Dopo il terzo posto nella categoria Nuove Proposte all’ultimo Festival di Sanremo e la pubblicazione del disco Universo, il cantautore toscano ha pubblicato per l’estate una ballad dalle sonorità morbide in cui spiccano i tipici colori della sua voce emozionante e avvolgente.  La stessa con la quale si è raccontato a Musica361.

Francesco Guasti, Cercami adesso
Francesco Guasti © Mario Silvestrone

Universo è il brano con cui si è aggiudicato quest’anno il terzo posto a Sanremo e il titolo dell’omonimo album dal quale è stato recentemente estratto anche il singolo Cercami adesso. Musica361 ha preso in parola il titolo di questo brano, lo ha cercato e trovato proprio “adesso”: Francesco Guasti ci ha parlato dei suoi impegni e dei suoi progetti, del contributo di Piero Pelù e del suo modo di intendere la musica, dell’esperienza sanremese, animato dalla sana voglia di continuare a inseguire il suo sogno e, fedele al testo della sua canzone, di prendersi il futuro.

Quando e come la folgorazione per la musica?
Mia sorella Chiara, più grande di me, aveva una band e i miei genitori mi portavano spesso a vederla cantare: è stato naturale innamorarsi del mondo del palcoscenico. Lo strumento che per primo mi ha affascinato a 6 anni è stata la batteria, poi, grazie anche all’incoraggiamento della mia maestra elementare che mi faceva sempre cantare la parte solista nelle esibizioni di fine anno perché adorava il mio timbro graffiante, mi sono appassionato al canto. Da adolescente entrai a far parte di una band di tre elementi con la quale facevo cover rock, suonando la batteria e canticchiando: col tempo ho abbandonato lo strumento batteria e mi sono dedicato unicamente allo strumento voce.

2013, anno importante per te con la partecipazione a The voice of Italy nel team di Piero Pelù e la pubblicazione di Un solo giorno in più. Quando hai partecipato a questo talent, dopo la gavetta, hai sentito che qualcosa stesse cambiando?
Suonavo già da tempo nei locali e nei club quando è arrivata l’occasione del talent. E per caso: una sera mentre mi esibivo con la mia band mi ha avvicinato una persona dicendomi che stavano cercando nuovi talenti per questo talent della Rai. Quel responsabile mi disse che avevo un timbro molto interessante e mi incoraggiò a tentare il provino che poi andò bene. Il talent ha rappresentato un’esperienza importante, anche se mi ha fatto conoscere un tipo di approccio francamente un po’ distante dall’idea che ho della musica. In ogni caso The voice ha avuto il pregio di farmi conoscere un artista che sulla musica la pensa un po’ come me, Piero Pelù: anche lui ha fatto tanta gavetta dal vivo con i Litfiba costruendo una carriera sulla musica live, non solo cantata su base.

Francesco Guasti, Cercami adesso
Piero Pelù e Francesco Guasti

Infatti nel 2015 vede la luce, oltre al singolo Piovono rose, anche l’EP Parallele, proprio con la produzione di Pelù. Quanto ha inciso o contribuito la collaborazione con questo artista nella formazione del tuo stile?
Lavorare con Piero è stato importante, da un artista che ha “vissuto” così tanto c’è solo da imparare. Sicuramente nel disco Parallele ci sono molte sonorità vicine al mondo di Pelù: è chiaro che quando si ha a disposizione un’esperienza come la sua bisogna anche un po’ affidarsi al suo intuito e alla sua visione. Parallele è un prodotto a metà tra Francesco e Piero: un disco di cui rimango soddisfatto anche se in Universo, quello uscito dopo Sanremo, si sente più la mia impronta, avendo avuto in questo caso più spazio per poter esprimere la mia personalità musicale.

Come definiresti oggi la tua musica?
Non ho mai pensato a definire la mia musica, soprattutto perché sono del parere che la musica non abbia etichette: scopo universale della musica, sia rock, pop, jazz, blues o heavy metal, è far star bene chi la ascolta. Non mi piacciono troppe definizioni: quando una cosa è bella, è bella. Personalmente mi sono formato con ascolti di cantautori come De Gregori, Guccini o Finardi che mio padre, estimatore, fin da piccolo mi faceva ascoltare: ho cercato di accompagnare ad una musicalità che inevitabilmente strizzi l’occhio al mercato, dei testi che possano andare oltre una certa superficialità. D’altra parte devo ammettere pur con un pizzico di dispiacere che oggi come oggi, soprattutto per un giovane emergente, sia inevitabile dover considerare anche il mercato per non essere escluso dal cosiddetto circuito mainstream.

Prima nel 2014 sei tra i finalisti con Scintilla dopo scintilla e quest’anno, con Universo, terzo classificato a Sanremo Giovani. L’esperienza sanremese prima e dopo: cosa resta indelebile della prima volta e come hai vissuto l’ultima edizione?

Sono quattro anni che arrivo in finale, l’anno scorso in particolare ero tra i 12 finalisti…Arrivare a un passo dal traguardo e non superarlo è sempre dura: ogni anno, dalla mia prima edizione in poi, ha rappresentato la tappa di una maturazione che ogni volta mi ha dato lo stimolo a rimettermi in gioco, inseguendo ossessivamente un obiettivo con tutte le mie energie. Per questo ti confesso che quest’anno mi dispiace non potermi iscrivere: mi mancherà questo appuntamento. Però sono contento di essere arrivato su quel palco che sognavo fin da piccolo: considero ogni momento vissuto a Sanremo come una preziosa fiche da inserire nel mio bagaglio di vita.

Francesco Guasti, Cercami adesso
Francesco Guasti © Mario Silvestrone

Hai qualche scaramanzia solitamente prima di salire sul palco?
Non sono molto scaramantico, penso che si aiuti molto la buona sorte facendo bene il proprio mestiere. Proprio adesso sto lavorando in studio con la mia band, riprovando la scaletta per le date previste tra agosto e settembre: è sempre fondamentale preparare tutto come si deve. Sono abbastanza tranquillo perché quando salgo sul palco so che posso sempre contare sul mio staff e i miei musicisti.

Dunque sei fedele al testo della tua canzone: “Il futuro è di chi se lo prende”.
Il futuro è di chi è capace di reinventarsi ogni volta. Spero di non sentire mai il mio pubblico dire “immaginavo che Guasti facesse una cosa del genere”: è sempre importante non fermarsi mai solo a quello che piace ma avere sempre voglia di sperimentare, fondamentale per crescere umanamente oltreché professionalmente.

Allora stai preparando qualcosa di nuovo?
Sto già lavorando a canzoni nuove e in particolare ad un nuovo progetto che vedrà la luce a settembre. Sarà un brano in cui sarò accompagnato da…(pensa) No, non posso dire ancora nulla! Presto saprete qualcosa di questa nuova collaborazione, anzi di questo featuring: non vedo l’ora anche di annunciarlo sui social! Sicuramente si tratta di qualcosa che esula da Universo, diverso da quello che è stato finora Francesco Guasti. Tutto è nato per caso, insieme a Marco il mio chitarrista: ne è uscita una cosa ganza, come si dice in Toscana! (sorride)

“Cercami adesso”: nell’universo di Francesco Guasti 2
Francesco Guasti, Sanremo 2017

In realtà la tua voglia di sperimentare l’hai già dimostrata quest’anno a Sanremo, scegliendo di presentare un brano come Universo, non solo per il testo ma anche per la sua struttura atipica per il festival.
È un pezzo nato dalla sconfitta dell’anno scorso, a un passo dalla vittoria. Quando, subito dopo, avevo dichiarato di volermi riscrivere a Sanremo in tanti mi dissero che ero un folle. E io scrissi: “Siamo fatti per essere folli ma anche per restare folli”: e la mia folle testardaggine poi mi ha premiato. Universo è stata la canzone perfetta per me e per quel palco: mentre la scrivevo però ho pensato più che altro di dare il giusto spazio alle parole, per questo poi ne ha risentito la struttura, non proprio classica. Onestamente è stata proprio quella che lì per lì non mi ha fatto dormire sonni tranquilli…Non ero convinto di quel ritornello che arriva tardi e di quel crescendo molto particolare: non ero convinto che un pezzo del genere avesse un impatto immediato in Italia. Invece poi è stata premiata dal pubblico, toccando evidentemente anche le persone che mi hanno visto da casa.

Restando alle emozioni parliamo di Cercami adesso, ultimo brano estratto da Universo e ispirato alla legge di Dirac, come hai dichiarato. Come è nata l’ispirazione di questa ballad?
Tutti in estate propongo pezzi “up”: io, pur esprimendo quello che avevo da dire riguardo l’estate, sono andato un po’ in controtendenza pubblicando una ballad moderna dal sound internazionale, nata dal desiderio intimo di capire chi siamo. Anche io, come tanti, mi sono ispirato ad un amore estivo, che, come ogni storia, lascia sempre qualcosa, testimoniando la veridicità della teoria di Dirac: quando due persone si incontrano, interagiscono e si crea un forte legame tra di loro, anche se poi costrette ad allontanarsi, verranno sempre influenzate a vicenda. La formula di Dirac è la legge dell’amore universale: quello che ti dà una persona ti rimane dentro, ti fa crescere e maturare contribuendo a formare la tua identità. Cercami adesso è il racconto di un lui ed una lei che dopo una intensa storia si lasciano ma l’Universo li terrà uniti per sempre.

