbiamo fornitori di qualità, molti brand sono visibili anche dentro il locale, tanti sono diventati anche supporter e sponsor».

I mesi di punta della stagione sono ottobre e febbraio fino a maggio circa, «poi con l’estate lentamente ci fermiamo. Il mese di agosto lo dedichiamo alla manutenzione e ristrutturazione per affrontare una nuova stagione». Conclude poi con soddisfazione: «La fatica di questi due anni è stata comunicare che i Magazzini sono tornati ad essere aperti e attivi. Gli anni passano e la vita cambia ma siamo soddisfatti che i Magazzini stiano tornando ad essere una location ricercata per Milano».

www.magazzinigenerali.org

Musica361 ha incontrato Elio, al secolo Stefano Belisari, protagonista a Milano fino a gennaio 2018 col musical Spamalot. E mentre si avvicina anche la data del concerto d’addio della sua storica band, Re Elio si è abbandonato con noi a interessanti considerazioni sulla sua carriera ma soprattutto ci ha rivelato qual è oggi il suo Santo Graal.

Intervista a Elio, al secolo Stefano Belisari
Elio e le Storie Tese.

Dopo il recente debutto con Spamalot e l’annuncio del “Concerto definitivo” il prossimo 19 dicembre al Mediolanum Forum di Assago, cioè il concerto d’addio dopo 37 anni di attività del suo storico gruppo, Elio e le storie tese, Stefano Belisari, uno dei musicisti più rappresentativi del panorama milanese, ha fatto con Musica361 un bilancio di carriera a cavallo tra due epoche.

Col musical Spamalot e il prossimo concerto d’addio si chiude o meglio si apre una nuova fase della tua carriera. Ti saresti immaginato così oggi quando fantasticavi da adolescente?
Se nel 1975 qualcuno mi avesse detto che avrei recitato in un musical gli avrei riso in faccia! Quando studiavo flauto traverso al Conservatorio pensavo che sarei diventato uno di quegli orchestrali in buca. Poi appena diplomato ho insegnato per due anni in una scuola di musica a Milano ma ho presto capito che non avrei mai potuto fare l’insegnante: ricordo che a 20 anni pensavo “devo far qualcosa della mia vita adesso, prima che sia tardi” e poi ho messo insieme gli Elii.

Nel 1996 al Festival di Sanremo, vincitori del premio della critica Mia Martini e anche morali con La Terra dei cachi. Ad oggi continua ad essere la vostra canzone più rappresentativa?
Qualche giorno fa leggevo sulla Gazzetta dello sport un titolo su Ancelotti tra i papabili per diventare il nuovo allenatore della nazionale: “Italia sì, Italia no”. Questo fa capire quanto i versi della canzone siano oramai entrati nel lessico comune.

 Elio e le Storie Tese sono talvolta classificati come gruppo pop rock demenziale. Invece nei vostri dischi avete dato prova di un eclettismo a tutto campo. Che contributo senti di aver dato alla musica?
Abbiamo lasciato un segno unico e originale, non solo perché siamo stati bravi ma anche per demeriti altrui: d’altra parte la storia dimostra che quando l’avversario è assente vince direttamente chi è sceso in campo. Nel nostro messaggio era implicitamente racchiuso un invito a chiunque avesse avuto voglia di mettersi in gioco, che non mi pare però che sia stato raccolto. Non vedo eredi. E oggi nonostante l’avvento dell’era 2.0 non vedo sfruttare neppure l’occasione delle nuove tecnologie per realizzare qualcosa di qualitativamente alto: mi riferisco ai prodotti di rapper, youtuber, influencer che per essere realizzati richiedono un centesimo dello sforzo richiesto per realizzare un’opera, una rivista o un musical.

Intervista a Elio, al secolo Stefano Belisari
Elio, Re Artù in “Spamalot” (2017)

Già in teatro con Lina Wertmüller e poi col musical Famiglia Addams: che dimensione è per te il teatro rispetto alla professione di musicista?
Prima di recitare ero già stato su un palco a cantare ma non c’è niente come il teatro per metterti completamente a nudo davanti ad un pubblico. Il teatro è un’altra scuola dalla quale imparare tanto. Ora Lorenzo Vitali, direttore del Teatro Nuovo, mi ha proposto questo progetto, Spamalot, e io gli ho detto di sì. Adoro i Monty Python, penso che siano all’avanguardia ancora oggi benché abbiano prodotto il meglio del loro repertorio all’inizio degli anni ‘70. Nessuno aveva mai portato a teatro in Italia i Monty Python ma la sfida sembra vinta: finora non c’è stata una volta in cui il pubblico non abbia riso e applaudito.

In scena sei Re Artù. Nella vita invece cos’è il Santo Graal per Elio?
Il mio Santo Graal è la consacrazione ufficiale di Elio e le Storie Tese a livello artistico. Siamo molto soddisfatti della nostra carriera, ci vuole bene molta gente però mi risento ancora molto quando sento da parte di alcuni considerazioni del tipo “questi non sono degni neanche di salire sul palco del Festival”. Prima di morire vorrei che alcune considerazioni fossero sanate: trovo che sia giusto più che per me per i componenti di Elio e le storie tese che hanno studiato per una vita e sono arrivati a livelli artistici che in Italia non vedo raggiunti da molti.

