A poco più di un anno dall’inaugurazione Musica361 fa visita al Fabrique, la nuova location di riferimento a Milano per l’entertainment italiano e internazionale dopo il Forum di Assago, scoprendo alla guida un “giovane veterano” dell’intrattenimento musicale milanese.
Parliamo con Daniele Orlando, giovane professionista che dopo l’esperienza alla direzione del famigerato Rolling Stone di corso XXII marzo e poi ai Magazzini Generali di via Pietrasanta di Milano ha da poco aperto, sempre nel capoluogo lombardo, il Fabrique di via Fantoli: una futuristica struttura della capienza di 3100 posti modulabile su oltre 2000 mq e pensata per ospitare concerti e dj-set ma anche eventi d’arte, moda o cultura, considerata anche la recente fine del Palasharp di Lampugnano, smantellato nell’ambito dei lavori di riqualificazione per Expo 2015.
Il direttore racconta a Musica361 della sua carriera giunta ora a questo suo terzo capitolo legato al mondo dell’intrattenimento musicale.
Daniele, a soli 40 anni sei un apprezzato e già “storico” organizzatore di eventi musicali: a cosa lo devi?
Alla mia passione da quando avevo 10 anni: la musica. Tutto comincia in un bar vicino casa a Bresso, dove abitavo: c’era un juke-box e ogni volta che venivano a cambiare i singoli in classifica mi regalavano i 45 giri sostituiti. Mia madre mi comperò poi un impianto per fare il dj: e dal 1989 cominciai a lavorare, ogni domenica pomeriggio, al Carisma in via Santa Maria Segreta angolo Cordusio e, insieme a Claudio Cecchetto, in quella che sarebbe diventata la discoteca Divina in via Molino delle armi. Quando la frequentavo io si chiamava New York City.
In che modo sei arrivato alla guida del Rolling Stone?
Ancora giovanissimo cercavo lavoro nell’area di Milano compresa tra viale Piceno e corso XXII marzo: in quella zona, già dai primi anni ’80, avevano cominciato a nascere locali di tendenza come appunto il Rolling Stone o il Killer Plastic Zero, in viale Umbria. Trovai un ingaggio in quei paraggi, al New Magazine di viale Piceno, un disco-pub. Era molto moderno per l’epoca, uno dei pochi nei quali si poteva già ballare sui tavoli dopo una certa ora. Cominciai mettendo dischi ma a poco a poco, trascorrendo molto tempo nel locale, finii per occuparmi anche di altro. Il proprietario, notando il mio interesse, iniziò a spiegarmi come si controllavano gli ordini che arrivavano dalle forniture, in che modo fare le spese o da dove si partiva per organizzare una serata. Nel frattempo continuavo a fare il disc-jokey insieme a Cecchetto, spesso anche al Propaganda o all’Alcatraz – dopo che aprì nel 1997. E quando il mio capo purtroppo venne a mancare, grazie ai soldi messi da parte con questo doppio lavoro riuscii a permettermi di rilevare l’intera attività del New Magazine. La portai avanti fino al 2000: in quell’anno venni a sapere di un posto vacante come direttore al Rolling Stone e fissai un appuntamento col proprietario, Maurizio Salvadori. E andò bene. La mia fortuna fu che a quell’età già ero così come mi vedi, sia professionalmente che esteticamente (ironico): Salvadori era convinto di assumere un 35enne navigato e rampante…e invece avevo appena compiuto 22 anni.
Com’era la situazione in quegli anni quando sei arrivato alla direzione del Rolling Stone, oramai storico locale milanese definito “Il tempio del rock”?
Dagli inizi degli anni ’80 e fino agli anni ’90 era stato un vero locale di riferimento per il rock: ci sono passati Lou Reed, Iggy Pop, Joe Cocker, Bob Geldof, Ramones e Oasis giusto per nominarne alcuni. Quando però arrivai io nel 2000 in realtà di concerti se ne facevano pochi. Li rilanciammo con le nuove band indie, genere che andava tantissimo come musica dal vivo in città: Roy Paci, i Bluebeaters o Modena City Ramblers e sul versante straniero i Muse, Creed e Chris Cornell. Col mio team siamo riusciti a riavvicinare il pubblico ai concerti, grazie soprattutto alla collaborazione con Rock Tv nata da poco. Il contenitore Rolling Stone solo come musica dal vivo risultava inoltre un po’ limitato e così approfittai della fama del locale per lanciare altri eventi. La serata con la discoteca rock cominciava a sapere di nostalgico, così decisi di proporre serate hip-hop o quella con musica di tendenza chiamata “P Gold” (il Pervert d’oro): quello fu il mio primo approccio nei confronti dei successivi dj-set internazionali.