“Cercami adesso”: nell’universo di Francesco Guasti 4
Copertina del singolo “Cercami adesso”, estratto dall’album “Universo” (2017)

Cercami adesso è candidato, insieme ad altri, a diventare uno dei pezzi di questa estate, che magari segnerà la storia di molte coppie?
Me l’auguro! (sorride) Il mainstream propone brani molto diversi dal mio, in particolare molto spagnoleggianti. Però l’Italia, come dice Alessio Bernabei, Non è il Sud America! E io appunto sono rimasto più fedele ad una certa musicalità italiana, che spero possano apprezzare tanti altri.

Una canzone dell’estate invece rimasta nella memoria di Francesco Guasti?
Non ricordo se fosse una canzone uscita proprio in estate ma Come mai degli 883, che da ragazzino ascoltavo in una cassetta nel walkman, è una di quelle canzoni che mi rievoca i periodi estivi davanti al mare di Castiglioncello, in compagnia di una ragazza…Anche questa una canzone che mi fa ricordare l’estate ma in una luce malinconica. D’altra parte l’estate è anche questo: un periodo che aspettiamo tanto per le vacanze e la spensieratezza, verso il quale abbiamo grandi aspettative ma che poi dura poco. E nei mesi successivi, quasi paradossalmente, ti lascia una dolceamara malinconia nel cuore.

Francesco Guasti e il suo Universo Tour

Partito da Firenze lo scorso 12 Maggio L’ Universo tour di Francesco Guasti, accompagnato da Marco Carnesecchi (chitarra), Mauro Lallo (basso), Claudio Chiacchio (tastiere) e Richard Cocciarelli (batteria), proseguirà stasera in Piazza Vittorio Emanuele a Nicolosi (CT). Prossime date: il 5 agosto a Piraino (ME), il 6 agosto a Sesto Campano (IS); il 9 agosto ospite al premio “Meraviglioso Modugno” di Polignano a Mare (BA) e il 20 Agosto Piazza Gavignano (RM).

Opera lirica, questa sconosciuta? Musica361 vi presenta la semplice guida dello scrittore e saggista Giovanni Chiara per scoprire un genere musicale appassionante anche se ancora poco frequentato.

Intervista a Giovanni Chiara, autore di Morir cantando (o cantando giorire)
Morir cantando (o cantando gioire), Edizioni Quattro, 2017

Estate è tempo di musica e festival in tutta Italia, non solo pop ma anche lirici, dall’Arena di Verona a Torre del Lago Puccini. Per tutti coloro che ignorano il genere o che non si sono mai avvicinati credendolo troppo elevato, ecco una facile e divertente guida dello scrittore milanese Giovanni Chiara, autore di romanzi tradotti in diverse lingue (Premio Bagutta Opera Prima, 2000) e autore teatrale (Premio Fersen, 2003), già collaboratore per diversi periodici e pubblicazioni di saggistica.

Interessato alla divulgazione musicale relativa al campo dell’opera lirica – dal 2011 ha una rubrica fissa sul mensile Artecultura – ha da poco pubblicato per le edizioni Quattro Morir cantando (o cantando giorire), nel quale racconta con freschezza e disinvoltura tutto quello che riguarda questo genere: opere, melodrammi, voci, performance, scenografie, rielaborazioni, libretti e molto altro.

Come nasce l’interesse per la lirica?
È un interesse che ho sempre avuto fin da bambino, ho sempre ascoltato musica lirica. Nell’immediato dopoguerra il sabato pomeriggio veniva sempre trasmessa alla radio un’opera lirica. Il mio interesse allora dipendeva anche dal fatto che l’alternativa, sull’altra frequenza, fosse Sorella radio, la radio per gli infermi, programma dai toni populisto-sepolcrali strappalacrime presentato da Beniamino Gigli…Così mi sono trovato la lirica nelle orecchie e poi piano piano l’ho approfondita. A 13 anni ho visto alla Scala la mia prima opera lirica, Il Poliuto (1959) con una certa Maria Callas: più che della Callas però, che vedevo a malapena perché avevo un posto in fondo alla platea, ricordo la forte emozione di essere alla Scala, cosa che a quell’età per me già significava qualcosa.

E presumibilmente da allora questo interesse viene coltivato di anno in anno fino a sfociare nella stesura di Morir Cantando. Tante sono le pubblicazioni sulla lirica: qual è la caratteristica di questo testo?
Nel panorama delle pubblicazioni esistenti la mia vuole essere una guida con più chiavi di lettura, pensata cioè per categorie di persone diversamente interessate alla lirica, dal critico feroce a colui che sia completamente digiuno. La caratteristica è duplice: anzitutto lo stile è scorrevole e accattivante, perché è fondamentale farsi leggere con chiarezza e disinvoltura da tutti. E poi c’è veramente tutto: contestualizzo ogni opera riportando ogni dettaglio, dal nome del paroliere alla data e il luogo della prima messinscena, scoprendo pure altarini solitamente nascosti. Nelle pagine ripercorro esaustivamente le tappe salienti della storia operistica moderna, rievocandone personaggi, libretti, partiture, esecuzioni, performance, battaglie con la censura, eventi traumatici – come la minaccia della ghigliottina per Cimarosa o l’aggressione fascista di Toscanini a Bologna – fino a curiosità e più frivoli aneddoti relativi a illustri frequentatori quali Foscolo e Stendhal, sempre debitamente lontano da pomposità accademiche o infiniti elenchi da biografie musicali. Mi sono rifatto comunque a testi di non facile reperibilità, articoli, ma anche a memoria: da bambino ascoltavo alla radio La classe unica, trasmissione nella quale si parlava, tra i vari temi culturali, anche del mondo della lirica.

“MoriIntervista a Giovanni Chiara, autore di Morir cantando (o cantando giorire)
Giovanni Chiara, scrittore di romanzi tradotti in diverse lingue e autore teatrale.

Qualche consiglio pratico a chi sia interessato ad addentrarsi in questo mondo?
Il primo invito al neofita è l’ascolto dell’opera lirica nelle sedi propizie. Anche la lirica è “vittima” del mercato discografico – mi riferisco ai supporti (CD, DVD) finalizzati alla fruizione casalinga: ciò che spesso neppure i melomani più accaniti riescono a capire è che quelle voci che si sentono attraverso mixaggi microfonici non corrispondono mai alle vere voci che, sarà banale dirlo, si possono ascoltare solo in teatro. E ascoltarle in teatro può rivelare grandissime sorprese: io stesso ho assistito a spettacoli che venivano registrati e riascoltando l’incisione ho scoperto sopranini, che dal vivo a malapena si sentivano, diventare ascoltabilissimi o al contrario cantanti con una bella “canna”, come si suol dire, sminuiti a livello di altri. Insomma tenere presente che il microfono e la sala di incisione hanno il loro ruolo, proprio come per i cantanti pop.

“Morir cantando”: la facile e curiosa guida di Giovanni Chiara all’opera lirica
Maria Callas (New York, 2 dicembre 1923 – Parigi, 16 settembre 1977)

Quindi anche nel caso di mostri sacri come la Callas il mito viene “rimasterizzato”?
Senza dubbio. La Callas è stata una grande cantante ma non viene certo valorizzata dalle riproduzioni che abbiamo. Il mito che dura ancora oggi è nato proprio da coloro che l’hanno vista dal vivo in teatro. La voce della Callas aveva una qualità piuttosto acidula e non proprio empatica: bastava però che alzasse un braccio, cosa che all’epoca non si usava fare, e immediatamente diventava teatro. Per questo viene ricordata di più rispetto alla sua rivale Renata Tebaldi, che aveva una voce decisamente più bella ma, secondo la prassi del tempo, era statica in scena. In poche parole la Callas era un’attrice che cantava benissimo.

A cosa è importante porre attenzione per affinare il gusto in campo lirico?
Per quanto le arie rappresentino il momento più piacevole e accattivante, è importante ascoltare ogni opera per intero dato che, come una tragedia o una commedia, essa ha una storia compiuta. L’opera lirica è prima di tutto uno spettacolo teatrale che chiaramente va considerato dalla prima all’ultima battuta. E, possibilmente, sarebbe importante ascoltarne più versioni: per ogni opera esistono non solo diverse interpretazioni ma anche diverse regie.

Quanto è importante la regia in un’opera lirica?
Si consideri che su un CD ogni cantante interpreta senza alcuna regia. In teatro, per fortuna o purtroppo, la regia c’è. La regia dell’opera lirica, che fino a qualche decennio fa non aveva peso, è un elemento piuttosto moderno. Toscanini ad esempio era solito dare solo qualche indicazione tipo “lei soprano stia ferma lì, lei tenore le vada incontro e già che si trova canti”: questa era la regia! Col tempo invece se ne è capita l’importanza: se un’opera come La Bohème, che viene continuamente riproposta come tutte le opere di repertorio, fosse sempre presentata in una sola determinata versione si fossilizzerebbe e il pubblico si stancherebbe. Senza la regia l’opera morirebbe. Il problema però è che i registi devono anche giustificare se stessi: per questo spesso si vedono versioni per lo meno discutibili, come certe Carmen o Dongiovanni che gridano vendetta…Ci sono registi anche molto famosi che rovinano le opere – e non a costo zero dato che l’opera lirica costa! – così come certe regie invece hanno il merito di valorizzare e rinnovare il prodotto originale: un’arma a doppio taglio.