Licantropo Vegano (2017) 

Avete voglia di scoprire o provare un nuovo locale ma non sapete quale scegliere? Dalla prossima settimana ogni venerdì la nostra nuova rubrica Locali361 vi presenterà una selezione dei migliori locali della vita notturna milanese con musica dal vivo e non solo. Ma solo con Musica361.

Locali361, la nuova rubrica
Il logo della nuova rubrica “Locali 361”

Milano, capitale della vita modaiola, è una città che sa offrire tanto in termini di location e locali: buon cibo, cocktail e bevande ricercate, luci soffuse o stroboscopiche, musica dal vivo o dj set. Ce n’è per tutti e per tutti i gusti. E per quanto molti, in settimana ma soprattutto nel weekend, non disdegnino una bella serata in intimità o in compagnia di amici in un bel locale, spesso si è per abitudine portati ad affezionarsi ai soliti posti, perdendosi così pigramente nel mare magnum della ricca offerta milanese.

A partire da questa considerazione Musica361 ha il piacere di lanciare, dal prossimo venerdì 24 novembre, con grande spirito di curiosità oltreché di autentico servizio e riferimento per i propri lettori, una nuova rubrica dal titolo “Locali361” allo scopo di raccontare e far conoscere a 361° i locali più interessanti di Milano e hinterland.

Nell’appuntamento settimanale del venerdì sera, che proseguirà ininterrottamente per le prossime 10 settimane, proporremo, secondo la consueta filosofia lifestyle, non solo informazioni pratiche ma anche aneddoti chiacchierando con addetti e responsabili, a cominciare dal contesto storico e dalle vicende relative alla fondazione e alla scelta del nome di ogni locale fino a informazioni riguardo i principali tipi di servizi, le caratteristiche e le specialità in termini di food & drink, incluse indicazioni sulla tipologia della clientela e, naturalmente, sulla programmazione musicale.

In tutta la città e circondario è possibile trovare locali che propongano generi musicali diversi, dal jazz al rock, dal blues al fusion, dalla disco ai dj set e molto altro: forniremo anticipazioni sulla programmazione con particolare interesse e focus sulle serate dal vivo e sugli eventi più accattivanti da non perdere.

Dal prossimo venerdì sera prima di uscire consultate Locali361!

Davide Verazzani ci porta dietro le quinte del mito dei Beatles attraverso la testimonianza inedita di un personaggio poco conosciuto persino ai fan ma fondamentale: Neil Aspinall.

Davide Verazzani racconta Neil Aspinall, “L’ Ultimo Beatle”
Davide Verazzani e “L’Ultimo Beatle” (2017)

Drammaturgo, sceneggiatore, storyteller, attore e naturalmente scrittore, queste le qualifiche per descrivere Davide Verazzani, autore del libro “L’ultimo Beatle”: «Sono nato nel 1965, nove giorni prima dell’uscita dell’album Rubber Soul, che è sagittario come me».

Sebbene non abbia potuto essere un fan della prima ora e paradossalmente abbia conosciuto i Beatles quando già non esistevano più, da quel momento Verazzani, come molti, ha cominciato a interessarsi alla vicenda dei fab four. E negli anni comincia a fantasticare sull’idea di «portare in scena un monologo che raccontasse la storia dei Beatles ma dal punto di vista di un personaggio che ne avesse condiviso la storia in prima persona. Scartati il manager Brian Epstein e il produttore George Martin mi sono imbattuto nel poco noto Neil Aspinall, una vera scoperta: da road manager a CEO della Apple Corps è stata una figura fondamentale per il quartetto di Liverpool e sempre più cercando notizie su di lui mi si è aperto un altro mondo sull’universo Beatles».

Lavorando su Neil Aspinall scrive e porta in scena con successo il monologo La versione di Neil (Una vita con i Beatles) e così la Bietti Editore gli commissiona una biografia su Aspinall: vede così la luce “L’ultimo Beatle” nel quale Verazzani ci svela il protagonista di una vita incredibile, dall’infanzia nella stessa scuola insieme a Paul McCartney e George Harrison, al ruolo di road manager dei Beatles dal 1959, passando poi per la relazione e il figlio avuto dalla madre del suo migliore amico Pete Best, primo batterista della band, il matrimonio con la pronipote di Mary Pickford, una delle fondatrici della United Artists, la nomina di presidente della Apple Corps in qualità di amministratore degli affari del gruppo dal 1968 e la realizzazione dell’imponente Beatles Anthology. «Fino a un anno prima della morte nel 2008 è stato l’angelo custode dei Beatles», spiega Verazzani, «qualsiasi cosa avessero bisogno lui gliela faceva avere».