Il mitico Rolling Stone chiude definitivamente nel 2007. Quella chiusura però segna solo la fine di un capitolo della tua carriera che continua ai Magazzini Generali.
Sono uscito dal Rolling Stone il 12 dicembre 2006. In quella stessa settimana casualità volle che ebbi un contatto per rilevare i Magazzini Generali di via Pietrasanta, falliti e chiusi già da un paio di mesi: feci l’offerta al curatore fallimentare e li acquistai facendoli riaprire già nel gennaio del 2007, appena un mese dopo la fine del Rolling Stone. Anche se quando li acquistai i Magazzini Generali non solo erano a pezzi da un punto di vista edilizio ma anche di immagine.
Come hai rilanciato i Magazzini Generali?
Mi ispirò un viaggio ad Ibiza. Nell’estate del 2007 cominciai a frequentare per la prima volta i locali dell’isola spagnola. Venendo dal ristretto mondo del rock al Rolling Stone, la prima cosa che mi colpii fu notare la fama e la crescita artistica di certi dj con relativi costosissimi biglietti d’ingresso in discoteca: “Perché a Milano per entrare in discoteca ci vogliono 8 € mentre qui a Ibiza te ne chiedono 50 e la gente ci va?!” Quella realtà mi stuzzicava…Realizzai presto che l’utile era tutto lì e che anche io in fondo avevo a disposizione quanto mi serviva per giocare quella carta. I Magazzini Generali avevano già avuto un brand famoso e un passato di tendenza con relativi dj-set: pensai semplicemente di portare a Milano quegli stessi artisti che passavano da Ibiza. Il primo che invitai fu un certo David Guetta – che all’epoca aveva mosso i primi passi alla discoteca Pacha: funzionò molto più di quello che pensavo e capii che ci avevo visto giusto! E da allora con questa formula ho lavorato nove anni ai Magazzini Generali.
Fino al 2014 quando inauguri il Fabrique. Quale fu la necessità di acquistare e aprire questa nuova location dato che l’attività ai Magazzini Generali andava bene?
Gli artisti che avevo portato negli anni ai Magazzini Generali avevano rilanciato l’immagine del locale che andava sempre meglio, è vero. Talmente bene però che i Magazzini non riuscivano più a contenere certi numeri di pubblico in quelle serate. Dovevo però continuare a “favorire” i miei artisti ospitati e accompagnarli nella loro crescita, altrimenti chiaramente avrei dovuto farmi da parte. Cercando quindi di evitare ulteriori costosissimi affitti di sale più capienti, come sempre più spesso mi vidi costretto a fare, decisi allora di cercare uno spazio mio. E capitai anche in questo ex capannone in zona Mecenate nel quale ci troviamo ora, diventato, dopo la chiusura della Venus Distribuzione circa 12 anni fa, il Fabrique.
C’è per caso un motivo particolare legato alla scelta di questo spazio?
La ex sede della Venus Distribuzione – il più grande distributore di CD in Italia per i punti vendita delle case discografiche multinazionali più note all’epoca come la CGD, BMG, RCA, Columbia e Ricordi – è un luogo inconsapevolmente entrato nella mia vita durante la mia adolescenza. Finita la terza media e prima di diventare disc-jokey venni a cercare lavoro proprio qui dove ci troviamo ora, come magazziniere. E questo dove ci troviamo in particolare era l’ufficio della persona che dopo breve servizio mi licenziò: sì perché, lo ammetto, il lavoro fisico non faceva per me…Quello fu il primo approccio qui in via Fantoli: un vero segno del destino col senno di poi. Appena rimisi piede qui dentro mi ricordai tutto. Non nascondo che, nonostante l’unica cosa salvabile all’interno fossero i fatiscenti muri perimetrali, decisi comunque di scegliere questo spazio anche per un valore affettivo. Restaurai tutto in tempi record: ho cominciato i lavori a maggio 2014 e il 18 settembre di quello stesso anno l’ho inaugurato.