Intervista a Giovanni Chiara, autore di Morir cantando (o cantando giorire)
Teatro alla Scala, Milano

Sopra si è parlato dell’emozione della prima volta alla Scala di Milano. Quanto conta il luogo o location come l’Arena di Verona o Torre del lago Puccini per fruire dell’opera lirica?
Il maestro Claudio Abbado, nel periodo sessantottino, voleva portare l’opera nelle fabbriche con tanto di cantanti e orchestra della Scala. Operazione sbagliatissima dal mio punto di vista: semmai si devono portare gli operai alla Scala! Un conto è ascoltare un’opera lirica in catena di montaggio, un conto alla Scala! La Scala è la Scala come l’Arena di Verona è l’Arena di Verona: anche l’ambito fa parte dello spettacolo, non lo si può decontestualizzare. Persino durante l’intervallo è importante trovarsi in ambienti esclusivi, nel prezzo del biglietto è compreso anche questo. Bisognerebbe fare qualche piccolo sacrificio economico in più per andare a teatro più spesso.

Dove risiede la forza dell’opera lirica, più nelle storie o nelle musiche?
Le storie, strampalate e scandite da tempistiche assurde, sono di una banalità spaventosa. Ricalcano, per modalità, la sceneggiata napoletana: l’amore non sboccia ma esplode, l’odio porta forzatamente alla morte all’ultimo sangue, non ci sono vie di mezzo. Questa semplicità esasperata deriva dalla volontà di dare precedenza alla musica. Detto questo bisogna considerare i gusti e i singoli casi: La Bohème ad esempio conquista per la storia, di Turandot rapisce la musica bellissima.

Un limite però, a detta di molti spettatori inesperti, può essere la non immediata comprensione delle parole cantate.
In realtà c’è una questione storica a riguardo che vi invito a cercare nel libro (sorride soddisfatto). Diamo sempre comunque per scontato che generalmente si possano capire poco le parole nell’opera, altrimenti non sarebbe possibile il canto lirico. Senza contare che molte opere sono in lingue straniere: la parte emozionale è basata quasi completamente sulla musica.

“Morir cantando”: la facile e curiosa guida di Giovanni Chiara all’opera lirica 4
Don Giovanni – Particolare di locandina

L’immedesimazione è sempre una caratteristica importante per ogni spettatore. In quale personaggio adora o ha adorato immedesimarsi tra le vicende delle diverse opere liriche ascoltate?
Senza dubbio Don Giovanni, personaggio estremamente affascinante quanto umano: in lui c’è vigliaccheria ma anche una grandezza data da una sana mancanza di iposcrisia. La sua essenza di malandrinaggine e viltà che lo ha contraddistinto in vita si risolve in punto di morte proprio quando rifiuta l’ipocrisia del pentimento per rimanere fedele alla sua natura. E poi chiaramente lo scelgo per il successo con le donne: “Viva le femmine, viva il buon vino trionfo e gloria d’umanità!”

Qual è l’accoglienza e il ruolo artistico-culturale della lirica oggi?
Esistono iniziative molto meritorie che tentano di divulgarla ed estenderla a strati più ampi della popolazione, come quei pacchetti per turisti, non necessariamente melomani, che comprendono una serata all’Arena di Verona o l’operazione di Rai5 che tutte le domeniche mattine trasmette un’opera lirica, poi replicata ogni martedì pomeriggio.

Come viene percepita oggi la lirica rispetto, ad esempio, al dopoguerra?
L’opera lirica, attività artistica cortigiana nata nei salotti della nobiltà e dei signori, non è mai stata popolare e continua a non esserlo. Detto questo, in determinati periodi storici figure di operisti di forte impatto quali Donizetti, Verdi o Rossini, hanno contribuito a dare un certo appeal alla lirica nei confronti del popolino il quale, dato che non poteva assistere alle rappresentazioni a teatro, ha comunque assorbito questi elementi di rimbalzo. In questo senso la forza dell’opera lirica è risieduta nella capacità di rendere popolari determinate arie operistiche, tanto più in tempi in cui non esisteva la musica leggera. E così anche presso le classi meno abbienti e culturalmente modeste, per non dire di analfabeti, si sono diffuse quelle trame da sceneggiata napoletana o motivi come La donna è mobile! Ma al di là di questi casi la lirica è nata come leggerezza per i nobili e così è rimasta: uno spettacolo d’élite ancora oggi.

Lo scorso 6 luglio, ospite della rassegna cultural musicale “I magnifici 7” tenuta da Enzo Gentile presso il foyer del Teatro degli Arcimboldi a Milano, il giovane Emanuele Fasano ha presentato per la prima volta dal vivo i brani del suo primo disco, oggi nella Top 10 di Itunes. Musica361 ha intervistato il “pianista delle stazioni”.

Emanuele Fasano , La mia ragazza è il piano
Emanuele Fasano – Foto Jarno Iotti

La sua storia, cominciata poco prima di Natale 2015, è nota: Emanuele (23 anni) perde il treno che deve portarlo da Milano, dove vive con la madre, a Roma dove lo attende il padre. Nell’attesa della successiva corsa scopre in stazione un pianoforte, si siede e comincia a suonare: intorno a lui un capannello di persone che si ferma ad ascoltarlo, tra cui un viaggiatore che, entusiasta, lo riprende con il cellulare. È Alberto Simone, regista con base fra Roma e Los Angeles, a Milano per una coincidenza. Il brano ripreso è Non so Come Mai, una delle composizioni di Emanuele. Il giorno successivo Alberto posta il video sul proprio profilo Facebook e quello che diventerà “il pianista della stazione” in pochi giorni ottiene 4 milioni di visualizzazioni, 74.000 condivisioni, 90.000 like e oltre 6000 commenti.  Anche Caterina Caselli lo vede e incuriosita lo contatta per ascoltare altre composizioni di Emanuele: gli propone una collaborazione con la sua etichetta discografica, Sugar.

Lo scorso 7 aprile è uscito sulle principali piattaforme digitali in download, streaming e CD La mia ragazza è il piano. Abbiamo parlato con Emanuele in occasione della presentazione dal vivo dei suoi brani.

Il brano da cui tutto ha avuto origine, quello della stazione, è Non so come mai. Quando l’hai composto?
La stesura iniziale risale al febbraio 2014 in seguito a un “no” ricevuto da una ragazza cosa che, prima di allora, senza modestia, non mi era mai capitata (sorride). L’ho composto poco per volta, nel corso di diverse settimane, aggiungendo nuove parti fino alla versione definitiva. Anche se nel video on-line si può sentire solo la parte finale, quando l’ho suonata in stazione era già finita.

A proposito di on-line: la storia di Emanuele senza internet come sarebbe stata secondo te?
(Pensa) Non lo so…perché internet invece c’è stato. Ed è stato determinante. Probabilmente avrei continuato a suonare negli hotel e nei locali o in qualche altra serata con mio padre Gianfranco. Non so però fino a che punto sarebbe stato efficace. Non basta solo piacere al pubblico, quello che conta sempre è incontrare la persona giusta nel posto e nel momento giusto. E in questo caso la persona giusta, quella che ha fatto il video, l’ho incontrata. E poi internet ha fatto la sua parte per lo meno per mostrare le mie capacità, dato che, per quante persone abbiano visto quel video non è detto che altrettanti sappiano ancora che quel ragazzo è Emanuele Fasano.  Ora, poco per volta, stiamo cercando di farglielo capire! (sorride)

Emanuele Fasano , La mia ragazza è il piano
Emanuele Fasano – Foto Jarno Iotti

Prima della pubblicazione del disco l’esperienza a Sanremo. So che hai pianto. Cosa hai provato invece prima di salire?
Fino a 5 minuti prima di salire ero tranquillissimo, poi di colpo mi è cominciata a salire l’ansia! Fortunatamente c’era con me lo chef Carlo Cracco e mi sono distratto parlando un po’ con lui. E poi via: quando metti piede sul palco di Sanremo è come trovarsi a tirare il rigore decisivo, devi segnare, non puoi sbagliare.

La metafora calcistica per Sanremo non credo venga a caso. So che hai anche un’altra passione oltre alla musica, vero?
I miei sogni erano il calcio e la musica ma alla fine se ne è avverato solo uno. Il calcio è sempre stata una mia passione ma, sebbene abbia avuto possibilità – avrei potuto avere interessanti raccomandazioni per una squadra di serie A – non ho mai avuto lo stimolo totale a seguire quella strada. La musica invece, fin da quando seguivo mio padre Gianfranco nei suoi concerti, mi è sempre rimasta dentro. È poi è venuta fuori (sorride).

Sanremo è stato un palco decisivo anche per tuo padre, Gianfranco Fasano. Quanto pesa la responsabilità di un cognome come il tuo?
Vivo questa responsabilità con orgoglio. Anzi, se un domani riuscissi ad avere grande successo vorrei sfruttarlo anche per far riscoprire il talento di mio padre, per lo meno per quello che ancora non gli è stato pienamente riconosciuto come autore, interprete e cantante. Mi piacerebbe che anche un ragazzo di 20 anni come me potesse conoscere Gianfranco Fasano, non solo perché è mio padre ma perché ha scritto dei pezzi bellissimi. Ho la fortuna che uno dei miei cantautori preferiti sia mio padre e vorrei che potesse ancora diventare il cantautore preferito di tantissime altre persone.

Emanuele Fasano , La mia ragazza è il piano
Emanuele e Gianfranco Fasano

Mai pensato dunque ad un nome d’arte?
Ci sto pensando in questo periodo perché sto realizzando, in un progetto parallelo, musica commerciale. Sto collaborando con un musicista molto bravo, Giordano Franchetti: se qualcuno di questi pezzi avrà successo ci inventeremo un nome d’arte.

Il primo risultato di questo percorso comunque l’hai raccolto lo scorso aprile con la pubblicazione del tuo primo disco, La mia ragazza è il piano. Perché questo titolo?