Davide Verazzani racconta Neil Aspinall, “L’ Ultimo Beatle” 1
Copertina “L’ultimo Beatle” (2017)

Nonostante tale ruolo non è mai stato pubblicato, prima de “L’ultimo Beatle”, un libro su di lui: «Non esiste una sua sola riga o intervista rilasciata da Aspinall per tutto il periodo dell’esistenza dei Beatles, né fonti precise, libri o interviste significative. Il mio libro si basa sulla sterminata bibliografia, che ogni vero fan dei Beatles dovrebbe avere, dalla quale ho ricostruito le parti più importanti della vita di Neil: quello che non ho trovato nei libri e che le persone con cui ho parlato non mi hanno rivelato, l’ho ricostruito in maniera coerente a quanto già sapessi. Ho avuto il privilegio di conoscere persino Susan, la vedova, che nonostante il supporto morale non mi ha voluto mettere a disposizione altro perché fedele alla riservatezza del marito. È stata una sfida scrivere di lui ma nel libro emerge un’immagine veritiera e non gossippara».

Il titolo, “L’ultimo Beatle” deriva dalla convinzione di Verazzani che Aspinall sia stata l’ultima persona ad aver creduto al sogno Beatles. Neil lascia la Apple nel 2007 perché costretto a sottoscrivere un accordo extra giudiziale con Steve Jobs, citato in giudizio per la terza volta, accordo però imposto dal consiglio di amministrazione della Apple (Paul, Ringo e le vedove di George e John): «La Apple Corps nacque per garantire le istanze e i diritti dei Beatles. Quando persino i Beatles gli chiesero di svendere il loro marchio all’innovazione rampante Neil capì di appartenere ad un altro mondo. Mi è venuto in mente come titolo “L’ultimo Beatle”, per sottolineare che presumibilmente si sentisse come l’ultimo dei Mohicani».

Un’occasione per conoscere molti aneddoti sia riguardo Aspinall che i Beatles: «La vita di Neil non avrebbe avuto senso senza i Beatles e viceversa: la mia testimonianza rappresenta un punto di vista diverso sugli stessi Beatles come gruppo e come rockstar, il punto di vista di chi per mestiere doveva prendersi cura di loro. Ho cercato di analizzare e sottolineare quale fosse il suo lavoro all’interno dei Beatles, riassumibile nell’espressione “Prendersi cura” (Take care) come scoprirete nel libro. Quello che doveva fare era proprio prendersi cura di loro, in qualsiasi situazione». In particolare la foto di copertina con John Lennon e George Harrison sorridenti spinti alle spalle da Neil Aspinall  rende bene l’idea di questo ruolo: «Erano quasi non curanti dei pericoli che correvano in una sorta di superomismo tipico della gioventù. E Neil, pur coetaneo, si rendeva perfettamente conto di tali pericoli: qui come si vede li porta via dalla folla prendendosi cura di loro. Un’immagine perfetta».

Sfogliando le pagine di questa bibliografia romanzata si percepisce un grande senso di gratitudine: «Sembra quasi che Neil non faccia altro che ribadire “grazie per avermi fatto vivere questo tipo di vita”. Questo è il modo in cui ho cercato di mettere insieme queste pagine raccontando una persona semplice come noi trasformata dal contatto con la divinità. In parte questa considerazione riguarda anche me, non solo perché i Beatles mi hanno permesso di scrivere questo libro ma anche perché in parte quello che sono lo devo a loro. In questo senso “L’ultimo Beatle” vuole essere il mio personale ringraziamento ai Beatles. E a Neil naturalmente».

Musica361 ha incontrato il chitarrista dei Pooh dopo i Pooh: tra riflessioni sui 50 anni di carriera col gruppo emiliano più popolare d’Italia e nuovi progetti futuri.

“E la storia continua”: chi fermerà Dodi Battaglia?
Dodi Battaglia

«Ho passato con i Pooh anni ricchi di gratificazioni immense, un periodo difficilmente ripetibile. Ho avuto nei confronti del mio gruppo un amore passionale e viscerale, ho dato tutto me stesso in notti insonni e giornate intense. E l’amore che ho per la musica è sempre andato di pari passo: non abbandonerò mai un mestiere che ho cominciato a 5 anni, masticando le note prima ancora delle parole».

Dopo quanto vissuto con i Pooh e ancora entusiasta per le esibizioni insieme ai suoi colleghi per il cinquantennale, Dodi Battaglia ha voluto ribadire la sua individuale passione per questo mestiere con una tourneè documentata nel suo ultimo disco live: «Ho organizzato una tourneè memorabilmente raccolta in un disco che, forse per la prima volta nella mia carriera, non è stato programmato e per questo intensamente goduto. Dopo l’incontro ad agosto col discografico il 20 ottobre era già nei negozi E la storia continua live, mentre il 17 novembre verrà pubblicato il DVD, con immagini emozionanti tratte dai live». Parlando della scelta dei brani per il disco aggiunge: «Si tratta di un repertorio incentrato su quello che sono o sono stato io, vale a dire il chitarrista di un grande gruppo italiano: non potevano mancare i brani più importanti che ho scritto e cantato come interprete all’interno dei Pooh, insieme ad altri che mi piaceva suonare dal vivo perché parte della mia storia e altri ancora che vengono dalla mia carriera solista».