Vedendo lungo: come fu per il Rolling Stone e per i Magazzini, anche il Fabrique ha rappresentato un ulteriore salto di qualità. E con un destino forse anche nel nome: perché “Fabrique”?
Sicuramente c’è un riferimento al fatto che si tratta di una ex fabbrica legata al mondo della musica. C’è poi un motivo di marketing ben preciso: mi sarebbe piaciuto un riferimento alla discoteca Fabric di Londra. Volevo proporre qui quel tipo di sound a tutti gli affezionati che conoscono quel mondo e insieme mantenere anche un riferimento all’elettronica, portandomi una fetta di pubblico dei Magazzini. E in più considerare che questa attività potesse vivere anche di affitti per feste aziendali, presentazioni di multinazionali ed essere insomma sostenuta da tante altre iniziative, senza legarla necessariamente ad un brand musicale. Ecco allora che mi ispirò la lingua francese: qualche mese prima ero stato per la prima volta in vita mia a Parigi e me ne ero innamorato…E così mi venne “Fabrique”: un nome semplice che suona bene, ricco di riferimenti e anche elegante, che piace anche alle aziende. Il tutto arricchito da un logo molto bello…et voilà!.
Un ambiente in effetti curato in ogni dettaglio: palco spazioso, pareti nere, due bar, un pavimento a tre livelli, un impianto audio e luci all’avanguardia. Non a caso il Fabrique ha vinto anche il premio ONstage Award 2015 come Miglior Club d’Italia. Qual è stato il bilancio del primo abbondante anno di attività,
considerando anche il periodo EXPO?
EXPO in sé, pur creando un’aspettativa molto alta, non ha modificato più di tanto le nostre previsioni. Francamente la situazione è stata più rosea delle aspettative: il bilancio è stato molto positivo. Anzi, scongiurando, credo che possa andare ancora meglio!
A cosa devi tanto ottimismo, soprattutto di questi tempi?
Il Fabrique si è confermato il risultato non solo della mia esperienza gestionale ma anche della collaborazione di tutti i soci, promoter o presidenti di società importanti che rappresentano la musica dal vivo in Italia e che mi garantiscono una fetta di mercato. E chiaramente di un team che mi porto dietro da 15 anni: è molto importante per me avere collaboratori tanto affiatati. Tengo comunque a sottolineare che la persona che, più di altri, mi ha sostenuto e incoraggiato in questa avventura è stata mia moglie Fabiola, nota dj di radio 105.
Oltre all’ottimismo trasmesso dal tuo devoto team e dalla tua compagna, una regola d’oro in anni di attività professionale in questo settore?
Ho imparato che l’economia musicale non ti permette di poterti affezionare ad un settore specifico. Bisogna essere trasversali ma con intelligenza, scegliendo bene chi ospitare: è una cosa che mi ha insegnato il Rolling Stone. Se riesci a scegliere solo gli artisti migliori sei ripagato. Mai dare nulla per scontato. Mai sottovalutare niente e nessuno.
Regola alla quale hai mantenuto fede perché dalla sua inaugurazione il calendario del Fabrique ha alternato artisti diversissimi, da Billy Idol ai Club Dogo, dai Massive Attack a Luca Carboni e poi non dimentichiamo Noel Gallagher e Mika. C’è un evento o un concerto che ricordi con maggior soddisfazione?
Sicuramente Noel Gallagher. Mi sono piaciuti però molto anche Interpol e Chet Faker.
Nasci dj e oggi ti occupi di un’attività “a 360°”: come vivi tante responsabilità ancora giovane, pur con tanta esperienza?
Paradossalmente lavorare in questo modo anziché preoccuparmi mi diverte. Se ti occupi di una cosa soltanto o segui un solo filone prima o poi il tuo lavoro finisce lì. E tu con lui. E invece bisogna sempre avere degli stimoli.
Consultate il calendario dei prossimi concerti, dj-set ed eventi su www.fabriquemilano.it.