La scorsa estate ero al telefono con Caterina Caselli, la mia produttrice, e chiacchierando le dissi che avevo appena chiuso una storia con una ragazza. Lei mi consolò affettuosamente dicendomi qualcosa come “non importa” e io le risposi “Ma sì, in fondo la mia ragazza è il piano!” A lei piacque tantissimo e propose di utilizzarlo come titolo. Così qualche tempo dopo, al momento della scelta, ci tornò in mente questa idea.

In quanto tempo hai composto il disco?
Qualche brano è nato anche 4 o 5 anni fa, altri nella stessa settimana in cui sono andato a registrarli.

Emanuele Fasano e la sua ragazza, il piano
La mia ragazza è il piano (2017)

Hai definito la tua musica “pop per pianoforte”. Che significa?
Le mie composizioni per piano, fatte di rapidi passaggi dalla quiete intimista all’esplosione gioiosa, hanno una linea melodica nella quale si potrebbero sostituire delle parole per essere cantate: non sono pezzi classici assoluti, ci sono accordi molto semplici, pop appunto, come quelli che si possono trovare nelle canzoni di Katy Perry, Justin Bieber o Ariana Grande. A partire da una tecnica che viene dalla musica classica ma pensando in chiave pop, ho incrociato questi due elementi nel mio stile: ecco il “Pop per pianoforte”. Ogni pezzo ha la sua storia comunque.

So che uno dei brani del disco che hai più a cuore è Amsterdam’s sky.
Sì, per due motivi. Intanto perché sono onorato che questo brano sia stato scelto come colonna sonora per lo spot della nuova campagna di Medici Senza Frontiere, on air dal 3 luglio. Le mie fonti di ispirazione sono il sogno e l’amore, l’attesa e la speranza: credo che siano sentimenti universali che si sposano perfettamente a questa causa. E poi perché si riferisce all’episodio più toccante che ho vissuto nella mia breve carriera, prima ancora dell’esperienza alla stazione centrale di Milano: nel novembre 2014 ero in vacanza con amici alla stazione di Amsterdam e loro mi hanno incoraggiato a suonare uno dei pianoforti che si trovavano lì. In quel momento, per la prima volt, si sono fermate diverse persone ad ascoltarmi, un signore mi ha persino abbracciato e regalato una bottiglia di vino. Quello è stato il primo episodio che mi ha fatto capire, quanto sia importante far conoscere la mia musica anche al di là del confine, pur credendo anche nell’Italia.

Emanuele Fasano e la sua ragazza, il piano 6

Caratteristica dei tuoi brani, pur pop, è l’essere privi di testo. É una scelta precisa? Qual è tuo rapporto con le canzoni come autore?
Da quando ho cominciato a comporre ho sempre pensato che la mia musica dovesse essere solo una melodia priva di parole. Qualche canzone con il testo l’ho scritta ma al momento non è ciò a cui ambisco. Non ho mai voluto inserire testi italiani o inglesi nelle mie canzoni perché sento che la mia musica così perde di intenzionalità. Se poi la mia carriera andrà bene mi toglierò lo sfizio di scrivere qualche canzone per l’interpretazione di chi sappia darle il giusto feeling (ammicca).

Da chi ti piacerebbe sentir cantare un tuo pezzo?
Andrea Bocelli ma anche Ariana Grande o Katy Perry.

Alcuni titoli dei tuoi brani però sono in inglese, altri in italiano. Come li scegli?
Il titolo può derivare dal desiderio di fotografare un’emozione, come per Amsterdam’s sky: quando ho inaugurato quel pezzo, uscito dalla stazione, ho visto il cielo di Amsterdam. Oppure dalla musica stessa: Non so come mai suonava bene su quelle note. Se sento un’improvvisazione soddisfacente cerco di dare, nel ritornello, un titolo in base a quella musicalità, come se dovessi cantarci sopra. Così scelgo i titoli. È sempre la musica che domina.

Qual è il tuo modo di comporre solitamente, da dove cominci?
Generalmente mi riesce facile mettermi al piano, suonare senza pensare a niente e sentire cosa esce. Se invece mi capita di seguire un’emozione, solitamente lo stato d’animo ideale è la tristezza.

Emanuele Fasano , La mia ragazza è il piano
Emanuele Fasano – Iarno Jotti

Quanto dedichi alla musica quotidianamente?
Forse dirò qualcosa che i pianisti classici non vorrebbero mai sentire ma in effetti dipende da come mi sento. La composizione al piano, a mio parere, va presa poco per volta. Non bisogna suonare troppo altrimenti il piano diventa un nemico anziché un amico. Sempre nella filosofia de La mia ragazza è il piano: se passi infinitamente il tempo con la tua ragazza perdi poi quella voglia di vederla o l’emozione di rincontrarla. Anche quando devo suonare in concerto cerco di non toccare il piano per qualche tempo, così ci ritorno sempre con grande voglia, riuscendo a trasmettere al meglio tutte le emozioni con le giuste note.

Dopo il lavoro in studio come vivi finalmente l’esibizione live?
So bene che la gente viene a vedermi per ascoltare “quei” miei brani ma a me piacerebbe suonare improvvisando tutto il tempo, esprimendo e condividendo tutte le emozioni che ho dentro in quel momento. Ogni concerto dovrebbe essere sempre diverso perché solo improvvisando si riesce veramente a esprimere l’anima di un artista.

Chi riconosci effettivamente come tuo pubblico?
Quando scrivo penso a chiunque. Succede comunque continuamente di sentirmi apprezzato anche da ascoltatori “improbabili” che magari amano rap, hip hop o heavy metal. È trasversale. E sorprendente.

Emanuele Fasano e la sua ragazza, il piano 5
Emanuele Fasano – Jarno Iotti

Cosa ti piace ascoltare lontano dal lavoro?
Non vado ad artista ma a canzone: da Justin Bieber a Ludovico Einaudi o Avril Lavigne. Quando sento una canzone che mi piace me la segno e me la ascolto.

Cosa stai ascoltando in questo periodo?
La mia ragazza mi sta facendo ascoltare ossessivamente I’m the one di Justin Bieber e Dj Kalhed! (sorride)

Data la giovane età e le responsabilità artistiche, come stai vivendo questo momento?
Ho tanta voglia di fare, non sto nella pelle! Ora sto aspettando di cominciare una vera stagione di attività e soprattutto concerti. Per ora non ci sono date ma so che stanno bollendo in pentola un po’ di progetti. Stay tuned!

La mia ragazza è il piano (2017)

  1. Non so come mai
  2. Lost in your eyes
  3. Il silenzio è la risposta
  4. Waves On The World
  5. On the paddleboard
  6. Il buio nell’anima
  7. Amsterdam sky
  8. La mia ragazza è il piano
  9. Disperso
  10. Mare Catalano

Emanuele Fasano Non so come mai a Sanremo 2017.

Torna, dal 7 al 9 luglio, il Premio Bindi, una delle più importanti rassegne di canzone d’autore in Italia, a cui è abbinato l’omonimo concorso per emergenti. Il programma nella presentazione di Musica361.

Da stasera presso l’Anfiteatro Bindi di Santa Margherita Ligure prenderà avvio l’edizione 2017 del Premio Bindi sotto la direzione artistica di Zibba. Previsti nuovi riconoscimenti, oltre a grandi nomi e giovani ospiti.

Premio Bindi 2017, tredicesima edizione

Il festival verrà inaugurato tra qualche ora con la serata d’apertura dal titolo La vetrina del disco: previsto lo showcase di Marlò e Mesa, vincitrici del concorso “Duel – cantautori a confronto” e la presentazione live dei progetti discografici di alcuni giovani artisti prodotti da Zibba: Diego Esposito con il disco …è più comodo se dormi da me…, Giulia Pratelli con Tutto bene e 85BPM, esordio dei giovanissimi Seawards.

Sabato 8 luglio a partire dalle 18.00 la serata, presentata dall’attore Enzo Paci, sarà dedicata al contest: sull’Acoustic stage si esibiranno gli otto artisti selezionati – Buva, Roberta Giallo, Antonio Langone, Lorenzo Marsiglia, Mizio, Molla, Andrea Tarquini e Luca Tudisca – davanti alla giuria composta da addetti ai lavori tra i più accreditati del settore, tra cui il giornalista e storico della canzone Enrico De Angelis, il critico musicale Guido Festinese, il direttore di Spettakolo.it Massimo Poggini, Roberto Razzini, Managing Director di Warner Chappell, Maurizio “Rusty” Rugginenti della Rusty Records e Paolo Talanca de Il Fatto Quotidiano. A seguire la finale all’Anfiteatro Bindi con la seconda esibizione dei concorrenti e la proclamazione del vincitore dell’edizione 2017, al quale verrà consegnata la Borsa di Studio Siae (un premio in denaro di € 1.000).

Premio Bindi 2017, date e programma
Premio Bindi 2017, Santa Margherita Ligure.

Novità di quest’anno la Targa Giorgio Calabrese per il miglior autore, consistente in un contratto con la Warner Chappell Music italiana e la Targa Migliore Canzone che prevede un premio messo a disposizione dall’ufficio stampa musicale L’Altoparlante che si occuperà della distribuzione e della promozione della canzone più radiofonica. Ospite in scaletta il rapper Izi che riceverà il Premio Bindi New Generation mentre Adele Di Palma, storica manager della musica italiana, consegnerà la Targa Beppe Quirici, riconoscimento dedicato al produttore e musicista Beppe Quirici per il miglior arrangiamento.