“E la storia continua”: chi fermerà Dodi Battaglia? 1
Copertina CD “E la storia continua…” (2017)

In tema di esibizioni ribadisce quanto l’aggettivo per descriverle meglio sia “popolare”: «Ho studiato per anni per risultare popolare: e anche se molti mi ritengono un fine musicista quando vedo una piazza gremita di persone esultanti vado in libidine! Sono orgoglioso di questi bagni di folla sia in uno stadio, in un teatro o in un club. Tanto quanto sono orgoglioso, attraverso il recente riconoscimento della laurea honoris causa, di essere diventato un trait d’union tra il mondo istituzionale musicale e quello popolare di radio e televisione: probabilmente dopo di me chi frequenterà un Conservatorio avrà ancora di più la possibilità di salire su un palcoscenico e fare lo stesso mestiere di Dodi Battaglia (sorride)».

Nonostante tale riconoscimento e l’esperienza accumulata Battaglia si sente tutt’altro che un maestro nel vero senso del termine: «Regalo consigli a chiunque me li chieda ma dai colleghi come dalla vita preferisco sempre imparare. La mia unica passione, se si escludono le corse in auto, è entrare in studio per comporre, trovare soluzioni armoniche o melodiche: non passa giornata senza che tenga in mano per due o tre ore una chitarra».

Dopo tante soddisfazioni e con uno spirito invidiabile Battaglia già pensa ai prossimi progetti, in particolare fervono i preparativi per i suoi 50 anni di carriera come chitarrista: «Festeggerò l’anno prossimo, il 1° giugno con un concerto in Piazza Maggiore col mio gruppo e con tutti gli amici della Bologna musicale che, come dice De Gregori, è per definizione la città degli orchestrali e dei musicisti: inviterò ognuno a suonare insieme a me una canzone del mio repertorio».

E i progetti non finiscono qui: «Nel corso di queste cinque decadi i Pooh hanno sempre suonato per il pubblico i loro classici, da Tanta voglia di lei a Pensiero a Chi fermerà la musica. Siamo stati però anche autori di altre chicche che abbiamo suonato solo per promozione quando pubblicavamo i dischi ma che poi abbiamo accantonato. Sto pensando ad un tour teatrale nel quale proporre tutte le canzoni che non abbiamo mai più eseguito nel corso degli ultimi anni come Vienna, Classe 58, Dialoghi, Un caffè da Jennifer, Credo e Cercami». Titolo provvisorio di questo progetto è Perle: «Come le perle che lasci dentro un cassetto che ogni tanto riapri per rilucidarle. E mi piacerebbe rispolverare anche quelle chitarre con le quali ho registrato determinate canzoni, perché certe sonorità si ottengono solo con certi strumenti. E così, suonando le mie chitarre, poter rivivere anche io quello che rivivrà il pubblico».

La musica si è evoluta nel corso degli ultimi decenni e con essa le sue potenzialità nell’ambito della produzione musicale. Musica361 vi porta all’interno di uno degli studi di produzione musicale più importanti di Milano, oggi scelto come sede delle prove di un notissimo talent

Bluescore Studio Milano, studio di produzione musicale
Sala di regia dello studio “Bluescore” (Foto © Rita Cigolini).

«A fine anni ‘90 eravamo in tre soci ad occuparci di composizione e produzione musicale, avevamo una piccola regia dove lavoravamo nei dintorni di via Mecenate a Milano. Sebbene la nostra attività fosse fondamentalmente legata alla parte produttiva e compositiva spesso però capitava che ci dovessimo appoggiare a studi esterni, soluzione costosa: per questo eravamo alla ricerca di un nostro studio che potesse essere da supporto alla nostra attività». Inizia così il racconto Marco Leo, uno degli storici soci di Blue Score Entertainment, studio di produzione musicale fondato insieme a Sergio Rigamonti e Lorenzo Colombo. «Abbiamo trovato questo spazio abbandonato nel 2005 in via Sannio e qui ha avuto sede lo studio. Nel 2009 poi, quando il nostro socio Lorenzo si è trasferito in Australia ed è subentrato Guglielmo, abbiamo sviluppato la parte di speakeraggio, il vocal boot e la regia B».

La Blue Score Entertainment oggi si dedica strettamente alla produzione musicale per filmati e applicazioni ma «abbiamo cominciato occupandoci di musica dal vivo nell’ambito della musica pop-rock, interessandoci originariamente anche a dischi e colonne sonore. Tutto quello in cui siamo stati coinvolti successivamente è derivato dalla nostra attività di musicisti. Sergio ha sempre fatto lavoro di studio, io sono stato un po’ turnista e un po’ compositore e arrangiatore» spiega Marco.

Tra le varie commissioni a poco a poco arriva anche l’esperienza televisiva, realizzando le musiche per uno sceneggiato Rai con Kabir Bedi e per una sit-com con Enrico Beruschi ma «abbiamo collaborato anche con McDonald alla realizzazione di una app, The Icon Club». Negli anni 2000 la Blue Score è arrivata a toccare il settore pubblicitario istituzionale: «Le potenzialità di applicazione della musica si stavano sviluppando tantissimo dal punto di vista della fruibilità e dell’operatività con l’avvento di internet, della mobile generation e di quella sfera di comunicazione legata a nuove piccole realtà. In qualità di compositore ho cominciato a lavorare anche su commissione per realizzare video pubblicitari per ditte alimentari o commerciali».