Domenica 9 luglio nel pomeriggio infine la giornalista Rai Roberta Balzotti presenterà il volume La canzone dell’immortale di Paolo Pasi e il libro Ivan Graziani, il primo cantautore rock di Paolo Talanca, con un omaggio musicale del cantautore Stefano Marelli a Graziani nel ventennale dalla sua scomparsa. L’omaggio all’artista marchigiano proseguirà con l’assegnazione del Premio Bindi Special Project presentato da Enrico Deregibus per chiudere l’edizione con il ricordo musicale del figlio di Ivan, Filippo Graziani, insieme a Mario Venuti e Vittorio De Scalzi che riceverà anche il Premio Bindi alla Carriera per i suoi cinquant’anni di attività mentre al discografico/consulente musicale Stefano Senardi verrà assegnato il Premio Artigianato della Canzone.

Il Premio Bindi quest’anno verrà sostenuto dal contributo della SIAE – Società Italiana degli Autori ed Editori, della Regione Liguria e naturalmente del Comune di Santa Margherita Ligure. Paolo Donadoni, sindaco di Santa Margherita Ligure, ha così commentato: «Ci sono tanti concorsi musicali in Italia e all’estero che valorizzano i cantautori, altri che mettono in risalto le tecniche di esecuzione o che consentono di votare una canzone.  E poi c’è il Premio Bindi di Santa Margherita Ligure, unico nel suo genere, per la sua formula di giudizio e per il luogo in cui si svolge. Ringrazio Enrica Corsi e Le Muse Novae che insieme al Comune riescono ogni anno a far crescere e a proporre un evento di qualità sia per la manifestazione in sé sia per quello che rappresenta per la musica».

www.premiobindi.com

A poche settimane dal concerto di San Siro, Musica361 a tu per tu con il cantautore laghée.

Un paio di settimane prima dell’evento del 9 giugno a San Siro lo si poteva vedere suonare sul lungolago a Desenzano del Garda. E probabilmente in questo momento sarà in un’altra località lacustre chissà. Già il lago, il luogo dove tutto è nato…

Davide Van De Sfroos, intervista in attesa del concerto di San Siro
Davide Van De Sfroos in concerto.

Davide Van De Sfroos, cantautore laghée ma dall’anima punk, dati i suoi inizi, dico bene?
Sì, ero un punk in un paese di mille anime (sorride). Una venatura di punk, soprattutto all’inizio, c’è stata per lo meno nello spirito. Uno spirito che mi ha insegnato a riconoscere a mia volta i punk di casa nostra, cioè outsider, contrabbandieri e personaggi marginali che poi sono tornati nelle mie canzoni. Ho creato un legame sotterraneo tra punk e folk, che per lungo tempo ha fatto storcere il naso ai puristi. Col tempo sono stato contento di non essermi legato a qualcosa di etichettato: nel mio mondo non c’era solo punk e folk ma anche blues, reggae, ballate libere, Tom Waits, venature notturne, innesti con altre etnie, lingue, dialetti, sciamani e personaggi di altri popoli, fino ad arrivare, un anno fa, all’orchestra sinfonica con 50 elementi diretti dal maestro Vito Lo Re. Tutto questo sperimentare è frutto di quella sana inquietudine nata dalla “paura dello stagnante”. Quando si costruisce una poetica fortemente legata ad un territorio le categorie dopo un po’ diventano quasi troppo strette.

E come si definirebbe Van De Sfroos?
Un viaggiatore polveroso e irrequieto: il mio è un viaggio continuo attraverso le epoche, le terre, le storie. In America mi definirebbero storyteller. Qualcun altro mi ha definito cantautore – ed in effetti i cantautori hanno fatto parte del mio retaggio – qualcun altro folksinger, altra dimensione ben precisa che mi è sempre rimasta. Molti miei strumenti e arrangiamenti, oltre al fatto di essere legato ad un territorio, richiamano il folk: i testi, lo stile con cui mi esprimo, i contenuti e il sound di base sono estremamente folk. Deriva dal fatto di essere legato ai luoghi che ho conosciuto viaggiando.

Pensando soprattutto a questa dimensione che contraddistingue la tua musica, perché tra tante location proprio San Siro?
A dire la verità quando sognavo in grande dicevo: «Un domani suonerò all’arena di Verona…». Poi, circa un anno fa, si è parlato di San Siro: non è stata una scelta mia ma una proposta del mio staff. La prima sensazione è stata come dire «prendo l’astronave e vado su Marte». D’altra parte però, dopo aver fatto due Forum, Sanremo, La festa della taranta e altro, alla fine ci si convince che è una tappa anche naturale.

Davide Van De Sfroos, intervista in attesa del concerto di San Siro
Davide Van De Sfroos.

Cos’era San Siro per Van De Sfroos, prima del concerto?
È sempre stato un luogo molto taboo: non sono mai andato a San Siro a veder un concerto, al massimo due partite. E come calciatore sicuramente non avrei mai potuto calcarlo, in quanto negato, ma anche da musicista, fino a qualche tempo fa, mi sono sempre sentito fuori luogo.

E cosa ha rappresentato, dopo il 9 giugno, questo concerto?
Nonostante una promozione sfiancante di sei mesi francamente non ho pensato neanche per un momento che andando a San Siro avrei potuto fare i numeri di chi solitamente lo frequenta perché non sono mainstream, però, in quella serata, ho avuto una chiara testimonianza da parte di tutti coloro che in questi anni hanno dimostrato di esserci. Penso di essere stato uno dei primi, se non il primo, a metter piede in questa cattedrale con canzoni dialettali alle quali evidentemente ho conferito una dignità per migliaia di persone che nel tempo le hanno sentite proprie. Ancora oggi comunque, se andassi a suonare in una piazza italiana tra Milano a Benevento, qualcuno mi riconoscerebbe ma qualcun altro ancora non saprebbe chi sono – posso dire di essere stato, in un certo senso, il primo sconosciuto che è andato a san Siro – ma il concerto in sé ha rappresentato una spallata ad una porta chiusa: dallo scorso 9 giugno si è intravista la possibilità di portare in questo luogo anche questa poetica.

Il primo pensiero o la prima emozione quando sei salito sul palco e hai visto il pubblico?
Ho sentito un boato: abituato ai numeri del Forum, 20.000 persone hanno rappresentato per me un risultato al di là di ogni aspettativa emotiva e numerica. Alla prima canzone ero più che altro preso a sentire che tutto funzionasse dalla parte delle spie e dell’audio, prendendo le coordinate del palco. Poi una volta in mano il timone sono partito: tre ore volate e sorrette dall’entusiasmo del pubblico, un’esperienza totale insieme ai tre gruppi di giovanissimi che hanno aperto il concerto. Mi ha commosso molto la galassia luminosa di cellulari durante il set acustico di Ventanas, 40 pass e La figlia del Tenente. È stata insomma la dimostrazione tangibile dell’esistenza di un popolo che ha fatto proprie queste canzoni. Magari non numeroso come quello che ascolta i Depeche Mode…ma loro sono internazionali. Io soltanto un viaggiatore.

Davide Van De Sfroos, intervista in attesa del concerto di San Siro

Come hai pensato la scaletta in un luogo del genere?
Avevo in mente “le immancabili” ma mi sono anche fatto consigliare. Eravamo comunque tutti d’accordo sul fatto che in una location del genere ci volesse un bel ritmo per questo abbiamo suddiviso la scaletta in quattro sezioni in modo che non risultasse mai stagnante: dalle canzoni ritmate, grintose e campestri in stile blue grass dei giovanissimi Shiver che mi hanno accompagnato nella mia ultima tourneè, poi i Luuf, con cornamuse chitarre, violini e fisarmoniche fino al finale rock-blues, la parte “più umida”, usando la metafora dell’acqua del lago, con la Gnola Blues Band. Abbiamo inserito tutte le canzoni possibili, scelte in ordine di importanza storica ma anche di presa su un pubblico così vasto, da Lo sciamano a De sfroos. Hanno funzionato tutte anche se ne abbiamo dovute togliere almeno 7 per motivi di tempo: nel bis ho avuto a disposizione una sola canzone e ho scelto Balera.

Restando alla scaletta, se avessi potuto scegliere di suonare una canzone non tua cosa ti sarebbe piaciuto cantare a San Siro, avendo a disposizione lo stadio?
Sicuramente Redemption song di Bob Marley. Prima di tutto perché è una canzone che mi appartiene, dato che è un artista molto legato alla mia storia di ascoltatore. E poi come omaggio a colui che per primo ha aperto una vera era musicale a San Siro.

Hai un rito scaramantico prima di un concerto?
Quando mancano pochi giorni dalla data di un concerto il mio rituale è dormir fuori da quel luogo. Come per i concerti al Forum anche per San Siro, un paio di giorni prima dell’esibizione, ho pernottato in un hotel poco fuori dallo stadio. La sera lo guardavo fuori dalle finestre del bagno e pensavo “Ormai sono qui”. Ho dormito abbastanza bene la notte precedente, e la mattina sono entrato presto, girando un po’ per lo stadio. Ho trascorso delle ore serene insieme agli altri musicisti: abbiamo girato dei filmati di backstage mentre parliamo come fossimo lì semplicemente ad aspettare che cominci una partita.

Uscirà un dvd della serata?
Qualcosa è stato ripreso ma non so ancora dire quanto tecnicamente sia realizzabile. Sicuramente si valuterà.

Davide Van De Sfroos, intervista in attesa del concerto di San Siro

San Siro è stato memorabile per molti. Un concerto invece memorabile per Van De Sfroos come spettatore?
Peter Gabriel all’Arena di Verona, inizi del ’90, il tour di So. Un concerto per me memorabile con la formazione storica di Gabriel, grandi musicisti che improvvisavano e Youssou N’Dour, ancora quasi sconosciuto, che apriva il concerto.