Entriamo nel merito facendoci spiegare da Marco la peculiarità della sua professione: «Un ruolo creativo legato alla composizione e all’arrangiamento: fondamentalmente creo un’idea musicale su indicazioni specifiche relativamente al genere musicale e ai sentimenti da suscitare con un testo. É un concetto di sound design in senso lato – anche se propriamente il sound design riguarda la parte rumoristica. Basandomi su precise indicazioni e clichè armonici scrivo un brano nel quale devono rientrare precise aree semantiche musicali. Ogni volta che si lavora su un preciso sound design è necessaria un’analisi accurata di quegli elementi che connotano un vero “modo di vivere” legato alla musica, al fine di trasmettere precise emozioni, o almeno in ambito pubblicitario spesso c’è una ricerca in questo senso».

La Blue Score ha visto negli anni non solo produzioni musicali di area commerciale o pubblicitaria ma anche grandi nomi della musica italiana: «Ho lavorato con i Dik Dik ma sono passati di qui anche i Negrita, Levante, Francesca Michielin, i Subsonica, Max Gazzè, Tre allegri ragazzi morti e di recente anche i Kolors». Spontanea una riflessione in merito dal punto di vista dell’arrangiatore musicale: «Non tutti amano veramente la musica in ambito pop. Amare la musica significa studiarla in modo approfondito e più studi, più ti rendi conto che la genialità di comporre brani semplici ma belli non ce l’hanno tutti. É molto difficile sentire oggi composizioni musicalmente belle e profonde. Però ci sono dei geni che lo sanno fare, in Italia ne abbiamo avuti tanti».

Bluescore Studio Milano, studio di produzione musicale
Ingresso Bluescore

Recentemente la Blue Score, tramite la collaborazione con l’agenzia pubblicitaria Piano B, è diventata sala prove di un noto talent, sfruttando il nuovo ampliamento e la tecnologia dello studio: «Mettiamo a disposizione una nuova sala per le prove del talent che permette anche l’acquisizione di immagini. In questa nuova sala gemella, accanto al nostro studio, è possibile realizzare un concerto live in streaming con la diretta acquisizione di immagini, oppure da poter montare in seguito. L’aspetto televisivo della musica è solo una parte del mondo musicale ma la dimensione video oggi è fondamentale per qualsiasi gruppo e noi daremo questo supporto».

Un’ultima curiosità sul nome: «“Blue score” significa partitura blu, perché il colore della musica è il blu» afferma Leo. «Il blues è un genere spesso collegato alla parola “blue”, cioè tristezza, che identifica uno stato emotivo. Da questo modo di “sentire” si identifica il blu come colore della musica: tutta la produzione musicale degli ultimi 100 anni è ispirata a moti interiori. E il blu è il colore tipico in ambito musicale».

Confidando da sempre nel potere terapeutico della musica il giornalista astigiano prescrive pillole di rock per curare ogni malanno esistenziale dalle pagine suo ultimo libro, “Rock Therapy”. Provate anche voi, non ci sono controindicazioni.

Rock Therapy di Massimo Cotto, pillole di rock per curarsi
Massimo Cotto, autore di “Rock Therapy” (2017)

Massimo Cotto, prolifico giornalista e critico musicale con alla spalle una bibliografia di oltre 60 libri, nonché una delle voci più intriganti di Virgin Radio, continua a ribadirlo da anni: «Oltre che la colonna sonora del nostro quotidiano credo fermamente che il rock possa essere il più efficace dei rimedi. Se siamo fortunati ci salva la vita, nella peggiore delle ipotesi ci migliora la giornata».

Principio assunto a vera filosofia, anzi terapia, nella sua ultima produzione, Rock Therapy. Il sottotitolo in particolare recita «Rimedi in forma di canzone per ogni malanno o situazione»: non si tratta dunque dell’ennesimo manuale di canzoni fondamentali ma più propriamente di una sorta di vero “ricettario” costituito da «pillole di rock da ingerire a seconda delle circostanze e dei malesseri (o malumori o malanni). E poiché una sola canzone a volte non basta per guarire, propongo una terapia completa, associando più brani fino a formare un percorso, sapendo che comunque, se non dovesse funzionare, si può sempre buttare tutto nel cestino e cambiare medico, o seguire la brillante alternativa dell’autoprescrizione», spiega Cotto nell’introduzione (pp. 11-12).

Il libro si apre in tre grandi sezioni Mal d’essere, Mali di stagione e Mal di giornata, ciascuna suddivisa in una decina di capitoli, e ogni capitolo racchiude più pillole: quelle per curare il mal di gola come Rock and roll all nite dei Kiss «nata per essere cantata a squarciagola» o per il mal d’amore, quelle antidepressive ma anche antirughe come My generation degli Who «perché la giovinezza non è un fattore anagrafico» e persino canzoni per curare l’artrite o per favorire la concentrazione.

Rock Therapy di Massimo Cotto, pillole di rock per curarsi
La copertina del libro “Rock Therapy”, Marsilio 2017

In totale ben 344 canzoni con precise proprietà terapeutiche e un cappello introduttivo in cui Cotto spiega il criterio nella scelta del brano secondo il bisogno al quale risponde o il disturbo che può sanare: «Alcune canzoni sono adatte a momenti di fragilità e aiutano a elaborare un dubbio che ha messo in discussione le nostre certezze, altre valgono per tutte le stagioni, altre ancora possono funzionare in precisi momenti: se ad esempio voglio portare a cena la donna che desidero ardentemente da due anni non metto su Nick Drake…altrimenti ci suicidiamo entrambi! (Ride)».