Davide Van De Sfroos, intervista

A proposito di musica etnica, il tuo repertorio è prevalentemente caratterizzato dal dialetto laghée. Ora il dialetto, che sembrava un limite per l’affermazione nazionale di un artista, per te è stato un vantaggio, ne sei un lampante esempio. Ad oggi, dopo anni di carriera, tu come spieghi questo successo?
Ho cantato storie in questo stile perché è stato naturale così, senza studi a tavolino. É qualcosa che ha a che fare con le radici prima di tutto. La forza dei queste canzoni, che arriva a toccare profondamente le persone, deriva dal fatto di sentirsi protagonisti delle emozioni che canto.  È un linguaggio preciso. Da un lato c’è una lingua tronca ed immediata come l’inglese, bellissima da cantare, dall’altra storie ben raccontate con questo suono magico. Gli ascoltatori che le capiscono ne sono colpiti in un certo modo, quelli più lontani le sentono come qualcosa di esotico, un po’ come quando io ascolto il siciliano, il sardo o i musicisti occitani. Per quanto mi riguarda ho sempre saputo che questa scelta non mi avrebbe permesso di imboccare certe strade o arrivare in determinate radio. Ho vissuto in un periodo in cui certa musica sembrava destinata a qualcosa di “passato” poi qualche settimana fa 20.000 persone mi hanno confermato che non è così.

Chi è il pubblico di Van De Sfroos?
La mia musica interessa il musicista punk o metal, il jazzista, lo studente come l’ubriaco o il tifoso di calcio, il macellaio, il casellante e il campione di moto cross che riconosce in quella musica una sua identità. E poi è transgenerazionale: i bambini sono molto sensibili a questa musica, insieme ai loro genitori miei coetanei ma anche gli anziani. C’erano tante coppie di anziani anche a San Siro.

Prossimi progetti?
D’estate sarò in giro in serate di chitarra e voce in piccole situazioni, con incontri e interviste. Nel frattempo sto lavorando a del materiale che poi verrà pubblicato appena ultimato.

Il 28 e 29 giugno i Watt, vincitori del premio Rock Targato Italia e gruppo spalla di Davide Van De Sfroos a San Siro, si esibiranno sul palco dello Spazio Teatro No’hma in Pop Reloaded, una rilettura di 70 anni di musica. Tutti i dettagli nell’articolo di Musica361.

Watt allo Spazio Teatro No’hma
I Watt

L’anno scorso, ancora poco noti, avevano portato in scena proprio allo Spazio Teatro No’hma di Milano Breve e incompleta storia del rock, spettacolo che evidentemente ha portato molta fortuna a questa band milanese giovanissima – i componenti non hanno raggiunto la maggiore età e la cantante frequenta la seconda media.

Dopo l’estate 2016, ricca di concerti, i Watt non solo hanno vinto il premio del pubblico nel concorso Rock Targato Italia e inciso due singoli ma hanno avuto anche la straordinaria opportunità, lo scorso 9 giugno, di aprire il concerto di Davide Van de Sfroos allo stadio di San Siro.

E il prossimo mercoledì 28 e giovedì 29 giugno tornano al No’hma con la voglia di incontrare ancora quella platea che per prima ha trasmesso loro tanto calore ed entusiasmo, raccontando storie che parlano di vita, amori e sogni in uno spettacolo costituito da canzoni immortali: la band porterà in scena Pop Reloaded, travolgente cavalcata dei più amati successi italiani e internazionali di complessi e cantautori che hanno maggiormente saputo coniugare, negli ultimi 70 anni, la musica d’autore con il più vasto gradimento di pubblico.

Un repertorio fatto di tre generazioni di “signore della canzone”, da Natalino Otto ai Red Hot Chili Peppers, da Caterina Caselli a Madonna, compreso il tema di Rocky e tanti altri in un concerto-spettacolo diretto da Marco Rampoldi, fatto di contaminazioni e arrangiamenti freschi e divertenti, nei quali si incrociano echi di celebri melodie in un gioco musicale sorprendente e stimolante per ogni fascia di pubblico.

Per una serata musicalmente “elettrizzante”. Ingresso libero e gratuito fino ad esaurimento posti.

Greta Rampoldi Voce
Luca Corbani Basso e voce
Matteo Rampoldi Batteria  
Luca Vitariello Chitarra

28 e 29 giugno, ore 21

Spazio Teatro NO’HMA Teresa Pomodoro – Via Andrea Orcagna, 2 – Milano

L’artista bresciana ha pubblicato lo scorso 9 giugno in digital download il suo nuovo singolo Angolo di cielo, in questi giorni in rotazione radiofonica. Il singolo anticipa il suo terzo album di studio, dopo Acqua Futura (2006) e Non Si Vive in Silenzio (2010). E nell’attesa ci siamo fatti raccontare da Luisa del suo angolo di cielo…

Luisa Corna, Angolo di cielo anticipa il nuovo album
Luisa Corna, Angolo di cielo anticipa il nuovo album.

Modella, conduttrice televisiva, attrice e sì, anche cantante di successo – si piazzò seconda al Festival di Castrocaro 1992 con Dove Vanno a Finire Gli Amori e quarta al Festival di Sanremo 2002 con Ora Che Ho Bisogno Di Te in coppia con Fausto Leali.

A giugno 2017, terminati da poco gli appuntamenti teatrali con il “Manzoni Derby Cabaret” a Milano, Luisa Corna è tornata a far parlare di sé con Angolo di cielo, canzone dedicata al padre scomparso, al quale si rivolge nel tentativo di condividere il suo presente di donna realizzata. E non solo…

Modella, conduttrice, attrice e infine cantante. Dico “infine” non cronologicamente ma nel senso che, ad oggi, la tua assenza dagli schermi corrisponde finalmente ad una affermazione come cantante, dico bene?
Fin da giovane la mia autentica aspirazione era diventare cantante, parallelamente facevo la modella per mantenermi e poter studiare canto a Milano. Francamente la televisione è arrivata tardi, verso i 33 anni, una bella esperienza in programmi che sicuramente sentivo nelle mie corde ma che negli ultimi anni si sono fatti sempre meno, dando più spazio a talent e reality a cui non mi sono mai interessata: non è che mi sia proprio ritirata ma ho deciso di dare più spazio alla carriera musicale. Negli ultimi anni la tv mi aveva assorbito completamente e non riuscivo a concentrarmi su altro, per questo ho avuto la necessità di tornare totalmente alla musica.

Non solo sono cambiati certi format televisivi, forse è anche vero che nei decenni passati si tendeva più a privilegiare artiste poliedriche. La poliedricità, soprattutto per le donne dello spettacolo, è una qualità che rispetto ad un tempo oggi penalizza?
Sono cresciuta con artisti come Mina, che conduceva, cantava e recitava. Proprio in virtù di tali esempi ho deciso di frequentare fin da ragazzina scuole di teatro, canto, dizione, convinta che fosse indispensabile prepararsi un po’ in tutti i settori dello spettacolo. Da quando invece ho cominciato a lavorare in tv mi sono resa conto del contrario, che di volta in volta venivo sempre più scelta per un solo ruolo. Probabilmente oggi c’è la tendenza ad identificare un artista in un ambito anziché privilegiarne la poliedricità, quando c’è veramente.

Luisa Corna, Angolo di cielo anticipa il nuovo album
Luisa Corna, sta per pubblicare il terzo album.

Restiamo allora alla musica. Quali sono stati i modelli di Luisa Corna?
Mina è stata sicuramente un personaggio verso il quale ho sempre guardato con grande ammirazione ma anche Mia Martini col suo meraviglioso stile sofferto. E poi naturalmente gli americani, la musica soul e il blues.

A dieci anni dal primo singolo Dove vanno a finire gli amori (1992) nel 2002 arriva la grande occasione con Ora che ho bisogno di te in coppia col conterraneo Fausto Leali. Come ricordi oggi quel momento?
Fausto mi vide da casa mentre cantavo nel programma Taratatà su Raiuno: mi chiamò proponendomi un brano che voleva presentare a Sanremo spiegandomi che stava cercando una voce un po’ scura come la mia. La mia prima reazione al telefono fu subito “Sono pronta!” E ogni volta mi dice “Non te la sei tirata neanche un attimo!” (Ride) Probabilmente già sentivo che quell’evento meraviglioso avrebbe in qualche modo rappresentato una svolta, come poi effettivamente è stato.

Veniamo ad oggi: quando e come è nato invece Angolo di cielo?
Il mio musicista Marco Colavecchio, spronandomi a registrare nuovo materiale, mi ha fatto sentire questo brano con le strofe in minore e quel mood un po’ malinconico con un inciso raggiante. Inizialmente era una canzone d’amore ma io ho cambiato completamente il testo, dedicandolo a mio padre. È una persona che, ancora dopo tanti anni dalla sua scomparsa, mi manca molto nella quotidianità e ho sentito naturale fargli arrivare questo messaggio di serenità, relativo al periodo che sto vivendo.

Si sarebbe aspettato di vederti realizzata così come sei oggi?
Anche se non ha potuto vivere tanto la mia carriera professionale, dato che se ne è andato nel 2004, credo lo immaginasse. Ha sempre avuto il desiderio di vedermi realizzata, anche nella vita privata, per questo ho avuto il desiderio di comunicargli che da qualche anno è arrivata nella mia vita una persona con la quale finalmente condivido un rapporto solido.