Il bello di questa “terapia” è che ogni canzone scelta viene pure storicamente contestualizzata ricostruendo l’ambiance della vicenda compositiva con aneddoti, curiosità e riflessioni su personaggi, episodi e luoghi: si scopre allora che Across the universe (1969) nacque dalla penna di Lennon dopo un litigio con la moglie Cynthia o che Elton John confessò personalmente a Cotto che in un periodo di grande difficoltà di dipendenza dalle droghe ascoltava Don’t give up (1986) di Peter Gabriel e Kate Bush trovando la forza per andare avanti. «Questo libro fa comprendere il potere della musica, quell’energia che ti entra nell’anima dove non arrivano la mente le medicine e la terapia e ti fa capire che puoi ancora farcela o che qualcosa può ancora succedere», aggiunge Cotto.

Più delle storie in sé però è la brillante ed entusiasta scrittura dell’autore a regalare narrazioni coinvolgenti capaci di restituire, in poche righe, le emozioni di un’epoca, tanto da risultare apprezzabili anche per chi poco conosce il rock: quelle storie che il giornalista astigiano ci ha da tempo abituato ad ascoltare sfoggiando una perizia musicale davvero invidiabile attraverso uno stile solo apparentemente modesto e informale. Forse perché Cotto, come lo ha definito Gian Paolo Serino, “non è un critico musicale: è un poeta-romanziere che ha seguito la voce anziché la penna”.

Perché allora non verificare l’efficacia della cura? Che poi funzioni o meno, avrete avuto l’occasione di vivere un eccitante viaggio sulle note del rock. D’altra parte, come diceva Pete Townshend, se “il rock non eliminerà i tuoi problemi, ti permetterà di ballarci sopra”.

The Who My generation « Perché la giovinezza non è un fattore anagrafico»

Volete provare l’autentica ed eversiva carica dal vivo degli Stones? Se avete perso il “No Filter” tour che ha recentemente toccato anche l’Italia consolatevi con la nuova e attesissima uscita discografica delle pietre rotolanti: On-Air.

The Rolling Stones ON AIR esce il 1 dicembre
Copertina della versione Deluxe di “The Rolling Stones ON AIR”, in uscita il 1°dicembre

Circola da qualche anno su facebook un post con i Rolling Stones sorridenti in posa e la frase: «Anche quest’anno muoiono gli altri». Humor nero a parte, pare sia proprio vero che la band di Jagger e compagni sia immortale e non solo a parole, stando anche al successo e relative polemiche suscitate dalla loro recente esibizione nell’inedita location presso le Mura storiche di Lucca in occasione dell’ultimo tour “No Filter”, alla presenza di ben 56 mila spettatori.

D’altra parte i Rolling Stones, incarnazione della controcultura negli anni Sessanta e Settanta con la loro iconica e sprezzante linguaccia, continuano ad essere di moda ogni anno che passa forse proprio perché fedeli a se stessi, rappresentando ancora a 50 anni di distanza dal loro esordio la quintessenza di quel rock’n’roll che li ha partoriti. E forse per questo ogni anno nuove generazioni di giovani e giovanissimi aumentano le fila dei fan di questa band in tutto il mondo, affollando i loro concerti nel tentativo di cogliere nella loro musica, anche solo per un attimo, lo spirito per lo meno di ciò che furono e hanno rappresentato. Per chi li avesse persi a Lucca o per chi, purista, avesse nel cuore “i veri Stones”, quelli della formazione originale col compianto Brian Jones alla chitarra e lo storico bassista Bill Wyman, quale migliore occasione dunque della loro prossima pubblicazione per godere di tale esperienza: The Rolling Stones ON AIR, in uscita il prossimo venerdì 1 dicembre.

Come già accaduto più di 20 anni fa con il disco degli storici rivali – The Beatles Live at BBC – ecco finalmente dagli archivi della mitica emittente radiofonica inglese un’attesissima selezione di registrazioni molto fedeli all’elettrizzante immediatezza dei primi concerti del nucleo originario della band, a partire dal 1963, anno di pubblicazione del singolo di debutto, Come on, cover di un noto brano di Chuck Berry – e non a caso anche primo estratto del disco, in streaming e digitale dallo scorso 6 ottobre – fino al 1965, anno domini del loro classico per eccellenza (I can’t get no) Satisfaction.

A quei tempi la BBC invitava le band ad esibirsi con i singoli del momento ma gli Stones della prima formazione blues, abituati a riempire club e ballrooms nell’Inghilterra beat, erano ancora tanto grezzamente e puramente fedeli all’energia degli standard rock’n’roll della dimensione live quanto lontani da stimoli meramente commerciali. Preparatevi dunque a singolari interpretazioni nate sul momento e differenti dalle note versioni da studio, cover vibranti o classici targati Jagger/Richards mai sentiti prima, comprese sette tracce che hanno debuttato ‘on air’ prima ancora che sui solchi dei dischi ufficiali.