Un suo consiglio che ricordi?
«Nella vita non bisogna lasciare nulla di intentato: dobbiamo sentire quello che ci dice il cuore senza timori, solo così ci realizziamo veramente». Mi ha sempre trasmesso quel grande senso di libertà, diceva sempre: «Fai le cose per bene, perché se sbagli nella vita paghi solo tu». Non mi ha mai messo freni anzi mi ha sempre dato quegli stimoli per dire «Si può fare tutto, bisogna solo capire quello che si vuole fare e avere il coraggio di farlo». Ci somigliavamo molto.

Sei anche autrice del testo insieme a Marco Colavecchio, Michele Pio Ledda, e Gabriele Oggiano. Che dimensione rappresenta per te la scrittura rispetto all’interpretazione?
Alcune volte mi hanno consegnato testi già finiti come L’ultima luna di Renato Zero. In genere però mi piace sempre poter intervenire e mettere mano in tutte le canzoni che mi propongono: ho bisogno di metterci del mio. Non solo per quello che riguarda l’interpretazione: il brano deve trattare per lo meno argomenti e sensazioni che condivido, pur se non si tratta di qualcosa che sto vivendo in quel momento. Non riesco a cantare un testo che sia lontano da quello che sento.

Luisa Corna, Angolo di cielo anticipa il nuovo album

Chi ti piacerebbe che scrivesse un testo per te? Ed eventualmente cantarlo in duetto con chi?
A me piacciono molto i testi intensi di Tiziano Ferro, lo stimo molto, mi piacerebbe cantare una sua canzone. Vorrei invece duettare con un’artista che ho già avuto il piacere di conoscere anni fa in un locale a Parma nel quale ci esibivamo entrambi: Mario Biondi.

Angolo di cielo anticipa il tuo prossimo disco. E tu puoi darci qualche anticipazione?
Ci stiamo ancora lavorando. Credo che intanto uscirà un altro singolo tra fine agosto e settembre. Sono comunque previste altre collaborazioni, l’album sta prendendo una forma interessante. Avrete qualche anticipazione nel tour estivo.

“Gridare nel tuo angolo di cielo che con lui sono felice, felice di una vita che è normale” dice un verso della canzone. È davvero un periodo felice per Luisa Corna o sei sempre alla ricerca della felicità?
Questo concetto di normalità esprime benissimo la felicità che ho conquistato in questa fase della mia vita: negli ultimi anni sono sempre stata presa a lavorare in tv, e in particolare, dopo la malattia di mio padre, ho sentito l’esigenza di stare vicino alla mia famiglia, in maniera normale appunto. Non a caso sono tornata anche a vivere a Palazzolo, in campagna, tra i miei amici: ora riesco a ritagliarmi delle giornate con la mia famiglia e il mio compagno, una libertà della quale è meraviglioso godere. Probabilmente proprio perché, al contrario, da ragazzina avevo la frenesia di conoscere il mondo e ora invece, a 50 anni, riesco ad apprezzare la semplicità della vita concedendo più spazio agli affetti. Da buon sagittario conservo l’istinto di vivere nuove esperienze, ma oggi, pur sempre cittadina del mondo, ho trovato il mio angolo di cielo nella normalità di casa.

Fino a fine luglio il Memo Music Restaurant si trasferisce sulla terrazza del 55 Milano, in via Piero della Francesca, presentando gruppi acustici di livello tutti i giovedì, venerdì e sabato. La direttrice di sala Egle Spaggiari ci ha raccontato degli appuntamenti estivi e delle prossime novità.

Memo Music Restaurant: stagione estiva
Terrazza del 55 Milano dove si trasferisce la stagione estiva del Memo Music Restaurant.

Dallo scorso giovedì 8 giugno il 55 Milano ha inaugurato la sua splendida terrazza in versione live con l’esibizione di Ronnie Jones, dando inizio alla stagione estiva in collaborazione con Memo Music Club, ormai storico locale milanese, legato alla tradizione della cultura gastronomica e musicale.

«Da qualche anno i nostri più affezionati clienti ci chiedevano una sorta di versione estiva del Memo. Il problema è che il Memo può offrire tanto ma purtroppo non ha un giardino o una terrazza. Così, per la prima volta quest’anno, abbiamo deciso di dare vita a questa richiesta mettendoci alla ricerca di un locale munito di giardino o terrazza che potesse ospitarci per qualche sera a settimana, in modo da avere la possibilità di cenare con musica all’aperto», ha spiegato Egle Spaggiari.

Memo Music Restaurant: stagione estiva
Egle Spaggiari.

Prima di scegliere il 55 però la ricerca della location estiva non è stata semplice: «Siamo stati “corteggiati” da diversi locali, non solo a Milano ma in tutta Italia, compresi tanti luoghi turistici, dal Nord al Sud. Sarebbe stato sicuramente più comodo spostarsi in una località turistica, anche solo minimamente famosa, nella quale il lavoro, da giugno a settembre, sarebbe stato assicurato. Ci è interessato però rimanere a Milano perché assolutamente convinti che una partnership con imprenditori della nostra zona o comunque milanesi, avrebbe potuto dare sicuramente valore aggiunto alla città sotto parecchi punti di vista. Poi un paio di mesi fa abbiamo conosciuto al Memo i quattro giovani soci del 55 durante una cena piacevolissima e abbiamo ragionato con loro su questa iniziativa: c’è stata subito empatia e una reciproca visione del lavoro. Siamo comunque consapevoli che si tratta di un progetto molto particolare, un esperimento di cui ancora non sappiamo il risultato ma che sicuramente rappresenterà un arricchimento professionale per tutti».

Sulla terrazza del 55 comunque, arredata col mobilio del Memo a sottolineare l’identità del progetto, dopo l’apertura di Ronnie Jones, si proseguirà ogni giovedì venerdì e sabato sera fino al 29 luglio, «compresa anche una festa il prossimo mercoledì 21 giugno, per il solstizio d’estate, giorno più lungo dell’anno.

La scorsa settimana abbiamo avuto Lelio, giovane cantautore napoletano nonché autore per un brano di Ornella Vanoni e Virginio, vincitore di Sanremo Giovani nel 2006 e dell’edizione di Amici nel 2011, autore affermato per grandi nomi della musica italiana da Laura Pausini a Paola e Chiara, Raf, Lorenzo Fragola e tanti altri». Oltre al pop comunque non mancherà anche il soul e fusion jazz nella migliore tradizione del Memo, «anche se il direttore artistico Antonio Vandoni ed io abbiamo pensato ad una programmazione che possa piacere a tutti, senza generi di nicchia: non sarebbe stato soddisfacente creare solo serate d’atmosfera».

Memo Music Restaurant: stagione estiva

Luca Lobrace, proprietario del 55 insieme ad altri tre soci, spiega comunque che, per quanto riguarda i concerti, questa è la prima estate in cui la terrazza viene usata in questa veste inedita: «Proporremo cene con musica live di sottofondo, la cui selezione artistica sarà seguita dai responsabili del Memo, in collaborazione con noi per quanto riguarda la gestione della cucina. Non si tratterà comunque di veri concerti ma di sottofondi musicali, prevalentemente voce o strumenti acustici: prenotando il ristorante viene inclusa nel prezzo anche la musica dal vivo in una zona riservata vicino ad un palchetto, mentre l’altra area, per chi vorrà semplicemente bere, resterà lounge.

Si cena à la carte e il menù, gestito da tre chef internazionali, spazia dal pesce alla carne. Fra i piatti che vanno per la maggiore King Crab dell’Alaska al vapore (con avocado e citronette al lime), la Tartare di Fassona Piemontese al coltello con senape in grani e pinoli, il Tonno scottato Pinna Gialla su letto di spinaci saltati olio e sale. Sono molto richiesti anche le ostriche bretoni e tutte le cruditè. La cucina chiude all’una».

«Se l’operazione dovesse avere successo, al di sopra delle aspettative, magari aggiungeremo delle date ma non prolungheremo per il mese di agosto, periodo nel quale comunque Milano si svuota», spiega Egle.

Il Memo intanto ha da poco chiuso per riaprire a settembre. E per la nuova stagione autunnale? «Sicuramente torneranno le serate jazz e altre novità, tra cui la seconda edizione di #MemoLive. La prima edizione è andata molto molto bene: un’esperienza positiva ma impegnativa sotto tanti punti di vista. Ogni martedì sera abbiamo avuto ragazzini ovunque ma è stata una sana confusione che ci ha regalato molta energia, muovendo soprattutto la pagina del #MemoLive con migliaia di like e visualizzazioni in pochissime settimane. E ora riprendiamo le forze prima di mettere mano ad una seconda edizione, verso nuove soddisfazioni. E chissà che in terrazza, immersi nella musica e di fronte ad un nuovo piatto non possano nascere nuovi progetti, come oramai sembra di tradizione».

Prossimi appuntamenti

Giovedì 22 – LADY IN SOUL – SAMANTHA IORIO torna con il suo progetto “A Lady In Soul”, un percorso tra le voci internazionali che hanno segnato il suo cammino professionale negli anni da Diana Ross ad Anita Baker e Stevie Wonder, accompagnata da Jazzisti italiani di rilevanza internazionale.

Venerdì 23 – NASBY&CROSH Quattro musicisti milanesi dalle barbe incolte che condividono una viscerale passione per il folk ipnotico e arido della West Coast, con sfumature brit-pop, condito un’intima coralità.

Sabato 24 – JAZZTAG TRIO Ilaria Pulici (voce), Max Ghirardelli (chitarra e contrabbasso) e Marco Fazio (sax soprano e tenore): effervescente mix acustico tra il jazz e il pop in scena nei migliori locali di Milano.

I live inizieranno sempre alle 21.30 per terminare alle 23. Spettacolo e drink 15€. Cena alla carta (su prenotazione).