Se con Blue & Lonesome (2016), l’ultimo album di master del passato, hanno voluto rimarcare le proprie radici musicali, con questa ideale antologia sorella gli Stones intendono rievocare al loro transgenerazionale pubblico proprio la loro genuina anima rock’n’roll, quando ancora, ben lontani dai numeri degli stadi, semplicemente suonavano la musica che amavano, dal blues al R&B al soul, inclusa qualche strana ballata country.

Uno stile di vita rimarcato da questa fotografia sonora di anni straordinari in cui la notorietà artistica si costruiva ancora giorno dopo giorno e la conquista del mondo andava al passo di 12 misure di blues dal vivo.

ON AIR sarà disponibile in Italia nei formati standard CD, Deluxe Edition doppio CD, Doppio vinile Deluxe 180 grammi.

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15 anni fa oggi usciva “Veleno”, album di Mina contenente “Certe cose si fanno”, uno dei singoli di punta e tra le migliori canzoni mai incise dall’artista. Un vero classico alla Mina, degno della sigla di chiusura di Studio Uno, con un ricercato finale di flicorno. Eppure la canzone non avrebbe mai dovuto comparire nel disco e neppure era stata scritta per la Tigre di Cremona. Un giorno però Gianfranco Fasano incontrò Bruno Lauzi…Un curioso aneddoto raccontato da Musica361

Bruno Lauzi e Gianfranco Fasano
Copertina dell’album “Veleno” (2002), contenente il singolo “Certe cose si fanno”

Primavera 2002. Gianfranco Fasano, che festeggia quest’anno 40 anni di carriera, era già un cantautore e autore più che affermato, avendo firmato brani per Anna Oxa, Fausto Leali e tanti altri nonché protagonista più volte a Sanremo e a tante altre manifestazioni musicali italiane. Dal 1994 però, dopo la nascita del figlio Emanuele, aveva cominciato a scrivere canzoni per i più piccoli dedicandosi anche a quel settore discografico. Per qualche anno diresse anche “Radio Baby”, un’emittente radiofonica satellitare con una programmazione dedicata interamente alla musica per bambini. Fu così che un giorno Fasano decise di invitare in radio uno degli autori di pietre miliari della canzone per bambini, Bruno Lauzi.

Decise però di invitarlo personalmente presentandosi a casa di Lauzi, a quel tempo residente a Peschiera Borromeo. Il pomeriggio fu piacevole, Lauzi accettò subito la proposta di partecipare alla trasmissione di Fasano e poi inevitabilmente, i due, che già si stimavano reciprocamente, si misero a chiacchierare, ovviamente di musica. Ad un tratto, proprio mentre Lauzi stava confessando quanto adorasse una delle canzoni meno note ma per lui tra le più belle di Fasano, Un giorno di marzo, si interruppe. “Aspettami qui”, disse alzandosi dalla sedia con fare circospetto e prese in silenzio le scale che portavano alla mansarda di fronte ad un Fasano perplesso.

Dopo qualche minuto scese dalla mansarda con in mano un foglietto piegato in quattro. Poi porse quel foglietto a Fasano dicendo: “Franco, tutti mi dicono da tempo che questo testo è troppo corto e nessuno riesce a musicarlo. Io stesso non riesco a scrivere più di quello che vedi.” E mentre Fasano legge curioso quelle poche righe Lauzi aggiunge: “Se tu riesci a scrivere la musica poi aggiungerò ancora io qualcosa”. I due si salutarono e Fasano tornò a casa.

Fasano ci dormì su, poi al mattino, appena sveglio, riaprì quel foglietto e lo appoggiò sopra la tastiera del pianoforte. Rilesse quel titolo che gli ispirò un groove di batteria come colonna portante della canzone: seguendo quell’ispirazione il pezzo fu ultimato praticamente in 5 minuti. “Questo è un capolavoro!” esclamò Lauzi quando riascoltò la canzone con il testo che in pratica non era stato modificato di una virgola, con la sola aggiunta di un vocalizzo prolungato del titolo: Certe cose si fanno. Dopo aver ascoltato la nuova versione di Fasano, Lauzi consigliò “Bisogna proporla a Fiordaliso, è perfetta per Fiordaliso!”  Fasano lì per lì annuì ma riascoltandola ancora sentiva che lo stile intimista di quella canzone, con tutto il rispetto per Fiordaliso, avrebbe meritato forse un’altra voce. La voce. E a insaputa di Lauzi tenta il colpaccio.

“Certe cose si fanno”, parola di Bruno Lauzi e Gianfranco Fasano 1
Bruno Lauzi e Gianfranco Fasano

Chiama Massimiliano Pani per sapere se Mina potesse essere interessata ad una canzone per il suo prossimo disco. “Mi spiace” risponde Pani, “arrivi tardi, abbiamo appena chiuso il disco. Comunque una canzone firmata Fasano-Lauzi la ascoltiamo volentieri, magari per un’altra occasione”. Dopo due giorni Pani richiamò Fasano con un tono di voce serio: “Ho una brutta notizia e una buona”. “Dimmi”, rispose Fasano attento. “La brutta è che devo rimandare le mie ferie perché mia madre ha deciso di sostituire un brano nella scaletta del disco. E la bella è che sostituirà quel brano con la vostra canzone: abbiamo chiamato anche Alex Britti per le chitarre”.