55 Milano
via Piero della Francesca, 55 – Tel. 0234936616
www.55milano.com

MEMO Restaurant Music Club
tel. 02 54019856
www.memorestaurant.com

Musica361 torna a far visita ad uno dei maestri del prog italiano per farsi raccontare del nuovo disco che, presto, sarà presentato anche dal vivo, con alcune date a settembre a Milano. Nell’attesa eccovi qualche nota…

“Sperimentare o morire”: Komersiael, il nuovo disco di Pino Devita 2
Il maestro Giuseppe “Pino” Devita

Pino Devita, celebre autore della canzone Tema (1966) dei Giganti, virtuoso pianista dei Maad e compositore di brani beat, pop, jazz e sperimentali, ha recentemente pubblicato il suo ultimo lavoro, Komersiael. L’abbiamo incontrato.

Che tappa rappresenta Komersiael a distanza di quattro anni da Danzes (2013)?
Danzes ha rappresentato per me una celebrazione della mia carriera di maestro e musicista, nonché del periodo con i Giganti – tanto che avevo incluso nel disco anche una registrazione del 1969, un brano composto insieme a Di Martino che all’epoca non fu mai pubblicato. Danzes voleva essere una sorta di summa di carriera, Kamersiael invece ne è una prosecuzione ma soprattutto un omaggio al prog rock dei Maad, il gruppo nel quale ho suonato dalla fine degli anni ’60 fino al ’77 circa e di cui hanno fatto parte molti artisti tra cui Moni Ovadia e gli Stormy Six, solo per citare due nomi importanti.

Parliamo di Komersiael.
Come si può intuire dall’immagine in copertina che riporta un centro commerciale stilizzato, Komersiael vuole significare qualcosa come “Centro Commerciale di Melodie”: è un titolo semi-inventato che fa evocativamente riferimento alle melodie “commerciali” che si trovano nel disco. Melodie semplici cioè, nelle realizzazione delle quali ho coinvolto ex componenti dei Maad come Attilio Zanchi, ora contrabbassista di Paolo Fresu e colleghi come Paolo Tomelleri che suona il clarinetto. La struttura è più o meno identica in tutti i brani, con un’introduzione, l’esposizione del tema, un’improvvisazione da parte di vari musicisti e l’esposizione del tema finale.

“Sperimentare o morire”: Komersiael, il nuovo disco di Pino Devita
Komersiael (2017)

Quanto ha impiegato per la realizzazione del disco?
La vera difficoltà è stata contattare tutti i musicisti per le collaborazioni ma l’ho completato in un anno e mezzo circa. Alcuni pezzi erano già pronti, come Moods, brano del 1989 per pianoforte preparato e marimba, in cui suona il compianto Beppe Sciuto: in particolare questo pezzo originale è stato ripulito in sala di registrazione e inserito nel disco su suggerimento di Jonathan Scully, musicista nei Maad e timpanista della Scala per 30 anni, che ne ha fatto persino un arrangiamento per otto percussioni classiche, eseguito due anni fa dal vivo ad Okinawa. All’interno del disco è possibile trovare anche il link del video registrato in quella occasione.

“Sperimentare o morire”: Komersiael, il nuovo disco di Pino Devita 5
Due celebri dischi dei Maad

Nel disco ci sono anche tre sue canzoni, cosa che non accadeva da anni.
Dopo Tema scrissi ancora qualche canzone, ho collaborato con Herbert Pagani, anche Mina mi aveva chiesto qualche pezzo, ma poi ho abbandonato la scrittura. Tornato da militare, fondati i Maad, mi sono interessato esclusivamente alla composizione di brani per pianoforte solo. Con questo disco, dopo molti anni, ho voluto riprendere il genere canzone. E ho scritto tre pezzi molto particolari, cantati da tre giovani professioniste: uno per pianoforte e voce interpretata da un contralto lirico e altri due accompagnati da pianoforte e sassofono. Sono canzoni molto semplici ma non certo per Sanremo, al massimo per il Festival Tenco: vedremo…».

“Sperimentare o morire”: Komersiael, il nuovo disco di Pino Devita 1
“Tema”, il singolo dei Giganti di cui è autore Devita

Dovesse definire il disco?
Non è un disco catalogabile, è un lavoro molto eterogeneo, che spazia dalla musica leggera a quella sperimentale. Lo si capisce dalle collaborazioni di jazzisti come Caruso, Di Giacomo e Chiodini e da composizioni come Moods o ad esempio Slide India, nella quale si sente un pianoforte preparato che suona come un sitar. Sono brani che ho potuto realizzare in alcuni casi grazie a strumenti costruiti da un amico ingegnere e che ammiccano comunque agli amanti della musica prog.

 Il prog rock è morto?
Il prog era una musica frutto della sana sperimentazione di quei tempi ma non credo che sia morto se vale sempre il motto “Sperimentare o morire”, come era scritto anche all’interno del disco Danzes. Un motto al quale io stesso continuo ad essere fedele. E non vale solo per la musica.

Trailer di presentazione di Komersiael

( © Luca Cecchelli, QUATTRO, giugno 2017)

In occasione della FIM – Fiera Internazionale della Musica 2017 tenutasi ad Erba, abbiamo incontrato Piero Chianura (1963), direttore di Big Box, la rivista di settore sugli strumenti musicali più importante in Italia. Il giornalista ha raccontato a Musica361 della singolarità di tanta esperienza professionale in questo settore

Intervista a Piero Chianura, giornalista e direttore di Big Box
Piero Chianura, giornalista e direttore della rivista Big Box.

Come tanti Chianura ha cominciato a strimpellare la chitarra a 9 anni ma i segni di una vocazione più profonda per note e suoni è emersa qualche tempo dopo quando ha iniziato a prender confidenza con diversi altri strumenti musicali portati a casa dal fratello che lavorava presso la Cgd Videosuono: «Era la fine degli anni Settanta, periodo in cui si era cominciato a produrre musica sinteticamente sull’onda di artisti internazionali tra punk e new wave. Quando cominciai a “giocare” col primo sintetizzatore digitale che ebbi per le mani, il Prophet5, ancora non sapevo che in quelle prime esperienze si nascondessero quelli che poi sarebbero diventati gli interessi principali della mia vita: la musica creativa e la pura passione per lo strumento musicale».

Durante il periodo universitario, mentre Chianura coltiva sempre più i suoi interessi, estendendo la sua curiosità anche all’elettronica e all’informatica, tramite la proposta di una segretaria di redazione trova posto come correttore di bozze presso Strumenti Musicali, una delle prime riviste di approfondimento del Gruppo Editoriale Jackson: «Dopo aver corretto numerose bozze di articoli di settore ero diventato un minimo esperto e avevo cominciato a scrivere anche io. Il passo naturale fu poi di seguire tutta la gavetta in quella grande casa editrice, determinante per il mio percorso giornalistico». La formazione sul campo come giornalista è parallelamente complementare all’approccio da musicista: «Avevo formato un duo, La1919, insieme ad un amico chitarrista figlio del poeta dialettale milanese Giuseppe Margorani. Abbiamo fatto concerti anche in ambito internazionale: suonavamo nostre composizioni ispirate al Canterbury inglese, alla musica ambient di Brian Eno o all’elettronica dei Kraftwerk, realizzate soprattutto con gli strumenti da recensire che avevo in prestito lavorando per la rivista».

Intervista a Piero Chianura, giornalista e direttore di Big Box

Musicista e al tempo stesso giornalista, dai primi anni ’80 Chianura continua a testare strumenti sviluppando sempre più la sua singolare competenza: finita nel 2004 l’esperienza con Strumenti musicali dà vita insieme al fratello, fondatore delle edizioni Auditorium, al free press InSound – con sede in corso XXII marzo 49 dal 2005 – nel tentativo di conciliare tecnica e critica musicale: «Era una rivista all’avanguardia e sicuramente leader fino all’arrivo di internet. Poi il mondo editoriale è cambiato e abbiamo capito che sarebbe stato utile renderla un riferimento critico per professionisti e aziende. Lavorammo in questa direzione al punto da istituire il trofeo InSound, premio annuale conferito, per ogni categoria strumentale, ai musicisti italiani distintisi per le loro qualità tecniche e creative».

Intervista a Piero Chianura, giornalista e direttore di Big Box
FIM Fiera Internazionale della Musica.

E oggi, dopo InSound, l’ultima tappa di tanta carriera giornalistica nel mondo degli strumenti musicali è Big Box, cartaceo bimestrale distribuito in 80 negozi di settore. Gestito da Chianura dal 2011 Big Box è diventato protagonista di una serie di iniziative nel mercato degli strumenti musicali: «Occupandomi da anni di questo settore sono diventato il giornalista di riferimento anche per gli organizzatori di fiere internazionali di musica. Tra le tante ho avuto occasione di lavorare come consulente per il FIM (Fiera Internazionale Musica) recentemente ospitata dalla Lario Fiere di Erba. In particolare sono stato direttore artistico di Casa FIM, uno stage tv in diretta streaming con interviste ad artisti quali Franco Mussida, Eugenio Finardi, Patty Pravo e Andrea Mirò, che ho avuto il piacere di conoscere negli anni per lavoro: in quelle interviste mi sono rivolto ad un pubblico molto ampio ma con un taglio più tecnico per spiegare l’importanza di questi artisti propriamente dal punto di vista musicale». La soddisfazione più grande in questi anni? «Aver trattato tematiche musicali al di fuori del giornalismo scandalistico o di cronaca potendo così parlare da musicista con i musicisti. E offrendo loro la possibilità di poter parlare in senso davvero “strumentale”».

( © Luca Cecchelli, QUATTRO, febbraio 2017)

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