Quando Lauzi riaprì la porta di casa qualche tempo dopo si trovò davanti Fasano che gli disse entusiasta “Ho una notizia pazzesca” e Bruno, che ancora non sapeva niente, già pensava con soddisfazione a Fiordaliso. I due si accomodarono, Fasano fece il numero di Pani, poi passò la cornetta a Lauzi aggiungendo solo: “C’è Fiordaliso al telefono”. Lauzi mise l’orecchio al ricevitore e quando ascoltò la voce di Pani si fece compassato. Restò in silenzio rispondendo solo un paio di volte “Sì, sì, va bene, grazie”. Quindi riagganciò, restò impietrito per qualche istante poi alzò lo sguardo verso Fasano e disse: “Adesso io e te siamo diventati davvero amici”. E fu così che Certe cose si fanno diventò il secondo singolo estratto dall’album Veleno. Lauzi, pur avendo già scritto altri pezzi per Mina, non smise mai di ringraziare Fasano per quella opportunità. D’altra parte, quando c’è stima e amicizia, Certe cose si fanno.

Certe cose si fanno (2002)

In uscita venerdì, 27 ottobre, un nuovo grande cofanetto con il meglio della produzione dal vivo e in studio dell’ex avvocato. Previsto nella raccolta anche un libro fotografico e l’inedito “Per te”. Tutte le anticipazioni nell’articolo di Musica361.

“Zazzazzaràz”: lo spettacolo d’arte varia di Paolo Conte
Copertina del cofanetto “Zazzazzaràz – Uno spettacolo d’arte varia”, in uscita questa settimana

Prende il titolo da un vero verso, è il caso di dirlo, tratto da una celebre canzone del cantautore astigiano la nuova raccolta di Paolo Conte, Zazzazzaràz – Uno spettacolo d’arte varia, progetto discografico che, secondo la scelta di altri colleghi in questo periodo pre-natalizio, intende offrire antologicamente il meglio dell’intera carriera dell’artista.

«Fa un certo quale effetto per un compositore vedere tutte (o quasi) le proprie canzoni riunite insieme», ha dichiarato Paolo Conte. Riguardo la tracklist ha poi aggiunto: «A me non appaiono lontane quelle più antiche, né vicine quelle più recenti. Le più vecchie in ordine di tempo erano figlie di una fantasia più vergine. Io stesso, componendole, ricordo di aver provato la sensazione di stupirmene. Saranno capite? Era la domanda che qualche volta rivolgevo a me stesso…».

Pare proprio di sì stando al successo riscontrato in tanti anni di attività non solo dal pubblico ma anche dall’apprezzamento di tanti altri artisti: la raccolta infatti è composta non solo dai migliori brani selezionati in oltre 40 anni dagli album di studio e dalle versioni live rispolverate dagli archivi, ma anche da un terzo disco con le interpretazioni delle canzoni di Conte registrate da colleghi come Francesco De Gregori e Lucio Dalla, artisti internazionali come Miriam Makeba e Dizzy Gillespie fino a protagonisti dello spettacolo come Roberto Benigni ed Enzo Jannacci e molti altri estimatori da scoprire.

All’interno del cofanetto, a impreziosire questa ricca selezione anche un brano inedito registrato appositamente per questa nuova pubblicazione, Per te,  e un volume con numerose fotografie e rari scatti rubati durante i concerti o nei backstage nel corso dei tour, ritratti inediti che documentano momenti privati della vita del cantautore e persino alcuni schizzi e disegni dello stesso Conte.

Un cofanetto da collezione non solo per scoprire o riapprezzare uno dei cantautori italiani dal patrimonio musicale vasto e sfaccettato ma persino tra i pochissimi che, vincitore di un David di Donatello e di un Nastro D’Argento, è riuscito a varcare i confini nazionali riscontrando successo di pubblico e critica anche all’estero, insignito di riconoscimenti al merito letterario dalla Repubblica Italiana e da quella Francese.

Paolo Conte, attesa per il cofanetto Zazzazzaràz

I due formati di Zazzarazàz – Uno Spettacolo D’arte Varia saranno disponibili in un box Deluxe da 4 CD e, per i più esigenti, in edizione Super Deluxe da 8 CD.

Standard 4 CD

  • 3 CD una selezione delle più belle canzoni in versione originale
  • 1 CD con le canzoni di Paolo Conte interpretate da Dalla & De Gregori, Fiorella Mannoia, Daniele Silvestri, Enzo Jannacci, Roberto Benigni e molti altri!
  • Booklet fotografico con introduzione di Paolo Conte

Super Deluxe 8 CD

  • 7 CD con le più belle canzoni in versione originale
  • 1 CD con le canzoni di Paolo interpretate da Dalla & De Gregori, Fiorella Mannoia, Daniele Silvestri, Enzo Jannacci, Roberto Benigni e molti altri!
  • Libro fotografico di 80 pagine con introduzione di Paolo Conte.
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